Sharnin 2
Forumer storico
Un sistema costruito sui debiti
Alfonso Tuor
Mentre a Washington ci si accapiglia ancora per varare il piano di salvataggio del sistema bancario da 700 miliardi di dollari, la tensione sul mercato monetario e interbancario sta toccando le stelle, come conferma l’ulteriore rialzo dei tassi a breve termine che avviene nonostante le continue iniezioni di capitali da parte delle banche centrali. Inoltre prosegue il ritiro di capitali dai fondi monetari da parte dei piccoli risparmiatori, che può essere considerato una versione moderna della corsa agli sportelli. Questi fondi, che negli Stati Uniti avevano in gestione 3.500 miliardi di dollari, sono la linfa indispensabile dei finanziamenti al sistema delle banche e delle imprese. Il risultato di questa fuga sta provocando anche la chiusura del mercato dei finanziamenti a breve alle imprese, ossia il mercato dei corporate commercial papers.
Intanto mentre Washington Mutual, una grande cassa di risparmio americana, ha gettato la spugna e sarà inglobata da JP Morgan, la tensione è alle stelle anche in Europa, a tal punto che, temendo una corsa agli sportelli del gruppo bancario-assicurativo Fortis, il governo belga ha lanciato un appello alla calma. In questo clima generale di panico il maxipiano statunitense non potrà dare che un sospiro di sollievo, che sarà al massimo solo temporaneo.
Quali ragioni a sostegno di questa tesi? Occorre risalire alle origini e alle cause di questa crisi. Esse possono essere riassunte in questo modo: da almeno un ventennio vi è stata un’impressionante impennata dell’indebitamento di famiglie, imprese ed enti pubblici. Le cause di questo fenomeno, che non ha riguardato unicamente gli Stati Uniti, su cui ci soffermeremo in altra sede, sono riassumibili così: l’aumento dell’offerta, dovuto all’incremento della produttività e delle capacità produttive, non trovava una sufficiente domanda, come del resto indicavano chiaramente la scomparsa dell’inflazione e la continua diminuzione del costo del denaro. A questa domanda insufficiente si è cercato di porre rimedio con le bolle finanziarie e con la crescita dell’indebitamento dei diversi attori economici. Per cui a chi voleva spendere, ma non aveva i soldi venivano offerte sempre nuove possibilità di indebitarsi, dalle carte di credito alle vendite a rate, dai leasing fino agli stessi mutui subprime, che sono l’emblema del processo di creazione di una domanda basata su un debito insostenibile. A questo fenomeno se ne è affiancato un altro, prodotto dalla nuova ingegneria finanziaria, ossia dai veicoli speciali di investimento delle banche (i cosiddetti SIV), dagli Hedge Funds e così via: questi strumenti hanno usato la leva del credito per moltiplicare le loro scommesse sui mercati ed hanno approfittato del fatto di non essere sottoposti ad alcuna forma di sorveglianza. Il tutto basato sulla folle convinzione che si producesse valore scambiandosi a vicenda dei pezzi di carta e sulla presunta certezza di avere sotto controllo ogni rischio grazie ai sofisticati modelli di matematici e fisici all’uopo assoldati dall’industria finanziaria.
Questi meccanismi hanno creato una montagna insostebile di debiti che è stata per di più moltiplicata da Wall Street innumerevoli volte. Il risultato è che, ad esempio, secondo i calcoli di Morgan Stanley, il debito delle famiglie, delle imprese e del governo americano corrisponde oggi a tre volte il Pil annuo degli Stati Uniti. Inoltre questo indebitamento è stato moltiplicato dalla nuova ingegneria finanziaria. La realtà non è molto diversa in Europa. In queste condizioni quando il valore di alcuni asset, come quelli immobiliari, comincia a calare, crolla l’intero castello. E soprattutto va in fumo la carta straccia prodotta dai presunti maghi della nuova finanza. Questo incendio brucia anche i soldi buoni, quelli di casse pensioni e di risparmiatori, che erano stati investiti in Hedge Funds, prodotti strutturati, CDS, CDO e via dicendo.
Ora il maxipiano in corso di definizione a Washington non può che farci guadagnare un po’ di tempo. Può evitare che la settimana prossima venga ricordata come la settimana dei crac bancari. Esso però non è sufficiente per spegnere la brace, costituita da questa montagna di debiti, di cui una gran parte (e soprattutto quelli finanziari) inesigibili o di scarso valore. Quello che sta succedendo non permette di cullarsi nella speranza che questi 700 miliardi saranno sufficienti per ricostruire la fiducia degli investitori e per impedire in questo modo il crollo del sistema. Insomma, questi 700 miliardi di dollari forse permetteranno solo di guadagnar tempo.
Occorre a questo punto una strategia per limitare i danni, che non può che essere costituita dalla nazionalizzazione degli istituti sull’orlo della bancarotta e da grandi pacchetti statali di rilancio dell’economia, che sta letteralmente bloccandosi in tempi molto rapidi. Queste misure non sono in grado di risolvere i problemi, ma sono le uniche che potranno farci evitare una Grande Depressione e soprattutto darci il tempo per riformare in una grande conferenza internazionale sullo stile di quella del 1944 a Bretton Woods, un sistema monetario e finanziario oggi sull’orlo del collasso.
26/09/2008 22:47
Alfonso Tuor
Mentre a Washington ci si accapiglia ancora per varare il piano di salvataggio del sistema bancario da 700 miliardi di dollari, la tensione sul mercato monetario e interbancario sta toccando le stelle, come conferma l’ulteriore rialzo dei tassi a breve termine che avviene nonostante le continue iniezioni di capitali da parte delle banche centrali. Inoltre prosegue il ritiro di capitali dai fondi monetari da parte dei piccoli risparmiatori, che può essere considerato una versione moderna della corsa agli sportelli. Questi fondi, che negli Stati Uniti avevano in gestione 3.500 miliardi di dollari, sono la linfa indispensabile dei finanziamenti al sistema delle banche e delle imprese. Il risultato di questa fuga sta provocando anche la chiusura del mercato dei finanziamenti a breve alle imprese, ossia il mercato dei corporate commercial papers.
Intanto mentre Washington Mutual, una grande cassa di risparmio americana, ha gettato la spugna e sarà inglobata da JP Morgan, la tensione è alle stelle anche in Europa, a tal punto che, temendo una corsa agli sportelli del gruppo bancario-assicurativo Fortis, il governo belga ha lanciato un appello alla calma. In questo clima generale di panico il maxipiano statunitense non potrà dare che un sospiro di sollievo, che sarà al massimo solo temporaneo.
Quali ragioni a sostegno di questa tesi? Occorre risalire alle origini e alle cause di questa crisi. Esse possono essere riassunte in questo modo: da almeno un ventennio vi è stata un’impressionante impennata dell’indebitamento di famiglie, imprese ed enti pubblici. Le cause di questo fenomeno, che non ha riguardato unicamente gli Stati Uniti, su cui ci soffermeremo in altra sede, sono riassumibili così: l’aumento dell’offerta, dovuto all’incremento della produttività e delle capacità produttive, non trovava una sufficiente domanda, come del resto indicavano chiaramente la scomparsa dell’inflazione e la continua diminuzione del costo del denaro. A questa domanda insufficiente si è cercato di porre rimedio con le bolle finanziarie e con la crescita dell’indebitamento dei diversi attori economici. Per cui a chi voleva spendere, ma non aveva i soldi venivano offerte sempre nuove possibilità di indebitarsi, dalle carte di credito alle vendite a rate, dai leasing fino agli stessi mutui subprime, che sono l’emblema del processo di creazione di una domanda basata su un debito insostenibile. A questo fenomeno se ne è affiancato un altro, prodotto dalla nuova ingegneria finanziaria, ossia dai veicoli speciali di investimento delle banche (i cosiddetti SIV), dagli Hedge Funds e così via: questi strumenti hanno usato la leva del credito per moltiplicare le loro scommesse sui mercati ed hanno approfittato del fatto di non essere sottoposti ad alcuna forma di sorveglianza. Il tutto basato sulla folle convinzione che si producesse valore scambiandosi a vicenda dei pezzi di carta e sulla presunta certezza di avere sotto controllo ogni rischio grazie ai sofisticati modelli di matematici e fisici all’uopo assoldati dall’industria finanziaria.
Questi meccanismi hanno creato una montagna insostebile di debiti che è stata per di più moltiplicata da Wall Street innumerevoli volte. Il risultato è che, ad esempio, secondo i calcoli di Morgan Stanley, il debito delle famiglie, delle imprese e del governo americano corrisponde oggi a tre volte il Pil annuo degli Stati Uniti. Inoltre questo indebitamento è stato moltiplicato dalla nuova ingegneria finanziaria. La realtà non è molto diversa in Europa. In queste condizioni quando il valore di alcuni asset, come quelli immobiliari, comincia a calare, crolla l’intero castello. E soprattutto va in fumo la carta straccia prodotta dai presunti maghi della nuova finanza. Questo incendio brucia anche i soldi buoni, quelli di casse pensioni e di risparmiatori, che erano stati investiti in Hedge Funds, prodotti strutturati, CDS, CDO e via dicendo.
Ora il maxipiano in corso di definizione a Washington non può che farci guadagnare un po’ di tempo. Può evitare che la settimana prossima venga ricordata come la settimana dei crac bancari. Esso però non è sufficiente per spegnere la brace, costituita da questa montagna di debiti, di cui una gran parte (e soprattutto quelli finanziari) inesigibili o di scarso valore. Quello che sta succedendo non permette di cullarsi nella speranza che questi 700 miliardi saranno sufficienti per ricostruire la fiducia degli investitori e per impedire in questo modo il crollo del sistema. Insomma, questi 700 miliardi di dollari forse permetteranno solo di guadagnar tempo.
Occorre a questo punto una strategia per limitare i danni, che non può che essere costituita dalla nazionalizzazione degli istituti sull’orlo della bancarotta e da grandi pacchetti statali di rilancio dell’economia, che sta letteralmente bloccandosi in tempi molto rapidi. Queste misure non sono in grado di risolvere i problemi, ma sono le uniche che potranno farci evitare una Grande Depressione e soprattutto darci il tempo per riformare in una grande conferenza internazionale sullo stile di quella del 1944 a Bretton Woods, un sistema monetario e finanziario oggi sull’orlo del collasso.
26/09/2008 22:47