Utopia o realtà ? La LIBERTA' di espressione va difesa ora, perchè domani sarà troppo tardi......e ce ne pentiremo.

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La Dany guarda lontano, scruta l'orizzonte

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Ci vuole poco a passare dall’odio ad altro odio.

Da una follia ad un’altra follia.

Così, dismessi i panni dei bacchettoni anti no vax, no pass e similari,
con lo scoppio della guerra in Ucraina i benpensanti
(quelli che “l’amore è amore”)
hanno trovato il loro nuovo nemico:

i russi, i putiniani, i no armi e chiunque provi a ragionare fuori dagli schemi del guerristicamente corretto.


L’ultimo incredibile episodio arriva da Bologna, terra di accoglienza (in teoria).

Dove una ragazza di origini russe, peraltro invalida,
si è vista mettere alla porta dal medico per colpa del suo passaporto

. “Andate via, siete russi, non venite nel mio studio“,

le avrebbe detto un medico di base
che si è beccata una denuncia per diffamazione aggravata e un esposto all’ordine dei medici.

Lei, Lidia Malica Davidenco ha 19 anni, vive a Casalecchio di Reno e studia all’Università emiliana.

Il 21 marzo, stando al suo racconto riportato dal Carlino,
che ovviamente va preso come la sua versione dei fatti,
si presenta dal medico di base per farsi compilare un modulo che attesti la sua sordità.


Le cose però si complicano:
la dottoressa ritiene che serva un otorino per il certificato,
arriva la nonna e scatta il bando su base russofona:

“Andate via – avrebbe detto la signora in camice – Non mi piacciono i russi, non mi piace Putin”.


E quindi?

E' nata qui ed ha cittadinanza italiana.

Ma anche facesse il tifo per il suo presidente, giustifica questo atti discriminatori?

Dopo la damnatio memoriae degli autori russi,
il boicottaggio di Dostoevskij,
la censura agli analisti non allineati,
ci mettiamo anche a odiare chiunque abbia un singolo gene ereditato dalla Grande Madre Russia?


Son tutti bravi a predicare amore, fratellanza e rispetto
finché non ti insultano la moglie e allora parte l’embolo.

Anni passati a combattere la discriminazione, il razzismo, la xenofobia,
e poi da due anni ci troviamo coi “buoni” che si impegnano alacremente
a mettere all’indice prima gli odiati no vax e adesso i russi.


Notate anche voi un filino di ipocrisia ed una vagonata di stupidaggine?
 
Mentre il mondo si concentra sulla guerra, sulle possibili svolte nei negoziati
e sulle manovre dei leader sullo scacchiere geopolitico internazionale,
il coronavirus procede imperterrito ad occupare una parte delle cronache.

Non tanto per i numeri dei contagi, che non hanno ancora portato ad un incremento significativo dei ricoveri
(ed è questo, in fondo, che ormai conta con la popolazione stra-vaccinata).

Ma per le scelte da fare nel futuro.


Per ora sappiamo che domani scade lo stato di emergenza,
il Cts si scioglie e vengono cancellate alcune restrizioni
anche se la "linea speranza"permane (mascherine al chiuso, prudenza, green pass).


Ma cosa ci riserva il futuro?

Mistero.


A spingere per la quarta dose ci sono le aziende produttrici, in particolare Pfizer,
che per voce del suo presidente e Ceo Albert Bourla ha commentato positivamente
il via libera dell’Agenzia del farmaco Usa, la Food and Drug Administration,
al secondo booster d’emergenza per gli over 50 e gli immunodepressi (dopo 4 mesi dalla terza dose).

“Il nostro vaccino Covid-19 continua ad aiutare a proteggere le persone in tutto il mondo
e l’attuale autorizzazione all’uso di emergenza – ha detto Bourla – negli Stati Uniti
offre agli anziani che sono più vulnerabili al virus, attraverso un’altra dose di richiamo, una protezione ripristinata”.


Peccato che l'attuale vaccino, studiato sul primo virus, serve veramente a poco.
 
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Però qualcuno ride ed ha i magazzini pieni di roba vecchia da far fuori.


Il gruppo tedesco BioNTech, oggi ha reso noti i suoi risultati con il bilancio 2021.

I ricavi sono stati di 19 miliardi di euro (rispetto ai 482,3 milioni nel 2020),

con un utile netto di 10,3 miliardi (contro i 15,2 milioni l’anno precedente).


“I nostri ricavi del vaccino COVID-19 del 2021 sono stati significativamente influenzati dalle circostanze straordinarie della pandemia in corso”,
ha ammesso candidamente Jens Holstein, CFO di BioNTech.


Ogni azione oggi porta con sé un utile di 39,63 euro e un dividendo in contanti di 2 euro.


“Il 2021 è stato un anno eccezionale durante il quale BioNTech ha avuto un impatto epocale sulla salute umana
e sull’economia globale con il nostro primo vaccino approvato basato sulla nostra tecnologia mRNA”,
ha affermato Ugur Sahin, MD, CEO e co-fondatore di BioNTech.


Non mancheranno, ovviamente, incassi miliardari nel 2022, sempre alla voce “vaccino covid”:
i ricavi stimati sono tra 13 e 17 miliardi di euro con ordini di acquisto saliti a 2,4 miliardi di dosi.



Grasso che cola.
 
Si vede che l’esperienza del Covid ha fatto aumentare ancora di più

l’amore per certa classe politica italiana verso i modelli cinesi.


E così, dopo tracciamenti massicci della popolazione,

lockdown e leggi liberticide,

ora arriva un’altra misura che in Cina già è in atto da diverso tempo,

stiamo parlando del cosiddetto “credito sociale”,

ossia quella formula per cui se fai esattamente come impone lo Stato avrai dei vantaggi economici,

se invece fai il cattivello saranno guai.



Un po’ come le promesse e le punizioni impartite dalle mamme quando si è piccoli.

In Cina, ad esempio, ai cittadini “disobbedienti” è stato impedito l’acquisto di voli aerei.


E questo esperimento ora è in rampa di lancio in Emilia Romagna, e precisamente a Bologna.

Cosa sta succedendo quindi?


Il progetto di Bologna si chiama “smart citizen wallet”, ossia “portafoglio del cittadino virtuoso”,

come è stato definito dallo stesso Assessore all’Agenda Digitale Massimo Bugani,

il quale ha anche specificato che

“nessuno sarà costretto a partecipare,

chi vuole darà il consenso scaricando e utilizzando un’apposita applicazione”.




Con questa app i cittadini saranno quindi valutati in base all’obbedienza all’amministrazione comunale di turno.


E in base al proprio comportamento si riceveranno dei premi o delle punizioni.


Chi sa fare la raccolta differenziata,
chi non userà la macchina
e chi non prenderà multe dalla Polizia Municipale
potrà beneficiare dei crediti comunali.

Sconti sui trasporti pubblici,
sconti sulle tasse rifiuti e
sconti sulle attività culturali.


Insomma chi entrerà nel club dei più obbedienti avrà il privilegio di fare parte dell’élite dei cittadini di serie A,

che godranno di maggiori diritti rispetto a tutti gli altri.


In realtà il sistema di “patente a punti” è già attivo per gli inquilini delle case popolari di alcuni comuni dell’Emilia Romagna,

per cui dei vasi posizionati in maniera scorretta possono portare alla decurtazione dei punti.

E nel momento in cui la patente dovesse segnare 0 punti ecco che scatterebbe lo sfratto immediato.


Nell’Emilia Romagna di Bonaccini, dunque,

il sistema cinese di patente a punti piace tantissimo.



Ma quella di Bologna non rappresenta un unicum,
è uno dei tanti esempi che si stanno diffondendo a macchia d’olio.

Perché il portafoglio del cittadino ha visto luce nella capitale, a Roma.


“ll Citizen Wallet è una piattaforma di premialità

che incentiva i comportamenti virtuosi messi in atto dai city user,

volti a migliorare la sostenibilità ambientale,

sociale ed economica della Città,

in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030”,


si legge così sul sito del Comune.


Dal locale poi si passerà al nazionale

e lì ne vedremo delle belle.


L’esperimento,

l’ennesimo sulla nostra pelle,

è già in corso.



Siate pronti.
 
Vediamo un po' cosa fanno nella limitrofa Svizzera.


A partire dal 1° aprile saranno revocati gli ultimi provvedimenti a livello nazionale :


L'obbligo di isolamento per le persone contagiate e


L'obbligo della mascherina sui trasporti pubblici enelle strutture sanitarie.



Si torna quindi alla situazione normale.
 
Sarebbe proprio ora che qualcuno si svegliasse dal letargo.
L'INVERNO E' FINITO.
Se vuoi sopravvivere ora devi darti da fare.



Il Movimento che fu di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, e oggi di Giuseppe Conte,
è pronto alla guerra contro Mario Draghi ed il suo Governo.

Che la crisi covasse nelle viscere del partito di maggioranza relativa, era cosa nota da tempo.

Tuttavia, le lotte intestine tra capi e capetti dell’ex grillismo
e l’intervenuta delegittimazione del nuovo corso pentastellato per mano di una sentenza della magistratura,
non avevano consentito al malcontento interno verso l’operato del Governo di manifestarsi nelle sue effettive dimensioni.

Oggi, invece, è possibile che accada, perché i vertici del Movimento hanno percorso all’indietro la strada congressuale,
richiamando gli iscritti a un voto di convalida/conferma dell’attuale leadership pentastellata.

La base, come si dice in questi casi, ha risposto.

Sebbene non nei numeri sperati, comunque ha confermato la volontà di essere guidata dall’avvocato di Volturara Appula.

Se verso nuovi traguardi o, più realisticamente, verso la sopravvivenza, si vedrà.


Ma andiamo con ordine.


Nella due giorni elettorale, gli iscritti al Movimento hanno votato Giuseppe Conte presidente.

Dei 130.570 aventi diritto, hanno cliccato all’indirizzo mail [email protected] in 59.047.

Di questi,

il 94,19 per cento (55.618) si sono espressi a favore di Conte;

il 5,81 per cento (3.429) si è detto contrario.


Oltre a Giuseppe Conte, la base ha confermato l’organigramma stabilito dall’ex premier all’atto della sua scalata alla testa del nuovo corso grillino.

Laura Bottici, la più votata per andare a integrare la triade del Comitato di garanzia, insieme ai già nominati Roberto Fico e Virginia Raggi.

Il Collegio dei probiviri è composto da Danilo Toninelli, Fabiana Dadone, Barbara Floridia.

Confermati alla carica di vicepresidenti Michele Gubitosa, Riccardo Ricciardi, Paola Taverna (vicepresidente vicaria),
Alessandra Todde e Mario Turco, che di fatto saranno la guardia pretoriana posta a difesa della presidenza Conte dagli attacchi dei nemici interni ed esterni.


Dalla scorsa dei nomi si capisce benissimo che lo sconfitto è lui, Luigi Di Maio,
il grillino che volle farsi democristiano e draghiano per restare al potere a qualsiasi costo.

Ed è sempre lui, il “governista”, il primo obiettivo della caccia grossa che Conte si appresta ad aprire nelle prossime ore.

L’obiettivo della presidenza dell’ex premier (buona la seconda?)
punta a portare, nella prossima legislatura, una pattuglia di parlamentari Cinque Stelle, suoi fedelissimi,
depurata della componente legata agli odierni “governisti”, che possa avere un ruolo determinante nella composizione delle future maggioranze.

Per raggiungere il risultato, per nulla scontato, Giuseppe Conte deve tirare fuori il Movimento dall’immobilismo politico
in cui si è cacciato dopo l’appoggio garantito al Governo Draghi.

Allo scopo, si fa strada la possibilità di uno smarcamento del Cinque Stelle dall’odierna maggioranza.


Non fosse altro per non lasciare campo aperto all’opposizione solitaria di Fratelli d’Italia,
che sta capitalizzando in modo ottimale la decisione di andare controcorrente rispetto al mainstream pro-Draghi.


Anche l’abbraccio mortale con il Partito Democratico non convince più Conte e i suoi,
che vorrebbero un’alleanza alla pari nel centrosinistra e non un’umiliante annessione,
come i comportamenti concludenti della leadership “dem” di questi mesi hanno fatto trasparire.

Che la scelta di svoltare in direzione delle “mani libere”, almeno per questo scorcio di legislatura,
non potesse essere semplicemente un espediente tattico ma dovesse comportare un riposizionamento strategico
lo dimostra il fatto che il voto di conferma al suo mandato non è stato a scatola chiusa
ma è stato condizionato da un messaggio inequivocabile che lo stesso Conte ha inviato agli iscritti.


Egli scrive:

Le sfide che ci attendono ci impongono di essere compatti, uniti.
Io non posso – per rispetto di tutti quelli credono in questo progetto – accettare che ci sia
chi rema contro le nostre battaglie, la nostra azione politica.
Non posso consentire che di fronte agli sforzi di molti, di un’intera comunità,
ci sia proprio al nostro interno chi lavora per interessi propri.
Quindi non votatemi se pensate che il Movimento 5 Stelle debba essere lì nelle stanze dei bottoni,
anziché nei territori e fra le persone
.


Più chiari di così, si muore.
 
La stanza dei bottoni, nella quale il “reprobo” Di Maio sguazza,
non è più la priorità per colui che è riuscito nell’impresa di guidare due governi di opposto segno
pur di restare incollato alla poltrona di premier.

Ma per rompere con Draghi occorre un pretesto, possibilmente condiviso dalla parte maggioritaria dell’elettorato grillino.

Giuseppe Conte lo ha trovato: la pistola fumante c’è.

Anch’essa finita nella “lettera agli iscritti” e diventata, per effetto della votazione, posizione ufficiale del Cinque Stelle.

È l’opposizione all’innalzamento della spesa per la Difesa al 2 per cento del Pil,
piatto forte dell’ultimo Draghi, versione ultra-atlantista.

Anche se la misura sia stata concordata in sede Nato proprio dal suo Governo,
Conte finge di non ricordarlo
.


Adesso il leitmotiv è il pacifismo disarmato che diventa la nuova “linea del Piave”
sulla quale ha impegnato il Movimento scrivendo nella lettera-manifesto:

Sarò il Presidente di un Movimento che dice no a un aumento massiccio
delle spese militari a carico del bilancio dello Stato, soprattutto in un momento del genere
”.


Conte ha ben chiaro che qualsiasi esito avrà la proposta di riarmo voluta da Mario Draghi,
per lui si configurerà quello che gli anglosassoni chiamano win-win situation, cioè comunque vada vince.

Se Draghi, in nome della salvaguardia del patto di maggioranza,
farà un passo indietro annacquando la decisione che sta per essere inserita nel Def (Documento di Economia e Finanza),
l’avvocato di Volturara Appula potrà cantare vittoria rivendicando il diritto per il suo partito di dettare la linea al Governo.

Se, al contrario, Draghi dovesse tirare dritto per la sua strada e ignorare il niet pentastellato,
Conte ne ricaverà sufficienti argomenti per ritirare la delegazione pentastellata dall’Esecutivo
e, in caso di inasprimento dei rapporti con l’alleato “dem”, per spingersi a revocare la fiducia al Governo schierando il partito all’opposizione.


Il capo pentastellato gioca d’azzardo contando sul fatto che, a meno di un anno dalle elezioni politiche,
con una guerra in corso,
con una pandemia non ancora archiviata,
con l’inflazione che galoppa e
con uno stop alla ripresa economica alle porte,

sia inimmaginabile l’apertura di una crisi di Governo che sfoci nell’interruzione anticipata della legislatura.


Probabilmente, nella testa di Giuseppe Conte frulla l’idea di un appoggio esterno all’Esecutivo,
subordinato alla facoltà di scegliere di volta in volta quali provvedimenti governativi appoggiare e quali rigettare.

Per soprammercato, si produrrebbe un effetto indiretto, funzionale all’obiettivo di contizzare il Movimento.

Un’uscita dalla maggioranza comporterebbe il ritiro della delegazione pentastellata dall’Esecutivo.

Di fronte a una tale prospettiva, che faranno i ministri e i sottosegretari grillini,
a cominciare dal più governista di tutti, Luigi Di Maio?

Risponderanno a Conte con un garibaldino “obbedisco!

o ripiegheranno verso un opportunistico, mussoliniano “me ne frego!”?



È di tutta evidenza che Conte non tollererà ammutinamenti.

Vuole la resa dei conti con Di Maio e perciò lo inchioderà alla scelta:

chinare il capo e allinearsi o andarsene per la sua strada.


Non è quindi escluso che la scissione del Cinque Stelle, tanto evocata nei mesi scorsi, vedrà la luce nelle prossime settimane.


Con l’ufficializzazione della rottura l’utopia, il non-luogo della visione di Gianroberto Casaleggio,
si materializzerà in due universi fisici speculari e confliggenti:

uno, pseudo-protestatario, vocato a recuperare una quota di qualunquismo sedimentato sul fondo della nostra società e rimpastato con un rinnovellato giustizialismo;

l’altro, destinato a occupare uno spazio politico nel terzismo centrista di marca moderata che va coagulandosi tra gli scranni parlamentari sotto l’effige di Mario Draghi.



Comunque si concluda la querelle pentastellata, resta il dato drammatico:

l’Italia è nelle mani di un manipolo di dilettanti allo sbaraglio.



Che non sono le migliori e le più sicure alle quali affidare il destino di una nazione.
 
Il generale Vyacheslav Abroskin non è, di primo acchito, uno che ispira simpatia.

Generale di polizia ucraino, di estrema destra, vicino ai neonazisti del battaglione paramilitare Azov
per cui simpatizza pur non facendone parte, il quale ha chiuso sempre, nei suoi confronti, tutti e due gli occhi.

S’è impegnato, fra il 2014 e il 2018, nella repressione contro i russi nel Donetsk, con metodi atroci.


Sono figure come la sua a ispirare, a Vladimir Vladimirovič Putin,
il presidente della Federazione Russa, il proposito di “denazificare” l’Ucraina.



.
 
Assumendo una prospettiva ampia, per interpretare i significati che la guerra veicola,

è possibile affermare che in realtà a fronteggiarsi non siano due Stati,

bensì due visioni del mondo fra loro incompatibili.



Da un lato, l’Occidente.


Questo, da circa vent’anni, sembra avviarsi a incarnare il destino che viene espresso dal nome che lo designa
e sul quale tanto aveva insistito Martin Heidegger: terra del tramonto.

Infatti oggi, in Occidente, sono avviate al tramonto molte delle dimensioni che ne hanno caratterizzato, da secoli, la fisionomia.


Tramonta l’economia, spodestata dalla finanza.


Invece della valorizzazione del lavoro e della fatica dell’uomo,
che vengono poi espressi nel prezzo dei beni e dei servizi,
campeggia la pura speculazione finanziaria dei titoli,
nel cui ambito perdite e guadagni sono del tutto virtuali,
legati a vicende imprevedibili spesso fittizie,
quando non a dichiarazioni di questo o di quel Governo,
in grado di far impoverire in poche ore legioni di investitori,
facendone arricchire altri a dismisura: le élite finanziarie.

Ecco perché un ventenne di Boston o di Tokyo, sbadigliando nel sorbire un caffè,
spostando al computer titoli da un mercato a un altro,
può guadagnare in pochi minuti somme equivalenti a quelle di un neurochirurgo in un intero anno di attività,
pur avendo nelle mani la vita di centinaia di esseri umani.

Una cosa surreale e folle.



Tramonta la politica, spodestata dalla tecnocrazia.


Invece del confronto politico umanamente fondato, anche aspro,
tramite il quale Europa e America hanno sempre costruito, con fatica e passione,
progetti di vita sociale per le loro comunità,
campeggia la pura tecnocrazia dedita spesso, usando algoritmi tanto assurdi quanto tirannici,
Miguel Benasayag parla di “tirannia dell’algoritmo”,
a governare in modo dispotico l’emergenza sempre nuova (economica, sanitaria, energetica).

Una cosa pericolosa e antidemocratica.



Tramonta il dibattito pubblico, spodestato dal pensiero unico dominante.


Invece della salutare dialettica democratica, in virtù della quale si sono edificati gli Stati e i loro legami internazionali,
campeggia un solo pensiero tecnocratico, proteso ad affermare se stesso attraverso il ruolo ancillare della politica
e dei mezzi di informazione, nell’usare un subdolo manicheismo, per cui chi solleva dubbi di sorta,
viene subito stigmatizzato pubblicamente ed emarginato,
come accaduto per la pandemia prima e per la guerra oggi
(lo nota Michele Ainis).

Una cosa pericolosissima e incostituzionale.



Tramontano il diritto e la libertà.


Invece di identificare nella persona umana il diritto sussistente, com’era tradizione,
l’essere umano evapora, privato di identità, sacrificata sull’altare dell’indifferenza assoluta
sessuale, sociale, politica, giuridica, in un magma indistinto dove naufragano i diritti della persona,
sommersi dallo stravolgimento delle garanzie costituzionali,
mentre conduttori televisivi sorridono compiaciuti ogni sera, per rassicurare gli sbigottiti spettatori;

la libertà vien poi subordinata a crescenti legacci burocratici che, salvandola nella forma,
la svuotano di contenuti nel nome di un transumanesimo proteso a un controllo tanto capillare quanto occulto.

Una cosa esiziale e antigiuridica.
 

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