Utopia o realtà ? La LIBERTA' di espressione va difesa ora, perchè domani sarà troppo tardi......e ce ne pentiremo.

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Nelle tattiche della strategia - in battaglia - ha grande importanza il ricorso al diversivo.

Ovvero, una azione che serve a distogliere l'attenzione del nemico,
per prepararne un'altra, soprattutto in un luogo diverso,
potenzialmente più efficace se non determinante.

Il ricorso al diversivo comunque è molto frequente anche nella vita di tutti i giorni
e quindi non ci si deve sorprendere se lo individuiamo in altri settori,
dall'economia e nella finanza (come un'opa presentata a colpo sicuro, quando, per gli altri, gli obiettivi erano diversi),
nello sport e in mille diverse attività umane.

E questo accade anche nel campo della comunicazione,
dove chi paga chiede che i suoi comportamenti siano enfatizzati,
relativizzando o addirittura cancellando quelli potenzialmente negativi.


Insomma, descriversi belli e puliti,
per evitare che la gente guardi con attenzione,
magari scoprendo sporcizia e bruttezze.


E' quello che cerca di fare, nel campo della comunicazione, il greenwashing,
ovvero dare ai comportamenti di aziende o anche di istituzioni
delle pennellate di ''verde'' per mascherare atti precedenti non in linea con le politiche del momento.


Niente di irregolare, se non quello di mistificare la realtà,
per disegnarne un'altra diversa e più spendibile in termini di immagine positiva.



Questa premessa è generale, parlando di attività quotidiane
e quindi non necessariamente sovrapponibile in automatico ad alcune scelte di UniCredit

che sembrano, nel campo della comunicazione, seguire la strada della massimizzazione della propria immagine e della relativizzazione degli inciampi.


L'adesione di UniCredit al Transgender Day of Visibility
sembra un tentativo per nascondere altre problematiche


Prendiamo l'annuncio fatto ieri, in pompa magna, dall'istituto di credito dell'adesione al Transgender Day of Visibility,

''una giornata" - leggiamo dal comunicato - "per celebrare gli individui transgender e non-binary in tutto il mondo
e un momento per valorizzare l'importanza del raggiungimento dell'uguaglianza e di un continuo progresso per tutti''
.

Di seguito vengono riferite le modifiche al codice di comportamento del gruppo a sostegno della parità di genere, di tutti i generi.

Quindi, UniCredit si impegna a portare avanti un ''processo di assunzioni inclusivo''
e a una ''gestione della transizione di genere sul posto di lavoro per continuare a costruire e promuovere una cultura dell'inclusione''.


Parlare in questo momento del problema del rispetto del genere
sembra volere distrarre l'attenzione da altre e non meno importanti problematiche che UniCredit sta affrontando in questo periodo.

A cominciare dalla spinosa questione della retribuzione dell'ad, Andrea Orcel, che tanto sta facendo discutere.

Una massa di soldi - nell'ordine di milioni di euro all'anno - che,
se è giustificata dal conclamato profilo manageriale di Orcel,
non lo è alla stessa maniera dai risultati che ancora non arrivano.

Anzi, potrebbero non arrivare a breve,
visto che le notizie che giungono sul fronte internazionale e delle sanzioni imposte alla Russia
lasciano pensare a perdite rilevanti posto che la ''presenza'' di UniCredit lì si aggira sui 7,5 miliardi.

A fronte di un potenziale ''bagno di sangue'' economico dalle parti di Mosca,
forse, e sottolineiamo forse, un pizzico di cautela si sarebbe imposto.

Perché, in quella che UniCredit - parlando di sé stesso - quasi definisce una grande famiglia,
non ci possono essere figli e figliastri e, quindi, di fronte ad un problema comune tutti devono farsene carico.

Soprattutto se ti chiami Orcel e sulla targhetta dell'ufficio hai scritto 'Amministratore delegato'.

''UniCredit" - si legge ancora nel comunicato -
"è fortemente impegnata a creare e mantenere un luogo di lavoro rispettoso con idee e valori condivisi,
muovendosi verso un ambiente unito e diversificato dove i dipendenti vengono rispettati.
A ulteriore conferma di questo, i dipendenti hanno la garanzia di sentirsi sicuri nel poter sollevare eventuali problematiche,
senza timore di ritorsioni, attraverso i canali di segnalazione del Gruppo''
.


Parole belle e di effetto,

che potrebbero essere anche di garanzia per quei dipendenti di UniCredit

che magari vedono il loro posto di lavoro non più ''fisso'',

come è stato sempre considerato,

ma assistono basiti al lievitare dei compensi di chi ha responsabilità ben maggiori delle loro,

ma non per questo dovrebbe immune dal pericolo di un licenziamento.
 
Ieri - 1° aprile - abbiamo festeggiato la non-fine della paranoia sanitaria mediatica
ed il tempo ha voluto dire la sua.

Prima neve sotto i 1000 metri

Poi un po' di sole che ha sciolto la neve

Poi il primo temporale della nuova stagione

Cosa poteva mancare ?

Una bella grandinata......alla salute di speranza.

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Dulcis in fundo, le montagne si sono liberate dalle nubi..........

NEVE SINO A 500 METRI
 
Ultima modifica:
Si era parlato di lui come di un ciarlatano, di uno stregone.

Ora, invece, la figura del medico Giuseppe De Donno sta andando incontro a una riabilitazione a tutti gli effetti,

con il Dipartimento della Difesa americana che ha riconosciuto l’importanza delle cure da lui proposte.

Un parere condiviso anche dai National Institutes of Healt (Nih), agenzia governativa che si occupa di ricerca in ambito sanitario.


L’ex primario di pneumologia dell’ospedale Carlo Poma di Mantova aveva avuto l’intuizione

di utilizzare il sangue “convalescente”, di pazienti in via di guarigione, per trattare i malati di Covid.


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De Donno si è tolto la vita la scorsa estate, senza la soddisfazione di veder riconosciuto il proprio lavoro,
come invece accaduto oggi con il benestare degli studi provenienti dagli Stati Uniti.

Il medico sosteneva di essere riuscito a curare il 90% dei pazienti trattati grazie alle sue intuizioni,
ma era stato vittima di violenti attacchi mediatici, in un’Italia in cui il vaccino era (ed è tutt’ora)
l’unico strumento possibile da impiegare contro il Covid, guai chi si azzarda a mettere in discussione questo passaggio.

Con sommo beneficio, ovviamente, delle aziende farmaceutiche, ancora impegnate a contare incassi miliardari.


“La terapia funziona e costa pochissimo. E io sono un medico di campagna, non un azionista di Big Pharma”.


Lo studio americano, fresco di pubblicazione sul The New England Journal of Medicine, è arrivato alla conclusione che
“tra i partecipanti, pazienti affetti da Covid-19, la maggior parte dei quali non vaccinati,
la somministrazione di plasma convalescente entro 9 giorni dall’insorgere dei sintomi
ha ridotto il rischio di progressione della malattia che porta al ricovero in ospedale”.


Inoltre, sempre secondo la ricerca, al contrario dei monoclonali che sono costosi da produrre e richiedono tempo,
il plasma “non ha limiti di brevetto ed è relativamente poco costoso, perché molti singoli donatori possono fornire più unità”.

De Donno aveva sperato che l’Aifa approvasse ufficialmente la cura a base di trasfusioni di plasma,
ricevendo una grandissima delusione dopo il rifiuto.


Il medico si era tolto la vita il 27 luglio 2021.
 
1 a zero. Palla al centro.

Il Tar del Lazio ha annullato il vergognoso e antidemocratico provvedimento di Daspo ai danni di Stefano Puzzer,
uno dei principali attivisti No Green Pass che aveva animato la protesta del porto di Trieste.

Sul dispositivo della sentenza visionato da LaPresse si legge che il tribunale amministrativo regionale
condanna il ministero dell’Interno al pagamento delle spese di giudizio in favore del ricorrente
e le liquida nella misura di euro 1.000,00 oltre accessori di legge”.

Puzzer, nel ricorso contro il provvedimento di Daspo,
contestava il rimpatrio da parte del questore di Roma nel comune di Trieste,
con divieto di tornare nella Capitale senza autorizzazione per un anno.

Una cosa che non era mai stata fatta neanche per i peggiori criminali.


Ricorderete che Puzzer aveva semplicemente e pacificamente allestito un banchetto.

Secondo il dispositivo – si legge – “l’Amministrazione non ha formalmente contestato tali risultanze,
né ha indicato concrete e significative situazioni di pericolo derivanti dal comportamento del ricorrente,
tali da poterne inferire un effettivo potenziale pericolo per la sicurezza pubblica,
nelle circostanze di luogo e di tempo che costituiscono la motivazione sostanziale del provvedimento impugnato”.

Inoltre “né il provvedimento può legittimamente fondarsi sulle sole segnalazioni del ricorrente all’Autorità Giudiziaria – scrivono i giudici –
ovvero sulla contestazione relativa all’organizzazione di una manifestazione non autorizzata,
che – oltre a non essere state accertate in maniera definitiva – non possono da sole sorreggere la misura,
in assenza di ulteriori e concreti elementi di fatto che fungano da indispensabili criteri di collegamento spazio-temporale
tra le esigenze di prevenzione ed uno specifico territorio (…), con riferimento ad un delimitato periodo temporale di un anno”.


In assenza di tali elementi “anche la durata della misura risulta sprovvista di una valida giustificazione causale,
non risultando ancorata ad una oggettiva e percepibile esigenza di prevenzione della sicurezza urbana,
e risultando pertanto insuscettibile di una reale valutazione in termini di congruità e proporzionalità
della limitazione della libertà di circolazione sul territorio nazionale.
Infine deve ritenersi poco pertinente anche la motivazione relativa all’esigenza di dislocare un massiccio presidio di sicurezza,
che avrebbe distratto le forze di Polizia da altri obiettivi sensibili, in quanto tale affermazione non è risultata confermata
dalla documentazione probatoria versata in atti, né appare di per sé idonea a dimostrare un effettivo turbamento della sicurezza pubblica,
in assenza di documentati disordini”.


Alla luce di tali considerazioni, il ricorso di Puzzer è stato accolto con annullamento del provvedimento impugnato.


A caldo Puzzer ha così commentato:

“È stato riconosciuto che io non ho commesso nessuna mossa illegale.
E’ una piccola vittoria di tutti, abbiamo recuperato un sassolino dei nostri diritti.
Oggi è un granellino che bisogna mettersi in tasca per continuare a batterci per i nostri diritti”.
 
Il made in Italy fa male, secondo Bruxelles,

che da tempo ha iniziato una guerra spietata ai nostri formaggi,

ai nostri salumi, ai nostri vini.


I pesticidi, invece, tutto sommato non sono così pericolosi.


Questa la conclusione alla quale è giunta l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Esfa),
che nel rapporto annuale sui residui di prodotti chimici negli alimenti, relativo al 2020 e appena pubblicato,
ha parlato di “rischi improbabili per la salute dei consumatori” del Vecchio Continente.


Difficile non lasciarsi andare a commenti sarcastici.


Confrontando i dati dell’ultimo dossier con quelli del 2017,
si nota tra l’altro una tendenza in crescita nei limiti residui per alcuni prodotti
quali riso, arance, pollame e fagioli secchi.

Durante il 2020, l’Esfa ha esaminato oltre 88 mila campioni,
di cui il 94,9% contenenti residui di pestidici entro i limiti fissati dall’Unione Europea,
e analizzato un sottogruppo di 12 mila campioni nell’ambito di un programma pluriennale coordinato dall’Ue
(denominato Macp Ue) che si basa su controlli casuali su un paniere di dodici prodotti.


A preoccupare maggiormente è il riso, passato dal 2,1% (2014) al 6,7% del 2020,
e nei fagioli secchi (dal 2,3% del 2017 al 4,9%).

Per questi due prodotti l’Efsa ha consigliato agli Stati membri di proseguire e intensificare i controlli nazionali.

Indice di contaminazione in crescita anche nelle arance (da 1,5% a 2,9%)
e nelle pere (da 1,6% al 2,3%), e in misura minore nel pollame grasso (dallo 0% del 2014 e del 2017 allo 0,06% dei dati odierni).

Una tendenza all’aumento dal 2017 al 2020 è stata osservata anche nelle varie qualità di kiwi (da 1,3% a 1,96%)
e nel cavolfiore (da 0,8% nel 2017 a 1,0% nel 2020).
 
Certo che l'Italia non riesce a fare a meno di un clima disteso e tranquillo...

Per carità, politica e COVID sono state cose indivisibili in tutti i sensi.

Il top della degenerazione secondo me c'è stato con "I monoclonali di Trump" e "Il vaccino di Putin".


Ci sono svariati motivi per cui parlare di Sputnik in Europa non aveva senso, e magari domani li ripercorriamo.


Oggi invece vorrei sottolineare come, tanto per cambiare, si stia arrivando alla pura surrealtà.


"Lo Spallanzani, infatti, si è scambiato con il Gamaleya numerosi dati sensibili relativi al Covid".

Dati sensibili?

Ma quali, ma cosa e sopratutto macchec...



Come se lo Spallanzani avesse per le mani chissà che cosa, riguardo a COVID,
e come se quanto a COVID in Italia siano mai esistiti dati sensibili (dati riservati sì, eccome, tipo i numeri del Registro Veklury).

"Inoltre, tutte le persone della missione ebbero libero accesso a laboratori, ospedali e dati
tanto che qualche mese dopo il New Yorker rivelò che il Dna di un cittadino russo
che si era ammalato in Italia il 15 marzo era stato usato per elaborare Sputnik".


Ma dai... dunque, vediamo, il genoma dei virus era già di pubblico dominio,

si pubblicava a manetta qualsiasi cosa rendendola pubblica come preprint,

e nei laboratori degli ospedali lombardi c'erano segreti di un qualche genere?


La Russia ha rubato il "virus italiano" facendo ammalare uno dei membri della spedizione per poi sviluppare il vaccino?


Pare che non ci sia alcuna remora nel produrre plateali insulti all'intelligenza, e non è certo una novità.




Che gli "aiuti" russi siano stati gestiti nello stesso modo
in cui tra 2020 e 2021 e' stato gestita tutta l'emergenza COVID non ho dubbi.

Che i russi abbiano usato la missione per attività di intelligence è largamente probabile,
però se si scrive che l'obiettivo erano dati su COVID
forse forse non è che si stia facendo proprio un gran giornalismo.

Quanto allo Spallanzani... dalle esternazioni del suo Direttore Scientifico
alla sperimentazione di Sputnik, passando per il vaccino Reithera,
direi che la linea politica dell'istituto sia assolutamente coerente.


Ovvio, sarebbe preferibile che certe istituzioni sanitarie non avessero una linea politica.


E sarebbe preferibile avere la pace nel mondo.
 
Dato che il pubblico ha mediamente una memoria molto corta

perlopiù non si ricorda della caciara del primo quadrimestre 2021 su vaccini e geopolitica,

una cortina fumogena venuta su a partire da una banale evidenza:

il piano di approvvigionamento vaccinale europeo invece che non lasciare indietro nessuno

aveva lasciato indietro tutti.



La scarsità dei vaccini autorizzati creava una situazione in cui si poteva muovere di tutto,
e così è stato, a cominciare dalle varie uscite su vaccino italiano e produzione italiana di vaccini anticovid,
su cui si pronunciarono in quanto "scienziati" emeriti incompetenti in materia
- infatti la scarsa disponibilità di vaccini autorizzati cessò in autunno -
quando qualcuno che almeno sa informarsi dalle fonti corrette
aveva scritto che sarebbe cessata (e non era una previsione, bastava leggere quanto pubblicato all'epoca).


E inutile dire che il discorso Sputnik in quel clima non poteva non trovare spazio,
e ricordo che quando uscì il famoso paper su Lancet
i pareri furono variamente positivi (me ne ricordo pure uno di Mantovani).

Ovviamente il piccolo insignificante dettaglio che farmaci o vaccini o non
vengono approvati con la pubblicazione di un articolo pirriviued continuava a sfuggire a molti,
e a ruota arrivò la notiziona: Sputnik prodotto in Italia.

Ovviamente non se ne fece niente né niente se ne sarebbe potuto fare,
perché era piuttosto evidente che la pratica Sputnik presentata a EMA era una mossa propagandistica,
con Gamaleya che nonostante le dichiarazioni non aveva intenzione di fornire tutta la documentazione
e tanto meno di far ispezionare l'impianto di produzione.

Quindi non solo si parlava di un vaccino non autorizzato (cosa non proprio strana, all'epoca)
ma che veniva prodotto in stabilimenti mai ispezionati o autorizzati né da EMA né da FDA.


Notevole che allo Spallanzani si sia avviata la sperimentazione
di un vaccino la cui produzione in cGMP non è certificata da alcun regolatore occidentale
(perché sapete com'è , in occidente sarebbe obbligatorio che il materiale utilizzato nelle sperimentazioni cliniche
sia prodotto secondo norme di buona fabbricazione certificate in impianti certificati da EMA o FDA...
poi, quando non si tratta di trial finalizzati all'approvazione di un farmaco, i comitati etici approvano un po' la qualunque).


Quindi tranquilli: tra emergenza COVID e emergenza guerra in Ucraina l'informazione ha mantenuto esattamente lo stesso standard qualitativo.
 
Tra la guerra in Ucraina,
l’attesa della fine dello stato di emergenza,
l’altalena del prezzo delle materie prime in genere e della benzina in particolare,

è passata quasi in sordina la notizia per cui a Bologna è stata annunciata la patente digitale del cittadino virtuoso,
la cui sperimentazione dovrebbe iniziare dopo l’estate su base volontaria.


Di cosa si tratta esattamente e perché dovrebbe destare preoccupazione?

In sostanza, è una grande esperimento sociale,

necessario per verificare il grado di adesione dell’opinione pubblica,

con cui si intende dotare ogni cittadino che ne farà richiesta di una patente digitale

con dei punti che potranno essere guadagnati o perduti in base alle virtù socio-culturali del titolare.



Così
se il titolare utilizzerà i mezzi pubblici invece dei suoi privati,
se e come riciclerà i rifiuti,
se parteciperà a eventi culturali,
se non prenderà sanzioni dalla polizia municipale,
se gestisce bene l’energia
il titolare guadagnerà punti;

analogamente, e per converso, i punti verranno sottratti nei casi opposti e in tutte le altre eventualità previste.

I punti guadagnati potranno essere utilizzati per benefici come le scontistiche
o la partecipazione ad altri eventi culturali.


Nonostante i più ingenui possano ritenere che non vi sia nulla di male

nella circostanza per cui lo Stato possa e debba indurre i propri cittadini a divenire più virtuosi,

la proposta è invece quanto mai preoccupante meritando alcune riflessioni in merito.
 
In primo luogo:

che lo Stato debba fornire una educazione al rispetto dei precetti sociali e giuridici è cosa buona e giusta,
sebbene il sistema scolastico già da decenni ha dimostrato la propria totale inefficienza nel raggiungimento di tali obiettivi
per diverse motivazioni che in questa sede non importa analizzare;
ma ritenere che lo Stato debba formare cittadini virtuosi è cosa differente e di assoluta gravità
poiché significa trasformare il cittadino in suddito o scolaro a vita da addestrare
e lo Stato in una entità etica che esso per natura non è, o non nel senso prospettato dalla suddetta proposta.



Peraltro, una cosa è educare dei minorenni alle regole essenziali della civile convivenza,
ai valori costituzionali, ai principi universali dell’umano,

altra cosa, invece, è pretendere di sottoporre a un addestramento morale continuo e perpetuo
i maggiorenni che non si sono saputi educare quando erano minorenni
a causa delle strutturali deficienze del sistema educativo scolastico in genere
e della povertà umana e culturale della stragrande maggioranza del personale docente.



La crisi educativa dello Stato, del resto, è la medesima di cui soffrono da decenni le famiglie e la Chiesa;
tuttavia, bisognerebbe comprendere da parte di tutti che ciò che si è perduto
nel focolare domestico,
nella classe scolastica e
nell’oratorio parrocchiale

non può essere recuperato tramite sotterfugi,

espedienti o scorciatoie pensate per riparare tardivamente i danni procurati nel corso del tempo.
 

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