Utopia o realtà ? La LIBERTA' di espressione va difesa ora, perchè domani sarà troppo tardi......e ce ne pentiremo.

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Vi ricordate quando nel mezzo del delirio Covid ci spiegarono come lavarci correttamente le mani?

E di quello che fecero spendere ai ristoratori, albergatori e esercenti di bar e locali in avvisi plastificati da esporre in bella mostra?

Li trovate ancora appesi ai muri dei bagni come monito o reperto di una stagione dove iniziarono a trattarci come idioti
senza che nessuno dicesse beh a parte i soliti rompiscatole cui appiccicarono le peggiori etichette.


Ahimè quella stagione non è affatto finita;
non è finita sotto le insegne dell’emergenza Covid
(industria che sta arricchendo virologi ormai star tv e scrittori di libri in batteria)
visto che i nostri bambini e ragazzi devono ancora usare a scuola le mascherine.

E non è finita ora che la guerra in Ucraina ci obbliga a fare i conti con la dipendenza dal gas russo.


Come reagire allora a tanta brutalità?

Con i consigli pratici della zia euroPeppina, messi nero su bianco così che resti traccia.



“Fare la mia parte:
come risparmiare denaro,
ridurre dipendenza dall’energia russa,
sostenere l’Ucraina
e salvare il Pianeta”,

rigorosamente scritto con la P maiuscola perché mica stiamo qui a pettinare le bambole.

Grazie all’intenso lavoro della Commissione europea finalmente possiamo dare un senso alla nostra euro-militanza.

E – badate bene! – risparmiare ben 500 euro all’anno in media.


Ma non è meraviglioso?

Con nove mosse
diamo una bella lezione a Putin,
aiutiamo gli ucraini
ed in più risparmiamo 500 euro! Fantastico.


Lo so che alle multinazionali e alle grandi banche danno montagne di soldi
dopo un intenso lavoro dei lobbisti però non si può avere tutto adesso.

Ah, chiedere da dove abbiano tirato fuori tale calcolo di risparmio è inutile
perché in Europa il metodo di solito è spannometrico,
come dimostrato dai famosi parametri tipo il 3 per cento debito/pil con cui hanno ucciso la nostra economia.
 
Allora vediamoli questi nove consigli miracolosi partoriti dalle menti di Bruxelles. Eccoli.


1.Abbassare il riscaldamento e usare meno l’aria condizionata
Fa un po’ meno scena di “preferite la pace o i condizionatori?”
ma mica tutti possono essere Mario Draghi.


2.Regolare i parametri della caldaia
Che poi è pure uno dei punti spesso in discussione nelle riunioni di condominio


3. Lavorare da casa
Così la bolletta dell’energia te la paghi tu e non il datore di lavoro che, poveretto, ha già tanti grattacapi.
E poi ci portiamo avanti con l’abitudine di stare a casa quando il lavoro sparirà del tutto.


I punti che seguono vanno letti d’un fiato così magari vai in apnea e soffri di meno per le tesi rivoluzionarie indicate.


4. Usare la macchina in modo economico

5. Ridurre la velocità in autostrada

6. Non usare l’auto di domenica in città


Eh, avete visto cos’hanno tirato fuori dal cilindro quelli della Commissione?
E noi che li sottovalutiamo sempre!


Per non prendere la batosta dal distributore basta dunque non prendere la macchina
o non esagerare con la tavoletta del gas.

Avrebbero potuto aggiungere di scendere dall’auto e spingerla così da combinare anche l’esercizio fisico.


Ci potrebbero arrivare con l’aggiornamento del quasi decalogo,
nel frattempo accontentiamoci del punto 7.

Camminare o andare in bici per tragitti brevi invece di usare la macchina


E per finire in bellezza ecco gli ultimi due punti per far cacare sotto quel macellaio di Putin

8. Usare i mezzi pubblici

9. Prendere il treno al posto dell’auto


Già, se non fosse che coi tagli dell’austerity imposta dall’Europa il trasporto locale lo hanno ridotto uno schifo.

Ma a loro che gliene importa?

Loro sono quelli che prima dell’emergenza Covid una volta al mese traslocavano dal parlamento di Bruxelles a quello di Strasburgo,
con tanto di tir sulle autostrade per il trasporto dei documenti.


Tanto gli idioti siamo noi no?


A proposito, andate a lavarvi le mani e seguite i buoni consigli della zia EuroPeppina.
 
Il presidente emerito di sezione della Cassazione Pietro Dubolino
prosegue la riflessione
sui termini dell’appoggio italiano alla difesa dell’Ucraina,
alla luce del dettato costituzionale e di alcune dichiarazioni del presidente Zelensky.

L’intervento riprende, con qualche modifica, quello pubblicato il 12 aprile dal quotidiano La Verità.



Il presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato
ha di recente voluto spiegare come e perché l’invio di armi all’Ucraina da parte dell’Italia,
nell’attuale situazione di guerra tra la stessa Ucraina e la Russia,
non contrasterebbe con l’articolo 11 della nostra Costituzione, nel quale si afferma che:

“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.


Tale ripudio, infatti – ha osservato Amato – non è assoluto,
tanto che la stessa Costituzione prevede, in altri articoli,
che l’Italia possa trovarsi in stato di guerra.

Ciò è sicuramente vero, ma vale soltanto a condizione che la guerra sia intrapresa e condotta
a scopo puramente difensivo contro una ingiusta aggressione,
pur se subita da un paese diverso dall’Italia non essendo essa diretta, in tal caso,
né ad offendere la libertà di altri popoli, né a risolvere, con l’uso della forza, una controversia internazionale.


Questa sarebbe appunto la condizione che oggi si verifica nel caso dell’Ucraina.


Con il che non può dirsi, però, che ogni problema sia automaticamente risolto.

Anche la guerra che nasce come puramente difensiva, infatti,
perde la sua legittimità quando, respinta o comunque contenuta l’aggressione, alla finalità puramente difensiva ne subentri un’altra,
quale per es. quella di ritorsione nei confronti dell’originario aggressore.

Una tale finalità contrasta anche con l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite,
secondo cui ogni Stato può esercitare “il diritto naturale di autotutela” quando sia stato oggetto di “un attacco armato”.

Tale diritto per sua stessa natura cessa al momento stesso in cui cessa l’immediato pericolo per fronteggiare il quale esso sia stato esercitato.

Ciò è in linea, del resto, con il comune principio della legittima difesa,
per cui a ciascuno è consentito di difendersi dalla violenza altrui
ma non gli è anche consentito, quando l’aggressore sia stato messo in condizione di non nuocere,
di esercitare a sua volta violenza contro di lui,
a scopo punitivo o anche solo per dissuaderlo dall’eventuale proposito di ripetere l’aggressione.


Vi è poi da osservare che quando lo Stato aggressore abbia agito
nell’intento di salvaguardare interessi che di per sé siano da considerare legittimi, e quindi meritevoli di tutela,
l’illegittimità dello strumento adoperato per realizzarli non comporta, come automatica conseguenza,
che essi non possano o non debbano più essere, in assoluto, riconosciuti.

Allo stesso modo, infatti, nell’ambito dei rapporti interpersonali, non perde i suoi diritti, quando gli stessi siano oggettivamente fondati,
il soggetto che, per realizzarli, invece di ricorrere al giudice, abbia cercato di farsi giustizia da solo con violenza o minaccia alla persona,
così commettendo il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni previsto dall’articolo 393 del Codice penale,
esponendosi quindi, oltre che alla prevista sanzione penale, anche alla legittima reazione difensiva delle persona offesa.


Ciò comporta che, respinta o contenuta l’aggressione da parte dello Stato aggredito,
rimane uno spazio per un doveroso negoziato che abbia a oggetto, per un verso,
le originarie pretese dello Stato aggressore, nella misura in cui le stesse avessero, in tutto o in parte, un oggettivo fondamento,
e per altro verso le pretese dello Stato aggredito a ottenere le dovute riparazioni, unitamente ad adeguate garanzie che l’aggressione non abbia a ripetersi.


Il rifiuto “a priori” di una tale prospettiva da parte dello Stato aggredito

fa sì che la guerra cessi, per ciò stesso, di essere puramente difensiva,

e perda quindi il suo carattere di legittimità.
 
Nel caso dell’Ucraina,

risulta dalle dichiarazioni (mai smentite) del presidente Zelensky a Fox News il 2 aprile scorso

che la guerra con la Russia non potrebbe aver fine

se non con il conseguimento di una non meglio precisata “vittoria” da parte dell’Ucraina.



Il che ben potrebbe intendersi come rifiuto, appunto, “a priori”, di ogni soluzione negoziale del conflitto,

anche nell’ipotesi che l’invasione da parte della Russia venisse definitivamente bloccata

e si desse luogo, pur se in via di mero fatto, a una tregua fra i belligeranti.




Se così fosse, la guerra, per quanto sopra detto,
non potrebbe più essere considerata puramente difensiva
ma assumerebbe piuttosto le connotazioni di un mezzo di risoluzione
(vietato, per l’Italia, dall’articolo 11 della Costituzione),
della già preesistente controversia internazionale tra Russia ed Ucraina,
avente a oggetto, nell’essenziale, l’adesione o meno di quest’ultima alla Nato
(vista dalla Russia, non del tutto ingiustificatamente, come una minaccia alla propria sicurezza),
e la destinazione finale della Crimea e della regione del Donbass
(la prima delle quali, peraltro, già in possesso, di fatto incontrastato, della Russia fin dal 2014).


Nell’obiettiva incertezza circa il vero significato da attribuire alla riportate dichiarazioni di Zelensky,

dovrebbe quindi essere posta a quest’ultimo, come condizione inderogabile per ottenere l’invio delle armi,

quella costituita dalla formale, espressa assicurazione che l’Ucraina, pur continuando a combattere legittimamente le forze di invasione,

punta esclusivamente a creare le condizioni per essa più favorevoli a una soluzione negoziata del conflitto

e non si pone, invece, come proprio obiettivo, la pura e semplice la sconfitta del nemico sul campo.


Una tale assicurazione, per quanto essa possa valere, Zelenski sarebbe pure disposto, forse, a rilasciarla.


Ma c’è qualcuno disponibile a chiedergliela,

ben sapendo che la cosa sarebbe tutt’altro che gradita a Bruxelles e a Washington?
 
L’Italia fatica a spendere i soldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza,
eppure dalla politica si solleva la richiesta di “un nuovo Recovery”.

Da ultimo lo ha invocato il ministro della Salute e segretario di Articolo Uno, Roberto Speranza.

Commentando la rielezione di Emmanuel Macron, egli ha detto che
“con Francia e Germania si potrà promuovere una nuova politica espansiva”
e disegnare “un intervento che possa mitigare gli effetti del carovita”.

Come?

Riducendo i prezzi dell’energia,
adottando politiche di “regolazione dei prezzi
e “se necessario potremo toccare ancora gli extra-profitti”.

All’apparenza può apparire un mero minestrone di slogan e forse lo è.

Ma non si può non notare la sempre maggiore frequenza con cui i nostri leader politici
pretendono che l’intervento eccezionale del Next Generation Eu,
disegnato per promuovere la ripresa dopo la crisi del Covid-19,
entri a far parte degli strumenti ordinari del bilancio europeo.


Ci sono almeno tre problemi in questo approccio.


Il primo è che il Next Generation Eu è stato il frutto di un tribolato compromesso tra i Paesi del nord,
tradizionalmente più attenti al rigore dei conti e quelli del sud.


Proprio l’Italia era ed è l’osservato speciale: il maggior beneficiario dei fondi dell’Unione europea,

uno dei sette che hanno attivato la linea dei prestiti oltre a quella del finanziamento a fondo perduto,

uno dei tre che hanno tirato interamente le somme disponibili

e forse l’unico a integrare con 30 miliardi di risorse nazionali.



Al momento non stiamo dando una grande prova di noi:

non solo l’allocazione dei denari europei è più che discutibile (altro che debito buono),

ma già si cominciano a vedere le difficoltà a far funzionare la macchina

ed il tentativo furbetto di utilizzare i soldi per finalità diverse da quelle pattuite in sede europea.


Secondariamente,
il denaro pubblico non cresce sugli alberi:

esce dalle tasche dei cittadini presenti (attraverso le tasse) e futuri (il debito).

Chiedere un potenziamento del bilancio comune,
senza mettere in discussione il livello di spesa nazionale,
significa presupporre un incremento strutturale della pressione fiscale complessiva,
dando peraltro per scontato che ci sarà un flusso finanziario costante a favore dell’Italia.

Ora, poiché in Europa i fondi scorrono dai Paesi ad alto reddito verso quelli a basso Pil pro-capite,
ciò equivale ad accettare come un fatto della vita che l’Italia sia destinata a restare nel ghetto dei Paesi poveri,
non solo senza la speranza di uscirne, ma addirittura senza l’ambizione di farlo.



Terzo, la pretesa di utilizzare soldi e regole europee per tenere sotto controllo i prezzi dell’energia è non solo fallimentare
– perché non può eliminare le cause degli alti prezzi, cioè la scarsità e l’incertezza –
ma è anche sbagliata e contraddittoria.


Non si fa altro che parlare di transizione ecologica e dell’esigenza di superare i combustibili fossili:

ebbene, adesso che i segnali di mercato ci spingono in quella direzione,

sembriamo pentirci di quel che abbiamo per anni dipinto come la terra promessa della liberazione verde.


Questo dovrebbe aiutarci a capire che le politiche per la decarbonizzazione

vanno concepite in modo meno superficiale e più attento ai loro costi sociali

e all’effettiva sostituibilità delle fonti tradizionali.



Certo, dovremmo anche interrogarci sullo stato del dibattito di un Paese che, periodicamente,

si trova in una situazione drammatica a causa di scelte passate

e che ogni volta pensa che la soluzione stia nell’elemosinare soldi altrui.


Il problema più profondo, insomma, non sta nel merito della proposta di Speranza,

ma nel fatto che essa sia nella sostanza condivisa da politici di destra e di sinistra

e che quindi si sia costretti a commentarla.
 
Cioè. Fatemi capire :

La Corte Costituzionale ha stabilito che l’attribuzione automatica del cognome del padre ai bambini è “discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio“.


Qui non si dice che il nascituro debba avere 2 cognomi,
ma si dice solo che "l'attribuzione automatica" è discriminatoria.

Significa che al momento dell'iscrizione all'anagrafe i genitori dovranno - presumo -
presentare un documento dove - concordamente - indicheranno la scelta del cognome.

Non è assolutamente vero che - matematicamente - il nascituro avrà 2 cognomi.


Qualcuno - a caso - dovrà ora emanare le disposizioni.


Fosse vera la stronzata del doppio cognome,
domani il nascituro porterà il cognome Rossi Bianchi

dopo 25 anni - nel 2047 - si sposerà con la signora Neri Bergonzoni

Il bambino che nascerà, si chiamerà Rossi Bianchi Neri Borgonzoni ?


E nel 2070 avremo un nascituro che si chiamerà Rossi Bianchi Neri Bongonzoni Redaelli Dell'Oro Lalomia Gerardi ?
 
Ragazzi qui la demenza è super extra super
e noi aspettiamo la sansara......(zanzara per i normali)

La dannata faccenda dell’idiozia globale, o se preferite globalista, è che è un vaso di Pandora:

lo apri, i venti di cazzate si mettono a soffiare ovunque e nessuno riesce più a rimetterli dentro.



Finché nessuno si accorge, ad esempio, che gli antiglobalisti, quelli convinti,
non senza un certo narcisismo patologico, che qualsiasi cosa accada sulla terra sia colpa dell’atlantismo Nato e americano,
si dopano di feticci americani tipo Netflix che è la vestale del woke, del censurismo politicamente corretto:

mai una serie che non sia colma di stereotipi, i telefilm col Cencelli delle minoranze, per colore e per sessualità, gli autodafè,
tutta spazzatura che dà il viatico ai cartoni animati da vietare, o da riscrivere in versione pornogender.


Insomma c’è sempre una ragione per imporre/proibire qualcosa.


Alla fine il vaso di Pandora degenera in manicomio criminale:

da una parte quelli che giustificano qualsiasi cosa,

dall’altra quelli che si esaltano a iniziative deficienti ed infami
tipo proibire di suonare gli autori russi
o non lasciare giocare i tennisti russi.


In questa miseria dell’umanità, che poi significa del buon senso,
ci può dunque stare l’ultima – come definirla altrimenti – puttanata ?

Cambiare titolo ad un film, se no i fanatici, nella fattispecie filoucraini, se ne adontano.

C’era una pellicola, anche se ormai sono digitali, francese che parlava di zombie, con la Z,
con che altro sennò? Sombie? E difatti si chiamava “Z (comme Z)”. Niente da fare.


Siccome sui carrarmati russi c’è la Z che nella Seconda Guerra Mondiale stava per resistenza al nazismo
allora il pensiero della sinistra stronzi e caviar ha deciso di abolire la Z dappertutto,
se occorre multando chi ancora la tiene, de il regista Hazanavicious,
che ha la faccia giusta del paraculo che capisce tutto un momento prima,
non ha avuto dubbi e ha ribattezzato la creatura “Coupez!”.

Così l’Istituto Ucraino, che si contorceva inorridito, s’è calmato.

“Coupez!” in francese significa “taglia”, e assume un irresistibile retrogusto autoironico:

Hazanavicious si è tagliato, si è amputato, e ne va fierissimo con la scusa che
“Dal momento che la lettera Z ha assunto un significato bellicoso con la guerra di aggressione
condotta contro l’Ucraina dal governo russo, non può esserci tale confusione o ambiguità”.


Ma dilla giusta.

Dilla che è tutta una questione di soldi, di immagine,
temevi il boicottaggio, di passare per filorusso e ti sei tagliato le balle.


In questo Occidente che si va suicidando nei modi più avvilenti
le dittature non mancano e sono tutte di pensiero, poco, e di azione, troppa e sciagurata.

Dai, su, non c’è niente di male in un tempo malato in cui zio Paperone deve morire perché capitalista
e Minnie se la fa con Clarabella mentre Pippo guarda, secondo i dettami del pensiero accettabile.

E Cristoforo Colombo deve sparire perché ha scoperto il Paese dell’imperialismo yankee,
e si pensa di raddrizzare la pianta storta dell’umanità impedendole qualche consonante, tagliuzzando l’alfabeto.


Dal cambiare la trama e il finale dei film al riscriverne il titolo è un attimo.

Sorro, l’eroe mascherato.

Sabriskie Point.

Sorba il Greco.

Sanna bianca, e già bianca sta sulle balle.


E gli Zulu?

Possono continuare o debbono estinguersi o almeno ridefinirsi in Sulu?


Allo Zelig, il famoso locale sul viale Monza a Milano, stanno già cambiando l’insegna, “Selig”.


Il famoso cantante Renato Sero, quello di “Mi Vendo”, “Triangolo” e il “Carrossone”.


Dio bono, quanto lavoro resta da fare per salvare il pianeta.

Oggi Costa-Gavras non girerebbe più Z l’orgia del potere” ma “S, l’orgia della scemenza”.
 
FOIA: è quella cosa per cui, a due anni e anche meno dagli eventi,
una serie di mail dirette ad Hahn (ai tempi commissioner di FDA) sono diventate pubbliche.

E il panorama non è edificante.


Gilead, Roche, Regeneron, Merck, tutte impegnate in comunicazioni "non canoniche" con l'agenzia,
facendo pesare la politica che le spalleggiava.

Quella politica che voleva strumenti contro COVID19 e subito, e che aveva messo su Operation Warp Speed.


Faccio notare un dettaglio insignificante:

mentre queste informazioni diventano pubbliche

gli SMS tra Von Der Leyen e il CEO di Pfizer Bourla continuano ad essere uccel di bosco

e in Italia il segreto di stato sulla zona rossa a Bergamo è solo l'ultimo caso di cronaca

(secretata una certa riunione del Comitato Tecnico Scientifico di AIFA, il registro Veklury, etc).



Anche senza queste informazioni era facile rilevare da quelle disponibili all'epoca q
uale pressione fosse stata esercitata dalla politica su FDA,
e qua sopra se ne è parlato abbastanza spesso, ai tempi.

Ed è anche stato rilevato come l'agenzia all'epoca abbia resistito, per quanto con fatica, alle pressioni politiche.


Che, vi ricordo, non sono cessate con l'amministrazione Biden, anzi.

La gestione Woodcock e le pressioni della nuova amministrazione sono state anche più distruttive,
provocando effetti inediti come le dimissioni dei vertici dell'ufficio vaccini di FDA .


Vertici che non se ne sono andati in silenzio

quando l'amministrazione Biden premeva per la terza dose erga omnes in assenza di dati a supporto della scelta.


In ogni caso se oltreoceano il FOIA c'è e funziona,

guardatevi attorno e notate quel che succede in una certa penisola protesa nel mediterraneo.


E parlate pure male di FDA dalla vostra posizione di inattaccabile superiorità morale.
 
Da leggere Domenico Quirico sulla “Stampa”, non un filoputiano che scrive: basta ipocrisie, l’America vuole la guerra totale.


Paolo Gentiloni dà la colpa al Cremlino sulle divisioni dell’Europa. Ma per favore!


Gas, il boom di Gazprom.


Covid, sulla proroga dell’obbligo mascherine titola bene il “Quotidiano Nazionale”: “Ci eravamo illusi, la mascherina resta”.


Mario Giordano e la follia di metterla ai ragazzini a scuola.


Morto sul lavoro alla Farnesina mentre ripara gli ascensori:

siccome il committente è un ente pubblico allora poco spazio sui giornali.


Non c’è l’imprenditore cattivo, ma il morto sì

e per 15 ore nessuno se n’è accorto.
 
l corpo straziato di Fabio Palotti, l’operaio 39enne morto ieri mattina alla Farnesina,
è stato ritrovato quasi 15 ore dopo l’incidente, da un collega
che si è accorto della sua macchina ancora parcheggiata fuori dal ministero
nonostante il suo turno fosse finito alle 22 della sera prima.

Come ricostruito da Repubblica il ragazzo lavorava per la Smae ascensori di Roma,
che ha un appalto per la manutenzione 24 ore su 24 al Ministero degli esteri.

Il suo orario era dalle 14 alle 22.

Ma già alle 18:25 il suo cellulare non risultava più raggiungibile.

Non si sa dunque quando sia rimasto schiacciato dall’ascensore che stava riparando all’interno della struttura, in cui lavorava dal 2018.


Per evitare la morte, l’operaio avrebbe dovuto utilizzare il freno di emergenza,
ma qualcosa glielo ha impedito, in quanto il sistema è rimasto in funzione.

Le indagini per omicidio colposo della Procura di Roma e dei carabinieri
si concentreranno ora sull’ipotetico malfunzionamento della pulsantiera di manutenzione o su un errore umano.


Bisogna capire come sia possibile che nessuno, per 15 ore,

si è accorto che nel piano seminterrato c’era un cadavere.


“Come è possibile che da ieri solo stamattina è stato ritrovato mio figlio?

Non c’è una vigilanza, un controllo interno?

Vogliamo sapere come è andata, abbiamo nominato un avvocato”
 

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