Utopia o realtà ? La LIBERTA' di espressione va difesa ora, perchè domani sarà troppo tardi......e ce ne pentiremo. (7 lettori)

Val

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Le fonti energetiche


L’Ucraina è il secondo Paese in Europa dopo la Russia per riserve di gas naturale, ha giacimenti per oltre un trilione di metri cubi.

Tali riserve, sotto il Mar Nero, sono concentrate intorno alla Penisola di Crimea.

Inoltre, sono stati scoperti grandi giacimenti di gas di scisto nell’Ucraina orientale, intorno a Kharkiv e Donetsk.


Nel gennaio 2013, l’Ucraina hafirmato un accordo cinquantennale da 10 miliardi di dollari con la Royal Dutch Shell
per le attività di esplorazione e trivellazione del gas naturale nell’Ucraina orientale.

Nello stesso anno, Kie ha firmato un accordo di condivisione della produzione di gas di scisto della durata di 50 anni
da 10 miliardi di dollari con la compagnia energetica americana Chevron.

Shell e Chevron si sono ritirate da questi accordi dopo che la Russia ha annesso la Penisola di Crimea.


Alcuni analisti ritengono che Putin abbia annesso la Crimea
per impedire all’Ucraina di diventare un importante fornitore di petrolio e gas in Europa
e sfidare così la supremazia energetica della Russia.

La Russia, essi sostengono, era anche preoccupata che l’Ucraina,
essendo il secondo petro-Stato più grande d’Europa,
avrebbe ottenuto l’adesione accelerata all’Ue e alla Nato.


Secondo questa teoria, l’invasione russa dell’Ucraina mira a costringere Kiev
a riconoscere ufficialmente la Crimea come russa
ed a riconoscere le Repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk come Stati indipendenti,
in modo che Mosca possa assicurarsi legalmente il controllo sulle risorse naturali in queste aree.
 

Val

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Le fonti idriche


Il 24 febbraio, il primo giorno dell’invasione russa dell’Ucraina,
le truppe russe hanno ripristinato il flusso d’acqua in un canale strategicamente importante
che collega il fiume Dnepr alla Crimea controllata dalla Russia.

L’Ucraina ha bloccato il canale della Crimea settentrionale dell’era sovietica,
che fornisce l’85 per cento del fabbisogno idrico della Crimea,
dopo che la Russia ha annesso la Penisola nel 2014.

La carenza d’acqua ha provocato una massiccia riduzione della produzione agricola nella Penisola
ed ha costretto la Russia a spendere miliardi di rubli all’anno per fornire acqua dalla terraferma per sostenere la popolazione della Crimea.


La crisi idrica è stata una delle principali fonti di tensione tra Ucraina e Russia.

Il presidente ucraino ha insistito sul fatto che l’approvvigionamento idrico non sarebbe stato ripristinato
fino a quando la Russia non avesse restituito la Penisola di Crimea.

L’analista di sicurezza Polina Vynogradov ha osservato che qualsiasi ripresa dell’approvvigionamento idrico
sarebbe equivalso a un riconoscimento de facto dell’autorità russa in Crimea
ed avrebbe minato la pretesa dell’Ucraina sulla Penisola.

Avrebbe indebolito altresì la leva ucraina sui negoziati sul Donbass.


Anche se le truppe russe alla fine si ritirassero dall’Ucraina, la Russia probabilmente,
manterrà il controllo permanente sull’intero canale di 400 chilometri della Crimea settentrionale
per garantire che non ci siano più interruzioni all’approvvigionamento idrico della Crimea.
 

Val

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La sopravvivenza del regime


Secondo questa teoria, il 69enne Putin, al potere dal 2000,
cerca il conflitto militare permanente come un modo per rimanere popolare tra i cittadini russi.

Alcuni analisti ritengono che dopo le rivolte pubbliche in Bielorussia e in Kazakistan,
Putin abbia deciso di invadere l’Ucraina per paura di perdere la presa sul potere.


In un’intervista al Politico, Bill Browder, l’imprenditore americano che guida la Global Magnitsky Justice Campaign,
ha dichiarato che Putin sente il bisogno di apparire forte in ogni momento:

“Non credo che questa guerra riguardi la Nato;
non credo che questa guerra riguardi il popolo ucraino o l’Ue e nemmeno l’Ucraina;
questo conflitto riguarda l’inizio di una guerra per rimanere al potere.
Putin è un dittatore, ed è un dittatore la cui intenzione è quella di rimanere al potere sino alla fine della sua vita naturale.
Ha capito che le cose non andavano bene per lui, a meno che non avesse fatto qualcosa di sensazionale.
Putin sta solo pensando a breve termine... e si chiede:

‘Come rimango al potere da questa settimana alla prossima?

E poi dalla prossima settimana a quella successiva?’”.
 

Val

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La Religione

L’indipendenza politica dell’Ucraina è stata accompagnata da una lunga contesa con la Russia sulla fedeltà religiosa.

Nel gennaio 2019, in quella che è stata definita come “la più grande spaccatura nel Cristianesimo da secoli”,
la Chiesa ortodossa in Ucraina ha ottenuto l’indipendenza (autocefalia) dalla Chiesa russa.

La Chiesa ucraina era sotto la giurisdizione del patriarcato di Mosca dal 1686.

La sua autonomia ha inferto un duro colpo alla Chiesa russa,
che ha perso circa un quinto dei 150 milioni di cristiani ortodossi sotto la sua autorità.


Il governo ucraino ha affermato che le chiese in Ucraina sostenute da Mosca venivano utilizzate dal Cremlino
per diffondere la propaganda e sostenere i separatisti russi nella regione orientale del Donbass.

Putin vuole che la Chiesa ucraina torni nell’orbita di Mosca e ha messo in guardia
contro “un pesante conflitto, se non uno spargimento di sangue”
riguardo a qualsiasi tentativo di trasferire la proprietà dei beni della chiesa.


Il capo della Chiesa ortodossa russa, il patriarca di Mosca, Kirill, ha dichiarato che Kiev,
luogo di nascita della religione ortodossa, è paragonabile per importanza storica a Gerusalemme:

“L’Ucraina non è alla periferia della nostra Chiesa.
Chiamiamo Kiev “la madre di tutte le città russe”.
Per noi Kiev è ciò che Gerusalemme è per molti.
L’ortodossia russa è iniziata lì, quindi in nessun caso possiamo abbandonare questo rapporto storico e spirituale.
Su questi legami spirituali si basa tutta l’unità della nostra Chiesa locale”.


Il 6 marzo, Kirill – un ex agente del Kgb chiamato “il chierichetto di Putin” a causa della sua sottomissione al leader russo
– ha pubblicamente appoggiato l’invasione dell’Ucraina.

In un sermone, il patriarca haribadito le argomentazioni di Putin
il quale ha accusato il governo ucraino di genocidio contro i russi residenti in Ucraina:


“Da otto anni in Donbass è in atto la repressione, lo sterminio delle persone.

Otto anni di sofferenza e il mondo intero tace”.
 

Val

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Sulle capacità profetiche di Francis Fukuyama nutriamo dubbi.

Il politologo statunitense è noto per la colossale cantonata rimediata teorizzando “la fine della Storia
grazie all’affermazione della liberal-democrazia sul comunismo.

Se fosse stato per lui, con la caduta del Muro di Berlino saremmo giunti al capolinea ideologico dell’umanità.

Invece, siamo ancora qua.


Oggi Fukuyama torna a parlare dalle colonne de “Il Corriere della Sera” per donarci un’altra perla di saggezza.

Per il politologo, ciò che sta accadendo in Ucraina è la battaglia decisiva tra Paesi liberi e regimi autoritari.

Niente più destra e sinistra, ma solo un lato della Storia presidiato dall’Occidente liberale e democratico,
contro l’altro lato, occupato dall’oscurantismo russo e cinese.

E nel mezzo?

Le cento e passa sfumature di grigio, quante sono le specificità locali che possono migrare da un versante all’altro della Storia
a seconda degli errori tattici, più o meno reversibili, che i due poli attrattori antagonisti possono compiere.


Fukuyama fa l’esempio della Macedonia del Nord.

Dopo anni trascorsi a chiedere l’adesione all’Unione europea ed essere rimasto inascoltato,
è comprensibile che il piccolo Paese balcanico si guardi intorno alla ricerca di nuove intese, più favorevoli ai propri interessi.

La tesi di Fukuyama non convince per eccesso di semplicismo: il mondo non si taglia con l’accetta.

Oggi siamo al cospetto della ripolarizzazione della scena globale sulla base della ricomposizione degli imperi.

Nessuno dubita che l’odierna Cina abbia una vocazione imperiale.

Come nessuno dubita che il dittatore Recep Tayyip Erdogan creda nel voler rimettere nei cardini la Sublime Porta del fu Impero Ottomano.


Dalla fine della Seconda guerra mondiale la maggior parte degli europei liberi
hanno di buon grado accettato la condizione di cittadini-sudditi di un nuovo Impero,
diverso nelle caratteristiche e nelle forme dai modelli imperiali colpiti e affondati nel corso del Novecento: gli Stati Uniti d’America.

Il nostro essere occidentali è stato sinonimo di appartenenza a un peculiare paradigma politico-etico-economico-sociale-culturale.

E non ce ne siamo affatto lamentati.

L’Europa, di là dai proclami d’indipendenza e di autonoma sovranità,
non riesce ad accedere a una dimensione imperiale
perché mancante di un presupposto che le potenze imperiali di ogni tempo storico hanno avuto: un Cesare.

Chi è il “Cesare” europeo?

Non esiste.

Niente Cesare, niente Impero ma una sommatoria di Stati e staterelli in perenne competizione tra loro.

E l’Unione europea?

Una macabra finzione burocratico-giuridica.

Non lo diciamo noi, lo dicono i fatti.
 

Val

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Il grande convitato di pietra nella corsa ai nuovi imperialismi in questi decenni è stata la Russia.

Posta in uno stato di sospensione durante la lunga stagione della dittatura sovietica,
non si sarebbe potuto stabilire con certezza come e quanto fosse mutata la sua natura profonda nell’impatto con l’ideologia comunista.

Un pezzo anomalo d’Europa?

Il cuore pulsante di una diversa Asia?

Oppure né l’uno, né l’altro?

Con la fine dell’Unione Sovietica e la contestuale apertura di Mosca ai valori fondanti dell’Occidente, si è pensato, a torto,
che la nuova Russia potesse essere asseverata alla cultura occidentale.

Niente di più sbagliato.

Da quella zarista, a quella post Guerra fredda, fino all’odierna versione putiniana, passando per l’Unione Sovietica, la Russia è rimasta la Russia.

Un Paese che non è culturalmente europeo ma, come sostiene Aleksandr Dugin, teorico dell’Eurasiatismo, non è affatto un Paese: è una civiltà distinta.


L’Occidente è passato da un errore all’altro nell’approccio alla complessità russa.

Prima ha pensato di inglobarla, facendone un grande mercato di sbocco delle proprie produzioni e dei propri costumi,

poi respingendola come corpo estraneo verso Oriente in un innaturale accomunamento alla dimensione estremo-orientale del gigante cinese.

La forma plastica di tale errore sta nella rappresentazione del personaggio Vladimir Putin che l’Occidente ha costruito a suo uso e consumo:

dall’amico, un po’ sopra le righe, molto grossier, con cui fare affari insieme,

al criminale, pazzo, assetato di sangue da catturare e trascinare davanti a un tribunale internazionale per crimini contro l’umanità.


Qual è il vero Putin?

Quello di prima o quello di oggi?

Probabilmente nessuno dei due.

O entrambi.

Troppo facile scaricare tutto sul nemico, dipinto come il male assoluto,
per coprire la marea di errori commessi nel non sforzarsi adeguatamente a comprendere la natura di fondo del mondo russo.

Troppo superficiale pensare che quella complessità potesse rintanarsi tra le pieghe del cosmopolitismo pietroburghese di un Fëdor Dostoevskij,
del quale però ignorarne il messaggio messianico, o ritrovarsi descritta dal tardo-romanticismo musicale filo-occidentale di un Pëtr Čajkovskij.

C’è tanta anima tradizionale russa nella disperante gioia di vivere che promana dalla musica di Sergei Rachmaninov,
quanta se ne ritrova nella violenza intellettuale, esplosiva e coraggiosa, del verso poetico di un Vladimir Majakovskij.

Bisognava approfondire l’analisi sulla natura profonda di quell’indovinello,
avvolto in un mistero all’interno di un enigma chiamato Russia (una parafrasi dell’aforisma coniato da Winston Churchill)
per cogliere il bandolo della matassa che, una volta dipanata, l’avrebbe condotta a legarsi sì all’Occidente, ma nel verso giusto.


Davvero si è creduto che attorno a Mosca,
e con la sola eccezione dell’“europea” San Pietroburgo,
vi fosse un Paese senza cultura politica?

Che l’appeal del “dittatore” Putin facesse presa su un panorama geografico tratteggiato da realtà depresse e isolate dal mondo civile?

Che quella vasta area srotolata tra la riva del Danubio e l’Oceano Pacifico, radicata nel cuore dell’Asia, fosse una sconfinata landa isolata?

La Russia è città e campagna, pianura e montagna, steppa e tundra, foresta e palude, ghiacci e deserto.


Non si è capito per tempo che il lungo filo identitario che lega il passato remoto di quei territori al presente,
tocca solo tangenzialmente la Rus’ di Kiev, mentre è più saldamente legata all’epopea di Bisanzio,
nodo di raccordo tra la Roma antica e l’odierna Mosca, la “terza Roma”.


Vladimir Putin incarna il riscatto di una parte di mondo, quello slavo-ortodosso,

che si contrappone al paradigma storico-culturale del tipo romano-germanico

sul quale è stato edificato l’edificio (virtuale) europeo.



Il patriottismo espresso nell’accezione putiniana si arricchisce di un elemento che la cultura occidentale,
a torto o a ragione (noi diciamo a torto), ha espunto dalla sua condizione esistenziale: la spiritualità.

Si obietterà: sono parole, la sostanza è che Putin sta massacrando gli ucraini.

Vero.

Ma siamo all’epilogo di una storia scritta male e narrata peggio, da tutte le parti.

La molla che ha fatto scattare la reazione violenta di Mosca

è stata la paura di vedere sottratta l’Ucraina alla missione di ricomposizione imperiale di cui Putin si sente investito.


Probabilmente, non hanno tutti i torti i sostenitori della tesi secondo cui

il pericolo di vedersi piazzati i missili della Nato fuori dell’uscio di casa

fosse solo il pretesto per scatenare l’aggressione al vicino infedele.


C’è anche questo nelle motivazioni dell’attacco russo.


Ma non solo questo.



C’è principalmente la missione escatologica di riconnettere un Dio a un popolo e a una terra,
missione che nella Storia è appartenuta alla gente d’Israele.

Per coglierne l’insieme, è qui che bisogna rileggere Dostoevskij,
quando ne “L’idiota” fa dire al protagonista, il principe Lev Nikolaevič Myškin:

Chi ha rinunciato alla sua terra, ha rinunciato anche al suo Dio”.


Ora, ci saranno questioni geopolitiche, economiche, strategiche che tengono inchiodati i soldati russi in Ucraina.

Ma c’è anche il senso di un apostolato vocato alla palingenesi del rapporto tra umano e divino
che non contempla la transizione democratica e il liberalismo nel suo inverarsi nella Storia.


Se non lo capiamo e se non approntiamo una correzione di rotta alla contrapposizione frontale consumata sulla pelle degli ucraini,
la guerra appena cominciata non finirà.


E comunque non avrà l’esito sperato dagli occidentali.
 

Val

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Hoibò, riecco che compare il pensionato.


Con lo stabilizzarsi della guerra in Ucraina,

i media nazionali tentano di riportare in auge il tema infinito della pandemia,

sebbene la maggior parte dei Paesi europei sembra che abbiano realmente voltato pagina,

abolendo di fatto ogni restrizione.


Ed in questo inverosimile rigurgito non poteva mancare

il personaggio che si candida a diventare la Cassandra sanitaria del XXI secolo:

l’ex direttore del reparto Malattie infettive del Sacco di Milano, Massimo Galli.


Rilasciando una lunga intervista a AdnKronos Salute,
l’uomo che considera i numeri una variabile indipendente dalle sue catastrofiche profezie
ha sparato a palle incatenate contro le riaperture decise dall’attuale governo.

Blande riaperture, le quali ci vedono all’ultimo posto nel Vecchio Continente,
ma che per Galli rappresentano un rischio elevatissimo per la nostra salute.


Forzando per l’ennesima volta il nesso tra contagi e malattia grave, queste le sue parole di sventura:

“Oggi in Italia c’è un rialzo dei contagi non trascurabile.
Questi numeri raccontano un ritorno alla mancata osservanza delle logiche della prudenza.
Abbiamo voluto riaprire tutto?
Va bene, ma aprire ogni cosa con minori precauzioni implica pagare un dazio di questo tipo.
Se la risalita dei contagi non si tradurrà in una nuova pressione sugli ospedali,
e questa evidenza per ora non c’è, potrà forse essere sopportabile:
ci causerà qualche morto in più, ci causerà tutta una serie di problemi, ma va bene. The show must go on.”

Dopodiché, esprimendo la sua dolente preoccupazione per gli abitanti dell’emisfero australe,
la cui popolazione con bassi tassi di vaccinazione va incontro alle stagioni più fredde, così conclude Galli:

“Non è una gara a fare il profeta di sventura.
Il punto è che non ho ancora ragione per sentirmi tranquillo
specie di fronte al rialzo tutt’altro che trascurabile della curva dei contagi nelle ultime settimane.
Ecco perché chi vuole dire che è finita lo può anche dire e farà piacere a chi vuole sentirlo.
Ma la probabilità che un giorno possa sentirsi ricordare da qualcuno
‘ma come, non avevi detto che era tutto finito?’
è maggiore della probabilità che qualcuno possa ricordare a me
‘ma come, non avevi detto che non era ancora finita?’.”
 

Val

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Quindi, per riepilogare in estrema sintesi il pensiero di questo genio sempre più incompreso,

secondo Galli noi dovremmo tenerci le sue amate restrizioni da qui all’eternità
,

dal momento che è praticamente impossibile giungere all’estinzione di un virus oramai endemico.


Anche perché, così come è oramai acclarato dai riscontri di oltre due anni di pandemia,

la circolazione del Sars-Cov-2, al pari dei suoi effetti patologici sulla popolazione,

risulta piuttosto uniforme quasi ovunque,

anche laddove non sono state affatto adottate le nostre demenziali misure sanitarie.



A tale proposito vorrei segnalare all’esimio professor Galli una recente dichiarazione,

rilasciata al Corriere Della Sera, del professor Massimo Puoti,

direttore della Malattie infettive del Niguarda di Milano:


“È possibile una convivenza col virus nelle sue varianti Omicron e Omicron 2:

sono più contagiose ma causano meno sintomi.


Quella da Sars-Cov-2 sta diventando un’infezione opportunistica.


Al Niguarda abbiamo cinque ricoverati in terapia intensiva e 33 negli altri reparti.


Sono positivi, ma in ospedale per motivi diversi.


Per esempio perché pazienti ematologici.


Serve un lavoro di équipe per curarli”.




Ogni ulteriore commento sarebbe, a mio avviso, del tutto superfluo.
 

Val

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Ahahahahah i migliori al governo.


Un Paese in mano ad incompetenti è un Paese in svendita.

Continua come un lento e inesorabile stillicidio la svendita di pezzi fondamentale dell’Italia.


Leonardo Drs, sta per cedere il business Global enterprise solutions (Ges)

a Ses per un importo pari a 450 milioni di dollari (408,3 milioni di euro).


La svendita di un altro gioiello italiano porta ancora la firma di Profumo.



Come spiega Il Messaggero, “Leonardo conferma la Guidance 2022 relativa all’indebitamento netto di gruppo pari a circa 3,1 miliardi di euro.

L’altra notte è stato sottoscritto un accordo vincolante.

«La cessione del business GES è un ulteriore passo in avanti nell’esecuzione del Piano Industriale», spiega l’ad di Leonardo Alessandro Profumo”.


Ed aggiunge, come se fosse un successo:

“Stiamo ottimizzando il nostro portafoglio e continuando a concentrarci sul core business.
L’operazione conferma anche l’impegno a raggiungere i nostri obiettivi, in linea con la Guidance 2022.
Sono inoltre sicuro che SES sia il partner industriale migliore per garantire lo sviluppo del business di GES nel lungo periodo,
a beneficio di tutti i nostri stakeholder”.


GES è il più grande fornitore di comunicazioni satellitari commerciali per il governo degli Stati Uniti

ed offre comunicazioni satellitari mission-critical e soluzioni di sicurezza di livello mondiale a clienti in ogni parte del mondo.


Spiega ancora Il Messaggero:

“GES è una business unit di Leonardo DRS, un appaltatore principale,
innovatore tecnologico leader e fornitore di prodotti integrati, servizi e supporto alle forze militari,
alle agenzie di intelligence e agli appaltatori della difesa in tutto il mondo”.

Un vero fiore all’occhiello del nostro Paese che ora non avremo più, grazie a questa “grande” operazione.

“DRS GES offre comunicazioni satellitari mission-critical e soluzioni di sicurezza di livello mondiale
con affidabilità e supporto impareggiabili in qualsiasi parte del mondo.
Con sede ad ArlingtoR, Virginia, USA, Leonardo DRS è una società interamente controllata da Leonardo S.p.A”.


“La vendita di Ges si inserisce in primo luogo in una razionalizzazione del portafoglio della controllata americana DRS
e nel recupero di risorse finanziare pronte per il consolidamento e lo sviluppo di Leonardo”.


Qual è il guadagno di cedere, o meglio svendere, pezzi fondamentali del nostro assetto strategico?
 

Val

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La nuova riforma del catasto in Italia ha sempre più le sembianze di un mostro che ci divorerà tutti.

Un incubo che si aggiunge ai già tanti altri incubi che gli italiani stanno vivendo.


La pandemia,

le leggi liberticide dei governi Covid,

la guerra in Ucraina,

l’inflazione,

la crisi energetica,

le bollette alle stelle,

migliaia di attività che chiudono per bancarotta.


Ed ora anche il catasto, con il rischio di nuove stangate.


Come spiega ilovetrading.it, “secondo il centro studi liberale, infatti,
la riforma sarebbe completamente da buttare e da rifare da capo.

Pena: l’aumento delle tasse.
La nuova stima boccia completamente la possibile nuova riforma del catasto,
che potrebbe appesantire maggiormente la pressione fiscale sugli italiani”.


Le analisi del centro studi liberale, infatti, suggeriscono che le tasse possono triplicare.

Ecco, quindi, cosa potrebbe succedere:

Proprio in questi giorni la delega fiscale tornerà all’esame della commissione Finanze della Camera,
ma il think tank ‘Lettera 150’ non ci sta.

Secondo quanto riportato da Il Giornale, il centro studi rivela:

“Un aumento della tassazione sugli immobili sarebbe iniquo”.

I docenti affermano che il prelievo
“è già oggi superiore alla media dei Paesi Ocse,
una situazione che potrebbe andare peggiorando con l’arrivo della nuova riforma.

In Italia si attesta, infatti, al 6,1%, contro il 2,7% della Germania e in contrasto con la media Ocse attestata al 5,5%”.
 

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