Utopia o realtà ? La LIBERTA' di espressione va difesa ora, perchè domani sarà troppo tardi......e ce ne pentiremo.

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Al vertice della Banca ci sono anche i 13 componenti del Consiglio generale, esterni alla Banca,

che devono dare un parere sulla nomina del governatore.


Per loro è previsto un compenso di 31.710 euro lordi l’anno a testa
(Poteri Deboli ha raccontato chi sono il 22 ottobre).


Il costo per l’intero 2016 è stato di 412.230 euro.


Per il collegio sindacale, di cinque componenti (presidente Dario Velo),
il costo complessivo annuo nel 2016 è di 137.430 euro.
 
Questo articolo è datato 2013.


Qualche settimana fa, l’Epresso titolava il copertina “Qui non comanda più nessuno”
e l’articolo correlato partiva dalla constatazione del declino di tutti quei soggetti che per decenni hanno retto il potere in Italia
(Vaticano, partiti, Sindacati, Confindustria, la grande finanza, le imprese multinazionali con targa tricolore, la massoneria…).

Soggetti che ancora esistono, ma assai rimpiccioliti ed in via di ulteriore ridimensionamento.

Donde la diagnosi di alcuni intervistati riflessi nel titolo di copertina:

il potere in questo paese si sta polverizzando, siamo all’entropia di sistema.


In parte, ma si trascura che parallelamente al declino dei poteri tradizionali ed autoctoni
ne stanno subentrando di nuovi e di esterni:

se Unicredit ed Intesa declinano, oggi un ruolo di punta lo sta rivestendo la Cassa Depositi e Prestiti,

se Governo e Parlamento si stanno riducendo ai minimi termini, c’è una ipertrofia della Presidenza della Repubblica,

se il potere politico declina, da venti anni,

quello giudiziario, la Banca d’Italia o la Consob occupano uno spazio maggiore.


Ma soprattutto pesano sempre più poteri esterni come la Bce, la Nato, le agenzie di rating, il governo tedesco ecce ecc.


Siamo di fronte ad un processo storico di vasta portata
che sta trasformando radicalmente il potere nel nostro paese,
rendendolo meno indipendente, meno capace di autodeterminazione.


In qualche modo è un effetto del processo di globalizzazione che mina il potere degli stati nazionali,
ma solo di quelli più deboli, come storicamente è il nostro
nel quale è endemica la tentazione a risolvere i problemi di casa chiamando in soccorso qualche straniero.

Già negli anni settanta, fu evidente il fallimento (se si preferisce: il successo solo parziale)
del tentativo di Cuccia di costruire attraverso il “salotto buono” di Medio banca un capitalismo “nazionale”.

Figurarsi oggi che le frontiere nazionali non esistono più, quantomeno in campo finanziario.

Molti soggetti “forti” si svincolano dal cortile di casa per guardare alle vaste praterie del mondo globalizzato:

la Fiat veleggia oltre oceano, le Assicurazioni Generali guardano all’Est europeo,
la Telecom (con il tacito consenso del governo) finisce in mani spagnole, prima di finire a chissà chi.


Questo è il secondo urto della globalizzazione:

il primo mandò in frantumi la prima Repubblica,

il secondo manda in pezzi la seconda Repubblica,

ma questa volta non sappiamo se ce ne sarà una terza e che caratteri avrà.


Questa “evaporazione” dei poteri nazionali registra il fallimento senza scusanti delle classi dirigenti italiane,
che si sono rivelata palesemente inferiori al loro compito.

Il cuore di questo è stato tutto politico:

alla classe politica della prima repubblica
se ne sostituì una nuova portata sugli scudi dalla (pur comprensibile) rivolta populista contro la corruzione
e che venne irresponsabilmente indirizzata dal Pds nel devastante referendum contro la proporzionale.

Da quello sciagurato evento presero il volo tanto il processo di de-costituzionalizzazione dell’ordinamento,
quanto l’affermazione di una classe politica nella stragrande maggioranza populista ed impreparata.


Berlusconi, Di Pietro ed il Pds incarnarono forme diverse di populismo che,
in tutte le sue manifestazioni, non si sottrasse a quella straccioneria culturale e politica che è la sigla stilistica di ogni populismo.

Una classe politica sempre più becera ed impreparata si impossessò del potere gestendolo nel peggiore dei modi
e con un tasso di moralità pubblica anche inferiore a quello dei propri predecessori.


Tutto venne centrato sulle “caratteristiche del leader”,
sullo spirito di appartenenza che non aveva più il legante ideologico di prima,
ma solo lo spirito gregario e la tifoseria da stadio sostituì il dibattito politico.


Le posizioni istituzionali vennero occupate e gestire come armi da brandire contro il “nemico”:

il governo serviva a fare favori agli amici,

il Parlamento a fare leggi ad personam,

le nomine negli enti –more solito- servirono a collocare gli amici,

la Rai era preda del vincitore di turno.


Le privatizzazioni dovevano servire ad abbattere il debito statale,

servirono solo a fare qualche favore ad amici degli amici,

vennero svendute ed il debito, non solo non venne decurtato che in misura insignificante,

ma riprese a crescere allegramente.


L’adesione all’Euro venne fatta senza calcolarne le conseguenze.


Occasione persa dall’allegra gestione della finanza che vedeva gonfiare i costi della politica,
gli stipendi dei manager pubblici, le opere pubbliche sbagliate.


Della prima repubblica si era ereditato il malcostume,
ma s’era persa quella “professionalità politica” che, pure con i suoi difetti,
aveva assicurato un minimo di capacità strategica.


Oggi, come ammette uno degli intervistati dell’Espresso,

si fa fatica a trovare un parlamentare in grado di scrivere da solo un emendamento.



Dopo venti anni di un simile esercizio del potere politico
c’è da meravigliarsi del fatto che ci sia ancora qualcosa in piedi.

Ma la classe politica non è la sola che meriterebbe di sedere sul banco degli imputati di un tribunale popolare.

Anche il ceto manageriale (pubblico e privato senza distinzioni) non ha scherzato
ed i casi Alitalia e Telecom ne sono prova troppo eloquente perché se ne debba dire.


Delle responsabilità del ceto intellettuale ed accademico non dico neppure
perché non è elegante sparare addosso alla croce rossa,
ricordo solo che, quando ci fu l’esigenza di un “governo dei tecnici”
che mettesse insieme “la crema” dell’intellettualità del paese,
quello che venne fuori fu quell’Armata Brancaleone del governo Monti.



Ora la seconda ondata della globalizzazione, indotta dalla crisi, manda tutto in pezzi:

non ci sottrarremo al destino di decadenza e di servaggio

se prima non daremo luogo ad un processo alle classi dominanti nazionali.


Metaforicamente parlando, un processo severo al limite della ferocia.
 
La banca d’affari Goldman Sachs
ha aperto il fuoco di fila contro la probabile vittoria elettorale della coalizione di centrodestra
alle prossime elezioni politiche italiane:


“I mercati punirebbero l’Italia”.


Secondo la “disinteressata” banca d’affari americana,
il successo alle politiche di Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia – e dei loro alleati minori –
determinerebbe problemi sulla “sostenibilità del debito pubblico italiano”.


È un’entrata a gamba tesa contro un Paese sovrano,
che dovrebbe sacrificare i principi democratici sanciti dalla nostra Costituzione
a favore di un tecnocrate che non risponde a nessuno del proprio operato.


Le elezioni democratiche sono un lusso che l’Italia post-euro non si può permettere.

La nostra non può essere una democrazia compiuta
ma dev’essere una tecnocrazia in mano ai custodi della finanza internazionale.


E, per essi, il tecnocrate di turno che deve eseguire i compiti che gli saranno assegnati.


Nelle prossime settimane le dichiarazioni della Goldman Sachs saranno riprese,
amplificate e avallate da altre “importanti” istituzioni finanziarie influenti a livello internazionale.

L’obiettivo, con il plauso della sinistra al caviale italiana e dei “giornaloni” del Belpaese,
è quello di condizionare il voto democratico.

Il loro intento è quello di creare le condizioni per alimentare la competizione fratricida tra la Lega e Fratelli d’Italia
a vantaggio della sinistra amica della grande finanza.



Un risultato elettorale, che non desse una chiara vittoria e una maggioranza assoluta in Parlamento alla coalizione di centrodestra,
creerebbe le condizioni per perpetuare la sospensione della democrazia in Italia.


L’operazione di marketing politico è stata opportunamente preparata nelle segrete stanze per tempo,
in quanto non è più improbabile una fine anticipata della legislatura.

La strategia d’attacco che troverà sponda e appoggio in Italia da parte dei potenziali sconfitti alle elezioni
si concluderà con l’esigenza di formare, ancora una volta, un Governo tecnico
promosso, “nell’interesse del Paese”, dal Presidente della Repubblica.


La risposta immediata che, a mio avviso, dovrebbero dare i leader del centrodestra
è quella di rafforzare l’accordo di coalizione, compreso il ritiro della fiducia a un Governo
che si limita a seguire le disposizioni impartite da chi non tutela, certamente, gli interessi della nostra Nazione.


Presto vedremo da parte dei mercati finanziari un attacco ai nostri Btp

(Buoni del tesoro poliennali) e allo Spread sui tassi d’interesse italiani rispetto a quelli tedeschi (il Governo Berlusconi docet!).



In realtà, chi ha investito nei nostri buoni del tesoro poliennali, senza intenti speculativi, da cassettista (risparmiatore)
ha sempre ottenuto il pagamento della cedola degli interessi e il rimborso del capitale a scadenza.


Cari italiani, cercheranno di speculare sui nostri titoli di Stato.


Non vi fate abbindolare!
 
La constatazione che nell’attuale momento

circa il due per cento della popolazione mondiale

si divide quanto prodotto dell’ottanta per cento,

porta a considerare come democrazia non voglia dire eguaglianza di distribuzione della ricchezza,

ma una mobilità sociale in cui

quanti nati ai margini di una società, se capaci,

possano assurgere a un ruolo dirigente,

e i figli di papà, se incapaci,

possano perdere la loro posizione,

ma non quanto necessita per una dignità umana.
 
Secondo Friedrich von Hayek, il processo avrebbe avuto origine quando i Dori,
migrando nella penisola ellenica, avrebbero cacciato gli Joni sulle isole e le coste della Magna Grecia.

Siamo oltre un millennio prima del Cristo.

Allora questi Joni, anziché sostentarsi col produrre e scambiare all’interno della stirpe,
secondo un sistema di doni incrociati tra fratelli per razza,
cominciarono a commerciare con chiunque, per mare.

Fu la prima “rete” nel mediterraneo.

Forse, però, tutto era cominciato più di un millennio prima,
duemila e cinquecento anni prima del Cristo,
coi commerci dei Minoici, Creta e Santorini.

Le monarchie dei Diadochi d’Alessandro Magno costituirono una Comunità,
politicamente non molto coesa, ma veicolo di scambî
comprendenti Grecia, Asia minore, Egitto, Persia e addirittura zone himalaiane e dell’Indo.

Le guerre puniche furono conflitto tra Roma e Cartagine per il controllo del Mediterraneo.

Catone si presentava nel foro romano, col ritornello: “Delenda Carthago!”;
con un sacchetto di fichi prodotti in Nord Africa e commerciati dai Cartaginesi,
che costavano, sul mercato romano, meno di quelli che produceva lui.

Le scoperte geografiche oceaniche portarono a includere nei traffici le Americhe e il Pacifico,
con la competizione, per il controllo di quelle aree,
tra gli Imperi coloniali spagnolo, portoghese, olandese e britannico, soprattutto;
seguiti da altri europei.


Durante tutto lo svolgimento di questo processo, assetti politici sono entrati in crisi.

L’ellenismo alessandrino ha segnato la fine della sovranità delle Città-Stato greche.

L’espansione romana ha travolto l’importanza effettiva dei comizî.

Essi continuarono a eleggere le cariche, ma queste divennero vieppiù ruoli nella mera amministrazione urbana.

Finché Roma unificò l’Italia, la sua libertas venne replicata nelle amministrazioni municipali,
coi ruoli consolari dei duoviri, senatoriale dei decurioni, e le assemblee municipali.

Nelle Provincie, però, vi fu il potere “prefettizio” dei proconsoli.

In Costantinopoli rivissero i vecchi equilibri nel bilanciamento tra poteri, talvolta cruento:
tra Imperatore, Senato e Popolo, diviso fra i due partiti della tifoseria allo stadio.


Anche nella Roma d’oggi i partiti parlamentari sono in crisi, non così laziali e romanisti.

Tra medioevo e prima età moderna, Venezia,
sorta dal rifugio sulle isole lagunari dei cittadini romani dell’entroterra, per le invasioni barbariche, ripeté quel modello.

Resse lo “Stato da mar” e la “suddita terra ferma” dando alle città del dominio
delle “fotocopie” della propria Costituzione cittadina.

Henry Pirenne sostenne che quel “Mediterraneo globale”
si sarebbe spaccato con la conquista arabo-mussulmana della sponda meridionale.

Infatti, l’Imperatore romano in Costantinopoli Leone V (814-820),
vietò alle navi dell’Impero il commercio nel porto d’Alessandria, caduto in mano islamica.


Ciò, però, aveva così interrotto gli scambî, che nel gennaio dell’828 ben dieci navi venete erano proprio nel porto d’Alessandra.

A bordo ci furono quel Rustego da Torcello e Bon da Metamauco i quali,
aiutati da un monaco e da un presbitero copto che intesero mettere in salvo la reliquia minacciata dagli infedeli,
riportarono in Patria il corpo di San Marco, celato sotto del cavolo e della carne di maiale,
schifata come impura dai doganieri maomettani.

Quanto per dimostrare come anche le più alte autorità politiche
non ottengano alcun risultato quando pretendono interrompere, per motivi politici, l’integrazione dei traffici.

Esse possono, però, cogliere l’occasione per esportare modelli politici.

Gli Imperi spagnoli e portoghesi esportarono il feudalesimo in America centrale e meridionale.

L’Impero Britannico ebbe, come ogni colonizzatore, molte colpe;
ma ha saputo esportare il sistema rappresentativo nell’America settentrionale, in Oceania e nell’India.


Nell’India indipendente esso regge a una condizione economico-sociale difficilissima,
in un contesto pluriconfessionale che è un vero guazzabuglio spirituale.

Anche in Sudafrica le forme del sistema rappresentativo hanno retto meglio che altrove, malgrado il contrasto raziale.

Tutto questo, però, all’interno di Stati territoriali definiti.
 
Verdi fuori e rossi dentro, diceva qualcuno.

Allora non stupisce vedere anche partiti e movimenti ecologisti,
componente organica della sinistra che si auto-proclama “progressista”,
dare manforte ai Fratelli Musulmani
e all’avanzata dell’agenda dell’islamismo politico e fondamentalista in Europa.

La Francia è il principale laboratorio dell’islamo-gauchismo e non fa eccezione quello in salsa ambientalista.


Ed ecco allora il sindaco verde di Grenoble, Éric Piolle,
introdurre nel proprio Comune un regolamento
che avrebbe autorizzato l’ingresso di donne con il burkini nelle piscine pubbliche a partire dal primo giugno.

Un provvedimento che si pone in aperta contrapposizione allo sforzo del Governo francese,
avviato dal presidente Emmanuel Macron nel suo primo mandato, di contrastare l’imperversare dell’islamismo in territorio francese.


La lotta di Parigi è al cosiddetto separatismo”,
ovvero a quel fenomeno che consiste nella creazione di “zone interdette”
dove a vigere di fatto non è la giurisdizione dello Stato ma la sharia,
nella sua interpretazione fondamentalista naturalmente.

Una lotta iniziata tardivamente, in risposta alla decapitazione del professor Samuel Paty
avvenuta alla metà dell’ottobre 2020, quando già interi quartieri o persino città – notorio è il caso di Roubaix
erano stati trasformati in emirati “separati”, appunto, dove sembra di stare a Idlib, in Siria,
piuttosto che in Francia, così come la conoscevamo.

Il tutto secondo il disegno storico di conquista tracciato dai Fratelli Musulmani per l’Europa.


Invertire la tendenza e tornare allo status quo ante è di per sé un’impresa estremamente difficile, se non improbabile,
ma a complicare ulteriormente la situazione è il sostegno politico a tale disegno fornito dagli stessi francesi,
quelli imbambolati dal dogma del “multiculturalismo” s’intende, gli “utili idioti” dell’islamismo.


Tra questi, s’iscrivono i verdi fuori e rossi dentro,

“compagni” su cui i Fratelli Musulmani fanno crescente affidamento,

dissimulando interesse e sensibilità verso la causa ambientalista

in cambio del loro fiancheggiamento,

quando ad esempio si tratta di organizzare proteste contro la presunta islamofobia

che animerebbe il Governo francese, o di far passare provvedimenti che rispondono all’agenda islamista.
 
E arriviamo qui al caso del sindaco di Grenoble,

legato a doppio filo a un’associazione − Alliance Citoyenne −

già nota per essere espressione dei Fratelli Musulmani,


che da anni si batte a favore del burkini,
il velo integrale balneare con cui le donne musulmane dovrebbero prendere il sole e farsi il bagno nei lidi francesi.

Dopo le spiagge, l’obiettivo sono diventate le piscine
e se non fosse stato per la bocciatura ad opera del tribunale amministrativo competente,
il provvedimento promosso da Piolle sarebbe ora in vigore.


Il tribunale ha accolto il ricorso presentato dalla prefettura
su sollecitazione del confermato ministro dell’Interno, Gérald Darmanin,
considerando il provvedimento in contraddizione con il principio di neutralità del servizio pubblico.

Darmanin ha salutato la sentenza come prova del successo del governo nella lotta al “separatismo”.

Aspetti, però, ad esultare.

Piolle ha annunciato battaglia legale e di quel che sarà non c’è certezza.


L’ultima parola spetterà al Consiglio di Stato e la speranza è che i giudici non tradiscano,
come hanno fatto invece quelli della Corte di Cassazione,
che nei giorni scorsi hanno sancito l’irresponsabilità penale di Kobili Traoré,
colpevole di aver ucciso a coltellate la vicina di casa ebrea, Sarah Halimi, al grido di Allah-u-Akhbar.

Non era capace d’intendere e di volere perché poco prima aveva fumato della cannabis,
questa l’incredibile motivazione della sentenza.


Ma non era una droga “leggera”?


Di colpi di teatro potranno essercene ancora
e pertanto la battaglia riguardante il burkini è destinata a continuare.

Una battaglia che, a ben vedere, va oltre il “separatismo”,
poiché l’indumento viene inteso dai Fratelli Musulmani
come uno strumento attraverso cui legittimare e imporre l’islamismo politico e fondamentalista
all’interno dello stesso spazio pubblico francese.

Quanto ancora lo Stato riuscirà a resistere alla pressione islamista,
resa ancor più forte e determinata dall’alleanza con la sinistra “progressista”,
annidata ormai ovunque, istituzioni comprese?


Uno scenario inquietante, ma ahimè sembra questo il “futuro dell’Europa”.

Una condanna che viene dall’alto,
come dimostra la propaganda pro-hijab diffusa insistentemente dall’Unione europea
e che ha rappresentato molto probabilmente l’unico dato davvero rilevante della “Conferenza sul futuro dell’Europa
che si è appena conclusa a Bruxelles.

Macron è intervenuto alla sessione conclusiva, in rappresentanza del Consiglio europeo durante il semestre francese.

Ma lo sa che tra le delegazioni che hanno presenziato ai lavori,
vi erano gruppi appartenenti a organizzazioni giovanili dei Fratelli Musulmani?


Le immagini e i video di attivisti dalla barbetta ben in vista e di attiviste dal capo velato,
con la bandiera dell’Ue sullo sfondo, hanno fatto il giro del mondo
e sono state immancabilmente esaltate in un reportage trasmesso dal canale in lingua araba di Al Jazeera.


L’islamismo è in festa dunque, anche in Italia
,
dove avanza senza incontrare opposizione alcuna.

Il proselitismo va a gonfie vele, sia online che sul territorio,
e il velo è oggetto di celebrazioni all’interno del comune spazio pubblico.

Chissà se tra i membri della giuria del concorso “La regina dell’Hijab”,
promosso da una “influencer” già candidata in quota Partito Democratico alle elezioni locali,
siederanno esponenti del mondo “progressista” italiano,
che annovera oltretutto un numero crescente di cattolici,
perfettamente a loro agio dal punto di vista ideologico nell’alleanza perversa con gli islamisti.


Per salvare l’Europa ci vuole davvero un miracolo.
 
Eh lo so. Dobbiamo tenercelo ancora per qualche mese.
Dopo però.......tatatatatatatatà e chissà se la pagherà.


Roberto Speranza continua imperterrito la sua battaglia per le mascherine,
contro ogni evidenza scientifica e contro ogni logica interpretazione dei dati,
e dopo aver speso finora oltre 9 miliardi solo per questo dispositivo di protezione,
continua a tenere gli studenti di tutta Italia con la museruola,
non concedendo loro nemmeno la libertà – in accordo con il ministro Bianchi –
di poter svolgere gli esami a viso scoperto.

Parlando all’ambasciata di Francia, nella giornata del 31 maggio, Speranza ha auspicato
“che ci possa essere un nuovo vaccino adattato alle varianti in autunno”.

Intanto la vicenda delle mascherine, dai contorni obiettivamente vessatori, ha conosciuto ieri un’altra pagina surreale.


Uno spiacevolissimo episodio si è verificato in Abruzzo, a Pescara,
dove un bimbo di quarta elementare (nove anni) si è tolto la mascherina e non l’ha rimessa.
Risultato? Convocazione dei genitori per portar via il ragazzino.

Un episodio analogo sarebbe già avvenuto il giorno precedente.

Ecco la sua ricostruzione:

«Il genitore è stato costretto ad andare a riprendere il bambino, visibilmente sconvolto.
Questo episodio, come l’uso stesso delle mascherine negli istituti scolastici e con questo caldo, ci sconcerta.
Per quanto ci riguarda, ce ne occuperemo con la massima determinazione,
ci auguriamo peraltro che le modalità dell’allontanamento non siano state traumatiche
anche per gli altri bambini costretti ad assistere tanta inopinata insensibilità»”.

“Sono stati allontanati coattivamente dei bambini durante lo svolgimento della attività scolastiche nel periodo dell’obbligo”,
diffidando “il responsabile, nella persona del dirigente scolastico, ad adottare il principio di precauzione”,
e chiedendo una verifica dei due episodi per capire
“se le procedure di allontanamento coatto dall’istituto siano conformi alla normativa ed alle procedure vigenti”.

Ma, doverose verifiche a parte, resta un’osservazione di elementare buon senso:

“È ragionevole colpevolizzare platealmente un bimbo di nove anni per questo motivo?
Sta di fatto che in giro per l’Italia la protesta cresce”


A Bologna (lo riferisce l’edizione locale di Repubblica),
presso la scuola elementare San Domenico Savio del quartiere Savena,
38 famiglie hanno assunto iniziative legali contro l’imposizione della mascherina perfino in cortile durante la ricreazione:

“I nostri figli devono tenere le mascherine anche mentre corrono e giocano per la ricreazione,
in uno spiazzo di cemento, con 30 gradi”.


Altra tensione pure in provincia di Sondrio.


Il tema dell’obbligo di mascherina a scuola è stato anche oggetto di un ricorso del Codacons al Tar del Lazio,
basato sulla “manifesta sproporzione del provvedimento e l’illegittima disparità di trattamento tra luoghi pubblici”.
 
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Buongiorno
 
Nel tennis si direbbe: game, set, match.

Ed è quello che ha realizzato Lucio Caracciolo, direttore di Limes ed esperto di geopolitica,

contro Beppe Severgnini durante l’ultima puntata di “Otto e mezzo”,

il programma di approfondimento politico condotto da Lilli Gruber su La7.


Severgnini, parlando della guerra in corso in Ucraina, ha definito “un sorprendente successo”
l’accordo raggiunto in Europa sull’embargo del petrolio che arriva dalla Russia.

La considerazione dell’editorialista del Corriere della Sera, è girata da Lilli Gruber a Caracciolo,
il quale, però, non la pensa proprio così.


Come molti, del resto…

Anzi, il direttore di Limes la vede in maniera diametralmente opposta.


E spiega:

“È un successo, sì… ma di Orban.

Vladimir Putin certamente non è preoccupato da queste sanzioni.

I tubi passano per l’Ungheria,
ha le sue raffinerie,
ha il prezzo scontato e ci guadagna di più.


Non è un embargo sul petrolio, ma sulle petroliere,

una cosa che non sta in piedi,

perché sappiamo bene che quello del mare è un ambiente anarchico,

non sappiamo niente di quello che c’è nelle navi.


Le navi cariche di petrolio Putin le può mandare in un paese,

le vende ad un certo prezzo

e poi quel paese le rivende a degli altri paesi,

con delle triangolazioni,

che sono il mezzo più usato nel mondo per superare le sanzioni”.


“Lo fanno allegramente molti paesi europei.

Non mi pare che questo embargo sia nulla che possa scalfire seriamente la posizione di Putin.

Dico che purtroppo Orban è stato molto abile”.



Severgnini non ci sta e prova a difendere la sua posizione:

“Non ci sono solo sanzioni sul petrolio,
ma anche l’esclusione di grandi banche russe dal sistema Swift.
C’è la misura contro i dirigenti della Chiesa Ortodossa.
Mi fido della competenza di Lucio e adesso sono preoccupato anche io,
ma non è facile mettere d’accordo 27 leader, non penso che siano impazziti tutti e 27
quando hanno deciso di bloccare le petrolifere per rallentare la guerra in Ucraina di Putin”.


Un tentativo di salvataggio andato a male, Caracciolo ha spiegato perfettamente come stanno le cose.
 

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