Utopia o realtà ? La LIBERTA' di espressione va difesa ora, perchè domani sarà troppo tardi......e ce ne pentiremo.

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Questa mattina la sveglia è suonata prestissimo a Pasturo, nelle aziende agricole di Antonella Doniselli e di Carlo Platti:

Fuori era buio pesto ed al campanile non erano ancora le tre.


Ma oggi è il gran giorno: c’è transumanza delle mandrie a Biandino.

Antonella con i suoi 53 capi, in prevalenza di razza pezzata rossa e alcune bruna alpina,
nel trasferimento ai pascoli alti è accompagnata da tutta la famiglia:
il marito Natalino, la figlia Monica e il figlio Valerio con Elena, la ragazza con la quale si è sposato solo tre settimane fa.

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Con la famiglia di Antonella ci sono giovani collaboratori:

Mauro di Pagnona e nei prossimi giorni salirà anche Simone che oggi non è potuto esserci per impegni scolastici.

Altri aiutanti a quattro zampe sono i 7 cani che vigilano attentamente sulla mandria.

“Ne abbiamo 7 perché anche loro si danno il cambio durante la giornata, diciamo che fanno i turni:
ogni persona che accudisce le vacche lavora con 2 cani, uno il mattino e uno i pomeriggio”.


Accanto ad Antonella c’è l’azienda agricola del cugino Carlo Platti, con lui dividono il carro mungitura,
attraverso il quale due volte al giorno le vacche vedono il prelievo del latte che poi verrà trasformato in taleggi
destinati al trasporto a valle e qui stagionato dai caseifici.

Carlo ha 60 bovine di razza pezzata nera e bruna alpina, la sua passione per l’allevamento è stata tramandata dal papà Michele.

Anche lui fin da neonato ha trascorso le estati a Biandino, i genitori lo aiutano tuttora nell’allevamento, sia a Pasturo che in alta montagna.



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La fienagione del primo taglio è terminata e le mandrie con i rispettivi proprietari oggi salgono in alto,

dove trascorreranno circa tre mesi per poi tornare a casa prima dell’autunno.


Alle 4.45 le vacche escono dalla stalla,

le attendono 12 chilometri di cammino per poi godere del fresco e dei pascoli verdi.

Ad accompagnare lo spostamento degli animali ci sono tanti amici,
anche loro testimoni di questo rito che si ripete da secoli, rallegrato dai campanacci e dai muggiti.


Natalino e Carlo nelle ultime immagini ci salutano e ci augurano buona estate.

Noi auguriamo loro una buona stagione di alpeggio.
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E' evidente che si vuole mettere un bavaglio, si vuole creare confusione,
si cerca di instradare il popolo su una via che non è quella vera.
In pratica si vuole tappare la bocca al dissenso.



Diciamo subito che va apprezzata la decisione dell’Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica,
Franco Gabrielli, di declassificare e divulgare il famigerato bollettino dei servizi “sulla disinformazione nel conflitto russo-ucraino“,
tra le fonti dell’articolo del Corriere della Sera che ha suscitato un vespaio di polemiche nei giorni scorsi.

Senz’altro un contributo di chiarezza.

Le parole di Gabrielli

Gabrielli ha ribadito con forza che “non ha nulla a che vedere con l’attività dell’intelligence, di penetrazione informativa,
nulla che possa essere identificato con la schedatura o il dossieraggio di persone”,
e ha respinto ogni “infamante sospetto sull’attività dell’Intelligence nazionale o su fantomatici indirizzi governativi volti a limitare il diritto di informazione”.



“Non ci sono giornalisti né politici” tra le persone monitorate, ha chiarito, esprimendo “particolare fastidio” che il Corriere “insinuasse il sospetto che un parlamentare, Vito Petrocelli, fosse oggetto di monitoraggio”.


Tuttavia, se il documento desecretato dà risposta ad alcune domande e chiude un caso, ne solleva altre e apre un caso forse ancora più grande.

La lista del Corriere

Chiude il caso della cosiddetta “lista di proscrizione”, i “putiniani d’Italia” citati nell’articolo a firma Sarzanini-Guerzoni pubblicato dal Corriere della Sera lo scorso 5 giugno.
Una operazione discutibile sotto più punti di vista.



Non è corretto con i lettori perché lascia intendere che l’intero articolo sia basato sul materiale raccolto dai servizi di intelligence.

Invece, confrontando i testi, solo nella prima parte vengono riportati alcuni passaggi del bollettino, quelli su Giorgio Bianchi e Alberto Fazolo.


Nel bollettino del Dis non vengono citati Manlio Dinucci, Alessandro Orsini e il senatore Vito Petrocelli, ex presidente della Commissione Affari esteri.

Né vengono citati i “parlamentari, manager e lobbisti” a cui si fa riferimento nell’articolo.


La lista dei “putiniani d’Italia” presentata dal Corriere, corredata di foto, è quasi interamente opera delle due giornaliste:


dei 9 nomi inclusi, solo 2 (Bianchi e Fazolo) vengono citati anche nel rapporto dei servizi.


Il rapporto viene quindi utilizzato per dare la “copertura” di una fonte istituzionale

ad una ricostruzione che, in mancanza di altri fonti, è invece da attribuire alle due giornaliste.



Inoltre, l’articolo genera una certa confusione tra il rapporto e l’indagine avviata dal Copasir,
che non raccoglie informazioni direttamente – da qui la smentita del presidente Urso.

E allude alla “rete” dei filo-Putin come ad un unico soggetto organizzato in grado persino di “boicottare” le decisioni del governo, cosa che assolutamente non emerge dal bollettino desecretato.



Dunque, non un’operazione limpidissima, che tra l’altro si è rivelata un boomerang,
attribuendo alle persone citate una rilevanza che probabilmente non hanno
e permettendo ai cosiddetti “putiniani” di giocare la carta del vittimismo, pur essendo invitati e coccolati in molte trasmissioni.
 
Altre domande

Ma come dicevamo, la divulgazione del bollettino solleva altre domande.


Non siamo così ingenui da ritenere che i servizi non debbano interessarsi di informazione e disinformazione nel momento in cui sia in gioco la sicurezza della Repubblica.
Se ci sono interferenze estere, se emergono rapporti organici di cittadini italiani con potenze ostili, di tutto ciò i servizi devono certamente occuparsi.


Ma come è definibile il rapporto sulla disinformazione che abbiamo potuto leggere ieri pomeriggio,
se non come una lunga rassegna di ciò che gira online e viene trasmesso in tv (che qualunque attento osservatore avrebbe potuto raccogliere)?

Un minestrone in cui si trova un po’ di tutto: la propaganda ufficiale russa, notizie false o commentate in modo tendenzioso,
narrazioni, complottismi, ma anche semplici opinioni e critiche, al governo e alla Nato, e financo simpatie per la Russia.


Il rapporto tuttavia non indica gruppi o singoli cittadini italiani come agenti russi,

né stabilisce alcun rapporto tra i cittadini e i gruppi citati e il governo russo,

se non una certa corrispondenza di letture e narrazioni degli eventi.


Non basta la “viralizzazione” dell’intervista televisiva di Lavrov (già viralizzata da Mediaset, tra l’altro) per dimostrarlo.


Viene da chiedersi innanzitutto perché un documento del genere debba essere classificato,
essendo come ha spiegato Gabrielli una “collazione” basata su “fonti aperte”
e non contenendo “alcun elemento proveniente da attività di intelligence”, non essendo esposte quindi risorse dei servizi.



E viene da chiedersi come mai, se lo scopo è il monitoraggio della disinformazione, il rapporto non includa anche la carta stampata.

La disinformazione filo-russa è senz’altro un fenomeno rilevante e preoccupante,
esistono indubbiamente canali strutturati, ma le fake news non circolano solo online.


Notizie false e narrazioni tendenziose vengono veicolate anche attraverso i giornali e non solo a favore della Russia.

Per esempio, anche per difendere il governo Draghi dalle critiche al suo operato.


Lo scopo del bollettino


Questa considerazione ci fa arrivare al nocciolo della questione, ovvero quale sia lo scopo di questo bollettino, per quali usi sia stato concepito.
 
Innanzitutto, Gabrielli spiega che il bollettino “compendia l’attività di uno specifico tavolo creato nel 2019, coordinato dal Dis”, ma al quale partecipano, oltre ad Aise ed Aisi, Palazzo Chigi (Ufficio del consigliere militare e Dipartimento editoria), Farnesina, Interni e Difesa, Mise, Agenzia per la cybersicurezza e Agcom.


Alla luce dei contenuti e dei soggetti istituzionali coinvolti, e delle smentite del sottosegretario, possiamo escludere un suo utilizzo al fine di adottare misure di censura e/o di indagine di controintelligence nei confronti dei soggetti citati. Non c’è, come ha ribadito Gabrielli, un uso di tecniche investigative per indagare sulle opinioni e sui soggetti che le esprimono, né l’intenzione di “limitare il diritto di informazione”.


Diremmo quindi che gli usi che il governo – e in particolare Palazzo Chigi e Ministero degli Affari esteri – potrebbe fare di questi bollettini sono sostanzialmente due. Potrebbe usarlo come base conoscitiva per 1) meglio calibrare la sua comunicazione politica in risposta alle critiche al suo operato che circolano nell’opinione pubblica; 2) meglio contrastare la disinformazione e le narrazioni biased (ma solo quella filo-russa e anti-governativa, non essendo riportata quella di segno opposto, che pure esiste).


In pratica, il bollettino risponde a poche semplici domande: chi sono e quali messaggi veicolano in rete i critici del governo Draghi e delle posizioni atlantiste sulla guerra in Ucraina.

Un’attività conoscitiva di natura politica

Ma questa, pur essendo legittima, è di tutta evidenza un’attività conoscitiva di natura politica. Si tratta di conoscere meglio i propri oppositori e i loro argomenti. Il fatto che “le critiche all’operato del presidente Draghi” sui social, fondate o meno che fossero su notizie false, vengano inserite in un bollettino del Dis ci appare inappropriato.


Tra di esse, tra l’altro, vengono citate le critiche al governo Draghi per “aver colpito il popolo italiano con misure sanitarie inutili”. Il che, diciamo, è molto vicino alla realtà, altro che disinformazione… Si parla genericamente di “continuità con la disinformazione sulla pandemia da Covid-19, nonché con il filone delle teorie cospirative”.


E qui sarebbe interessante approfondire. È ancora considerato “disinformazione” sostenere che i vaccini non impediscono la trasmissione del virus? Fa ancora parte delle “teorie cospirative” sostenere che il virus sia uscito da un laboratorio cinese?


Vengono citati no-vax e no-pass come se di per sé essere contrari all’obbligo vaccinale e al Green Pass sia sinonimo di disinformazione e complottismo anti-sistema.


Certo, non farà piacere al presidente Draghi venire “descritto come allineato alle decisioni americane e disinteressato delle sorti del suo popolo”, ma appunto siamo nell’ordine della critica politica, più o meno condivisibile. Appare almeno verosimile, per fare un altro esempio, che lo stop al petrolio e al gas russi determinerebbe una “pesante penalizzazione del sistema industriale del Paese”, considerazione che nel rapporto viene catalogata tra le “narrative”.


Vengono citate “narrative che tendono a porre in antitesi le figure del ministro degli esteri Di Maio e di Lavrov, elogiando le elevate qualità diplomatiche di quest’ultimo”. Ci pare fuori discussione che le qualità di Lavrov come ministro degli esteri siano superiori, se non altro a suggerirlo al momento sono le diverse carriere dei due, ma la domanda è: farlo notare è disinformazione filo-russa o semplice opposizione al governo in carica.


Proprio passaggi come questi, che come fil rouge hanno le critiche all’operato di Draghi e dei ministri,

indicano inequivocabilmente la natura politica del bollettino, che dunque non dovrebbe essere redatto dai servizi,

ma al limite dai collaboratori del premier e dei ministri (meglio ancora se funzionari di partito e non governativi).


Il mandato dei Servizi

Cittadini che si organizzano per diffondere le loro opinioni, basate o meno su fake news e teorie strampalate, ad un pubblico più ampio possibile, utilizzando diversi canali, non costituiscono una minaccia per la sicurezza della Repubblica, a meno che non si tratti di un’attività di propaganda propedeutica al compimento di atti eversivi o di agenti consapevoli di uno Stato estero ostile, nei quali casi i servizi devono occuparsene con attività di controintelligence, non con una semplice rassegna commentata. Ma non pare essere questo il caso, avendo sottolineato lo stesso Gabrielli che “nulla a che vedere con l’attività dell’intelligence”.


Nel mandato dei servizi segreti non rientra aiutare il governo a monitorare le opinioni degli oppositori, né eventuali fake news, per meglio calibrare la sua comunicazione politica. Il problema è di natura politica e interessa unicamente il premier, i ministri e i loro staff politici.


Intervenuta ieri sera a 8 e mezzo, non contenta del regalo fatto ai “putiniani” e della scena muta nel confronto con Giorgio Bianchi su Byoblu, Fiorenza Sarzanini ha candidamente sostenuto che “se c’è una scelta del governo, i servizi segreti devono tenere sotto controllo la situazione se questa propaganda va a incidere su scelte di governo”. Il che è chiaramente un mandato politico che esula dalle funzioni proprie dei servizi.

Il terreno scivoloso della lotta alle fake news

Abbiamo qui la dimostrazione di quanto sia scivolosissimo il terreno del monitoraggio e del contrasto della disinformazione – le cosiddette fake news – su cui si sono incamminate le istituzioni a diversi livelli, non ultimo come abbiamo visto quello dei servizi segreti.


Dove finisce il diritto di critica e d’opinione, il sacro free speech, e inizia la pura e semplice disinformazione interessata, o addirittura una vera e propria macchina della propaganda di uno Stato estero ostile, è un confine molto labile. Una materia da maneggiare con estrema cura che probabilmente sarebbe meglio lasciare al libero confronto delle idee e al pluralismo dei media.


“L’unico antidoto alla propaganda e alla disinformazione è una libera informazione“, ha ricordato lo stesso Gabrielli.
 
Ahahahah giornata delle risate . Esiste ?


Volevo dire io che non s’infilavano pure qui.

Ecco la polemica cromatica delle vestali gender, questi incurabili ossessionati da loro stessi, sentite che roba:
il registro degli elettori per l’annotazione delle schede elettorali con gli

«elenchi in rosa e blu, fatti dal Ministero degli Interni non tiene conto della complessità delle persone transgender.
Migliaia di persone aventi diritto al voto in questo momento in Italia non sono in possesso di documenti conformi alla propria identità».


Non si dà pace in questa nota dolente Fabrizio Marrazzo (no, non quello là: un altro),
portavoce del “Partito Gay per i diritti Lgbt+, Solidale, Ambientalista, Liberale” (e poi, che altro? Tocca fare una scheda in posizione orizzontale).

Liberale de che?

Discriminatorie le schede colorate?

Ma possibile che sempre lì – cioè in manicomio – bisogna andare a finire?


Prima Mattarella che, soave, argenteo, come niente fosse, secondo Il Foglio avrebbe fatto l’elogio dell’astensionismo.
Per la serie, comportatevi come vuole il Pd e non rompete le balle.

Poi il boicottaggio in Sicilia, a Palermo, dalle modalità inconfondibili, con decine di presidenti di seggio che di colpo spariscono.

Ancora, e qui si parla per esperienza diretta, gli ostacoli melliflui in sezione, con quelli del seggio che chiedono ai votanti: “Le vuole tutte, le schede?”.

Sì, certo, perché?

Infine, lo psicodramma, molto psico e poco dramma, delle schede bicolori.

«La pubblicazione degli elenchi in rosa ed in blu, oltre essere anacronistici (sic!),
pongono l’attenzione su un grande tema che avevamo sollevato anche per le scorse elezioni.
Costringere le persone trans e non binarie a fare coming out in ambienti non idonei,
esponendole di fatto alla possibilità di diventare un facile bersaglio di violenza e discriminazione.
Mentre in contemporaneo lo stesso ministero non ha bloccato centinaia di liste
dove le quote per le donne non erano rispettate, e per le quali faremo ricorso nei comuni dove siamo presenti».


Also sprach Marrazzo.

Che grande tema!

Ora, se c’è un posto dove non c’è pericolo di violenza, tanto meno sulle persone trans e non binarie, è un seggio elettorale:

che fanno, li molestano con la matita?

Gli fanno aria con le schede?

Ma dai. “Facile bersaglio”, e su!

Ma questi, su quale pianeta vivono?

O credono di essere gli unici a vivere su questo pianeta?

Davvero debbono sempre attaccarsi a tutto pur di far casino?


Lungi dal dover complicare ciò che è facile, attività prediletta da chi non c’ha un cazzo da fare, la cosa è molto semplice:
fino a legge contraria, le autopercezioni in “gabina”, come diceva Bossi, che ce l’aveva duro,
contano zero e quello che decide è la carta d’identità.

Per cui uno può sentirsi, addobbarsi, atteggiarsi come gli pare, ma se c’è scritto sopra “maschio”: scheda azzurra,

se c’è “femmina”: scheda rosa”, e se uno da maschio è passato a femmina, scheda rosa (o viceversa).

Prego si accomodi avanti il prossimo.



Cuccuruccuccù Marrazzo.
 
Il mancato raggiungimento del quorum costituisce non soltanto il naufragio dell’iniziativa referendaria
– dagli obiettivi condivisibili, ma operata coi mezzi più confusi e contraddittori
bensì pure il fallimento sui temi della giustizia di una intera legislatura:

partita dalla manipolazione della prescrizione,

proseguita con l’introduzione di istituti dagli effetti devastanti, quale l’improcedibilità in Appello e in Cassazione,

e con destinazioni dei fondi Pnrr provvisorie e inutili, come l’ufficio per il processo,

senza affrontare direttamente uno solo dei problemi emersi dal cosiddetto “caso Palamara”.


Se il bilancio è di cinque anni perduti, unitamente a risorse e a occasioni di riforme,

il senso di responsabilità impone alle forze politiche,

all’indomani di questa manifestazione di sfiducia dell’elettorato,

di individuare i veri nodi della questione giustizia in Italia e, al di là delle divisioni,

di assumere l’impegno perché la prossima legislatura sia dedicata ad affrontarli e a risolverli.


Ciò vuol dire, per restare allo stretto ambito della magistratura,
puntare, oltre che a una vera e formale separazione delle carriere,
che comunque ha bisogno di una modifica costituzionale,

a estrapolare il giudizio disciplinare dal Consiglio superiore della magistratura,
per affidarlo a un giudice non elettivo,

ad adeguare gli organici di magistrati e personale di cancelleria,
elevando l’attuale media della metà rispetto agli organici degli altri Paesi Ue,

a rivedere i meccanismi di ingresso nella funzione e di progressione in carriera,
e quindi a cambiare le modalità del concorso e della nomina dei capi degli uffici.


Chi ha ricevuto un mandato dagli elettori, e siede in Parlamento e nel Governo,

vari queste indilazionabili riforme, senza aggiramenti per via referendaria:

che fanno tornare al punto di partenza, avendo nel frattempo bruciato tempo e denaro.
 
L'annuncio di Christine Lagarde, presidente della Bce,
di tornare ad alzare i tassi di interessi e con essi il costo del denaro
ha scatenato la reazione dei mercati.

Lunedì 13 giugno a Coffee Break, su La7, c'è ospite il condirettore di Libero, Pietro Senaldi,
che ha una opinione precisa sul capo della banca centrale europea.

"Ma non si può mandarla via?

Non capisce niente, era avvocato,

l'ha fatta ministro François Fillon,

il peggior politico francese",


esclama Senaldi dopo che era andato in onda un servizio su Lagarde.


"Ci sono donne che non capiscono niente, così come gli uomini.

Questa donna non è al suo posto"

"Tornasse in piscina a fare il nuoto sincronizzata o l'avvocato, che evidentemente era brava.

Ci sono le lettere in cui si mette in ginocchio a Nicolas Sarkozy per la poltrona...

Sta distruggendo l'Europa " .
 
Ricordate Domenico Arcuri?

Sì, proprio lui, l’ex commissario all’emergenza Covid.
Non un omonimo.

Quello delle primuale, delle gaffe, dei dati falsati, dei banchi a rotelle…


Dopo aver reso questo enorme servizio al Paese,
si è eclissato, insieme a Giuseppe Conte e parte del primo governo pandemico.

Zitto zitto, buono buono, Arcuri,
che nel 2020 è stato impegnato per gran parte dell’anno in quel ruolo di commissario straordinario Covid cui lo nominò Conte,
si è visto aumentare lo stipendio dal consiglio di amministrazione di Invitalia, superando abbondantemente il milione di euro.


La notizia, lanciata da La Verità, solleva il velo su uno dei misteri più oscuri di questi anni.

La relazione della Corte dei Conti sul bilancio 2020 della società controllata dal ministero dell’Economia
trasmessa in Parlamento alla fine dello scorso mese di maggio rivela più di una chicca.


“Arcuri per tutto il 2020 ha mantenuto il doppio incarico,
pur essendo la sua attività quasi totalmente assorbita dalle funzioni governative di commissario Covid
che come si ricorda sono state assai discusse tanto da provocare la sua sostituzione appena insediato il governo di Mario Draghi.

Eppure in Invitalia le indennità fisse e variabili previste per la sua funzione da amministratore delegato
sono salite dai 241 mila euro del 2019 ai 293.177 euro del 2020.

Questa però è solo la parte meno significativa dello «stipendio» incassato da Arcuri quell’anno.

Perché come segnala la Corte dei Conti in nota a questa cifra va sommata quella a lui assegnata
«per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato di Direttore generale,
pari a euro 450 mila di parte fissa e una retribuzione variabile nella misura annua del 60 per cento della retribuzione fissa».


Quindi il compenso complessivo da direttore generale è ammontato a 720 mila euro
(450 mila di emolumento fisso e 270 mila di quota variabile)
che sommato alle indennità da amministratore delegato fanno 1.013.177 euro”.


Sempre la Corte dei Conti annota però che a giugno 2020
il consiglio di amministrazione di Invitalia ha deliberato di assegnare ad Arcuri

“per il 2020 un ulteriore obiettivo,
al conseguimento del quale gli può essere riconosciuto un importo aggiuntivo rispetto alla retribuzione variabile relativa sia al rapporto dirigenziale,
sia al compenso annuo ex articolo 2389, comma 3 del codice civile, pari al 20 per cento della stessa retribuzione variabile,
quindi fino a un massimo del 12 per cento di quella fissa”.


In nota alla tabella sugli emolumenti i magistrati contabili scrivono che

“il consiglio di amministrazione di Invitalia ha valutato positivamente il 1° giugno 2021
il raggiungimento degli obiettivi prefissati dal medesimo cda»,

e quindi ad Arcuri dovrebbero essere stati erogati a premio ulteriori 54 mila euro anche come direttore generale.
 
Già nel 2016 ci fu una inchiesta della procura generale della Corte dei Conti

per gli extra compensi rispetto ai limiti di legge erogati sia ad Arcuri - presidente di Invitalia - ed a tutti i consiglieri di amministrazione.


Ebbene, queste nuove cifre superano di gran lunga quelle del passato.


Complessivamente i magistrati contabili avevano individuato 1,9 milioni di euro oltre al dovuto corrisposti ad Arcuri & Co in più anni.


“Invitalia i1 20 luglio 2017 emise un prestito obbligazionario di 350 milioni di euro quotato al mercato regolamentato”

che ha permesso alla società di uscire dall’elenco delle controllate dal Tesoro

ai cui manager poteva essere applicato il tetto massimo stipendiale omnicomprensivo di 240 mila euro l’anno

imposto dal governo di Matteo Renzi a tutta la pubblica amministrazione”.


Il rapporto della Corte dei Conti mette in evidenza luci e ombre di tutti i bilanci di Invitalia.
 
Le liste di proscrizione

I presunti documenti dei Servizi Segreti riguardanti i nomi sulle liste -
e riguardano coloro che farebbero della presunta disinformazione in Italia.

L’elenco di nomi sarebbe abbastanza corposo,
visto che all’ultima riunione del tavolo sulla cosiddetta minaccia ibrida della disinformazione,
che dal 2019 si sarebbe riunito meno di una decina di volte,
avrebbero partecipato esponenti dei nostri apparati di sicurezza (Dis, Aisi e Aise),
dei ministeri degli Affari esteri, dell’Interno, della Difesa e dello Sviluppo economico
(coinvolto nell’oscuramento di alcuni canali tv), del Dipartimento dell’informazione e dell’editoria
che dipende da Palazzo Chigi, della neonata agenzia per la cybersicurezza nazionale e dell’Agcom.


Non è detto che il documento sulle liste di proscrizione sia stato consegnato ai giornali da uno dei partecipanti alla riunione,
bensì potrebbe essere uscito addirittura da un ufficio di piazza Dante, sede del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza,
dove si riunisce il gruppo di lavoro.

Le dure parole pronunciate da Gabrielli avranno certamente colpito chi ha fatto trapelare le informazioni.

Il sottosegretario ha, infatti, dichiarato che

«È una cosa gravissima e che ha creato grande discredito.
Ovviamente per chi mi conosce sa che nulla rimarrà impunito».


Gabrielli ha spiegato di sentire di doverlo fare per il Paese, tutelando la credibilità della nostra intelligence,
specificando che nella stessa «ci sono persone di cui volentieri faremmo a meno».


Parole che potrebbero far pensare che Gabrielli abbia già un’idea di chi possa essere la talpa.
 

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