Mohamed L., 23 anni, nato a Brignoles (Provenza-Alpi-Costa Azzurra),
immigrato di seconda generazione,
e che in Francia aveva trovato il modo per radicalizzarsi,
era già noto alla polizia, ma non all’intelligence territoriale.
E quando Mohamed ha accoltellato il medico militare,
non s’è risparmiato dal spiegare a tutti che stava agendo in nome di Allah,
e di voler semplicemente punire gli “infedeli”.
Né titoli, né prime pagine, né conferenze stampa, né visite di Stato per un cattolico ucciso da un musulmano.
Con la notevole eccezione de L’Union, quotidiano dell’Ardenne, che il 31 maggio ha pubblicato un editoriale intitolato
“Alban Gervaise, un nome che per te non significa niente”, indignandosi per il trattamento mediatico riservato all’assassinio.
Anche
Le Figaro ha provato ad occuparsi del caso, ma se la politica ignora e non condanna, è normale che le notizie spariscono in un amen.
“Vorrei capire perché il barbaro omicidio del nostro collega, Alban Gervaise, è stato così poco considerato dalla stampa”, dice un alto ufficiale dell’esercito parigino.
“Perché era un soldato? Per ideologia o per negare la realtà? Ci poniamo la stessa domanda.
E vogliamo una risposta perché questo silenzio mediatico è come una seconda morte”.
Solo Julien Dray, ex deputato socialista che ha appena lanciato il suo movimento,
Reinvent!,
ha osato affermare pubblicamente che
“volevamo nascondere le cose”,
chiedendosi se questo tipo di atteggiamento è dipeso
“dalla stampa locale, che non ha voluto dare i primi elementi che aveva,
o da autorità e magistratura che si sono risparmiate i dettagli”.
Neanche il fatto che dei bambini abbiano dovuto assistere al massacro del padre, ha commosso la Francia.
Sono finiti i giorni in cui, di fronte a tragedie di questo tipo,
un Presidente della Repubblica riceveva sistematicamente i parenti delle vittime al Palazzo dell’Eliseo
per manifestare la sua compassione e solidarietà nazionale.
Sono finiti i tempi della condanna plateale al terrorismo islamico.
Dopo le sanguinose tragedie dell’affaire Mehra, Charlie Hebdo
e il negozio kosher di Porte de Vincennes, Bataclan, Nizza, Saint-Etienne de Rouvray, tanti altri,
il fenomeno a cui assistiamo non è semplicemente di una banalizzazione del male, ma dell’islamismo.
Secondo lo studio del 2020 dell’Osservatorio nazionale della delinquenza e delle risposte criminali (ONDRP),
tra il 2015 e il 2017, in Francia sono state registrate
44 mila vittime di accoltellamenti, ovvero più di 120 al giorno:
epidemia di crimini da coltello importata dalla Gran Bretagna e che ha nei musulmani gli attori protagonisti.
La Francia ha contato, per dieci anni, più di 250 vittime del
terrorismo islamista.
E il fatto che l’omicidio del medico cattolico non rientri nel terrorismo
è perché i criteri utilizzati dai media, e della politica interna, sono incapaci – o si rifiutano! – di inquadrare la realtà dei fatti.
Tutti gli studi sul jihadismo europeo hanno dimostrato che l’esistenza o meno di una sigla poco importa.
Il
modus operandi pensato dal al-Qaeda, e po’ più estraneo a Daesh,
lavora alla radicalizzazione puntando sulle carceri e sui centri islamici.
Legando insieme imam, fedeli e jihadisti già formati
si fa proselitismo a scopo di islamizzare l’Occidente che necessita di essere ripulito da “infedeli”, i cristiani e i bianchi.
La minaccia è mutata nel corso del tempo, poiché dagli attacchi relativamente complessi e spettacolari di qualche anno fa,
siamo arrivati a metodi decisamente meno sofisticati (coltello, attentati con autoveicoli e speronamento, incendi) c
he inoltre sono molto più difficili da prevenire per le forze di sicurezza.
L’omicidio del medico cattolico né è la prova: se i media e la politica si dimostrano esautorati
e
vittime di un politicamente corretto che impone il silenzio,
chi avrà paura di uccidere ancora in nome di Allah e di non sentirsi conquistatore d’Europa?
Quello che è accaduto a Marsiglia è drammatico e deplorevole.
Specie per il silenzio che ha coperto i fatti.
Ma è difficile restarne stupiti poi troppo.
Dal 2005 le banlieue di Parigi sono comparse sulle prime pagine dei quotidiani di tutto il mondo:
grandi quartieri periferici con un’alta densità demografica di musulmani,
molti dei quali radicalizzati che si moltiplicano per numero e densità.
Per intenderci, basta pensare alla banlieue di Saint-Denis, nascondiglio dei terroristi del 13 novembre 2015.
A Marsiglia dei circa 850 mila abitanti,
il 45 per cento dei cittadini sotto i 30 anni è di fede musulmana
e le proiezioni da qui ai prossimi 40 anni sono drammatiche.
È la città con la più alta percentuale di musulmani di tutta la Francia.
Con molti problemi di disoccupazione giovanile e povertà, secondo alcune statistiche,
Marsiglia potrebbe diventare la prima città a maggioranza musulmana dell’Europa occidentale.
Come può non accadere, quindi, che un bianco cattolico non disturbi un fedele di Allah?
Ma come può accadere che nessuno ne parli, quello sì che inquieta, forse, ancor di più.