Povere - si fa per dire - ma cretine senz'altro.
Sì, certo, c’è di più urgente e più grave al mondo,
per esempio i roghi romani appiccati dalle bande organizzate come monito alla amministrazione piddina,
però anche le
minima immoralia possono meritare uno scrupolo critico, analitico,
non foss’altro perché frotte di emule cretine si comportano di conseguenza.
Succede così che la “imprenditrice digitale”, che nessuno ha mai capito cosa significhi,
quella che compra i necrologi sul Corriere per mostrarsi pari a Leonardo Del Vecchio,
il che suona inquietante di per sé, si spari le pose al ristorante addobbata con un copribottoni,
un
copricapezzoli di indubbio gusto, nel senso che è l’indiscussa quintessenza della volgarità
(la cafonaggine, come dicono sui social, è altra cosa): subito una emula,
la fidanzata dei Maneskin, apprendista influencer, aspirante poetessa, stramorta di fama Giorgia Qualcosa, risponde con un altro reggibocce.
E il gioco è chiarissimo ed è di una tristezza infinita.
Più la menano con i diritti, gli Olocausti, le disugaglianze, le genderate e più si scoprono ipocrite della più bell’acqua.
Le parole, diceva Nanni Moretti, sono importanti e lo sono non meno le pose:
se vai al ristorante in reggiseno e ascelle a cespuglio,
orgogliosamente ostentate,
e dici che lo fai per i diritti delle donne, il vaffa a feedback, a boomerang, lo meriti tutto, chiunque tu sia:
è esattamente l’opposto,
una dimostrazione di potere, in soldi, in follower, io posso farlo e voi no,
io vado a culo di fuori dove si mangia e voi zitti perché nessuno mi può dire niente
potendo io investire sulla comunicazione dei giornali che,
visto che affoghiamo nel pecoreccio facciamolo con classe, si mettono a pecora dinanzi a noi.
Chiara e le sue apostole lo sanno benissimo ed è questo l’unico messaggio: noi possiamo, voi per niente.
Io posso tu no ma continua a seguirmi, continua a sognare.
Le influencer o aspiranti tali con pretese salvifiche, rappresentative della condizione femminile, in soldoni sfruttano l’effetto contrario:
offrono una immagine stereotipata della femmina con le zinne da mungere almeno con gli occhi,
a patto di distinguersi in quanto vip o sedicenti o percepite tali.
Tutte queste
poseur, quasi tutte, casualmente non rinunciano a proporsi con due tette così:
la signorina Maneskin come quell’altra che parla “in corsivo” e qui c’è da dire un’altra cosa che nessuno ha saputo o voluto o potuto appuntarsi:
la scemenzata del corsivo non è fine a se stessa,
non l’ha inventata quella lolita lì,
non è un disperato segnale dei nostri giovani come pretenderebbe il giornale unico
Stampa-Repubblica-Corriere;
è solo la trovata lasciva di qualche vecchio marpione che deve aver suggerito alla signorina quarta abbondante:
tu, se vuoi fare i soldi, mettiti a miagolare in quel modo vagamente laido,
così fai arrazzare i maiali stagionati e quelli in fiore.
Missione compiuta, ma non ci si venga ad infliggere pensosi pipponi:
qui i pipponi sono del tutto disimpegnati, istintuali, figli della volgarità e della cafonaggine che si va imponendo.
E se alla ripresa delle scuole le vostre quattordicenni pretenderanno di sedersi al banco coi copribottoni di Giorgia, Chiara o CippaLippla,
sappiate che era già tutto previsto e che nessuno, quasi nessuno tra chi dovrebbe analizzare la società si è sentito il coraggio di dirlo prima;
lo stesso tra le famiglie, che ormai replicano, anche loro, le dimensioni manageriali delle imprenditore digitali.
Quanto aveva ragione Frank Zappa: siamo qui per i soldi, solo per quelli.
E sparava certe composizioni pornografiche che all’epoca parevano provocazioni assurde:
e invece erano profezie, perché è del genio immaginare tutto il peggio che si approssima.
Chiara, Giorgia e le altre sono, in fondo, lo spettacolo macabro di
donne che si scavalcano in una eterna sfida a colpi di volgarità sempre più fragorosi;
allevano generazioni di epigone che vivono respirando con rassegnazione la polvere dei roghi tossici
ma credono ribelle e rivoluzionario esibire il pelame, andare in locali esclusivi in mutande, e soprattutto essere lì per i soldi, solo per i soldi.
E non si accorgono di quanto diventano parossistiche.
La fidanzata di quello fidanzato con la fidanzata dei Maneskin,
uno che per copiare Pelù che copia Iggy Pop si tufferebbe ovunque,
si è messa a litigare, pubblicamente, con l’algoritmo di Instagram che le censura le pose:
perché avverte un irrefrenabile impulso di sfoderare le ragguardevoli zinne,
se uno trova una sua foto coperta, vale una fortuna.
E siccome Instagram non se ne dà per inteso, lei “lo sfida”:
“Instagram puoi censurarmi quanto vuoi ma non puoi censurare la troia radicale che è in me”.
Se lo dice lei, chi siamo noi per obiettare?
Ma ciascuno ne tragga le conclusioni del caso.
Specie se ha figlie adolescenti.
Tutto il resto è fuffa, come l’imprenditoria digitale o manuale che fa prosperare gli affari del settore.