Alla primissima presentazione, alla Camera, Speranza si era distinto per arroganza,
confortato dalla violenza verbale di tutti gli intervenuti dall’ex primo ministro Conte
alla segretaria piddina Schlein alla ciambellana Lucia Annunziata, candidata da Schlein alle prossime Europee.
“Siamo stati troppo morbidi, ma la prossima volta non commetteremo lo stesso errore”.
La cricca piddina che invita Speranza in assemblee quasi clandestine non ha ritegno, dice: ma come?
Abbiamo salvato il Paese e non ce lo riconoscono?
Ma il Paese, cioè i suoi ammalati, che sono milioni, li aspetta al varco e li sommerge di insulti.
E sono insulti che idealmente rimbalzano sul Presidente,
checché se ne industrino i media di regime a nasconderli,
a dimostrare che il Presidente è il più amato dagli italiani.
Forse quelli che vanno alla prima della Scala o al teatro Ariston di Sanremo. Gli altri, no.
Ma non c’è organizzazione teppistica, sono moti spontanei,
dettati dalla disperazione quelli che braccano il non più ministro,
ma sempre tracotante e a suo modo alienato come chi non è disposto a mettersi in discussione,
neanche di fronte all’esito più catastrofico.
Ma a questo ex potente caduto in disgrazia delle vittime importa meno di niente:
le usa per scampare a una candidatura votata a sicura disfatta,
“i novax mi minacciano, non posso essere eletto”,
quando era il suo regime a minacciare e distruggere gli scettici.
Ma per Speranza, ancora oggi, “i vaccini non hanno mai ucciso nessuno”
e questo, ringhiato in faccia a una platea di cancerosi e di paralitici reduci dal vaccino,
è provocatorio al limite dell’idiozia.
Per il fu ministro fobico la pandemia era
“una ottima imperdibile occasione per ricostruire una società in senso gramsciano”,
cioè comunista o neocomunista;
per il cattocomunista Mattarella resta occasione irrinunciabile per cedere sovranità e democrazia
all’Unione Europea vaneggiante, alla sua legislazione autoritaria, alla sua tecnologia repressiva.
E chi oggi contesta, se ne farà una ragione.
Chi giura, “mai più la costrizione di quegli anni irreali”,
viene bombardato dalle cassandre di regime, come le Viola o le Capua
che annunciano, tutte giulive, prossime pandemie “ma molto più micidiali”.
La peste fantasma, che nessuno sa identificare ma inevitabile come il “mille e non più mille” dell’Apocalisse.
Ma la pandemia perenne c’è già, ce la portiamo dentro, malati o meno, è un cancro della mente.
Fateci caso: qualsiasi conversazione, cena o trattenimento finisce inesorabilmente nell’incubo della memoria,
di quei mesi, di quella guerra che ci scatenarono addosso per il puro gusto di opprimerci
e per un affare colossale destinato a non finire mai:
prima elaboriamo un virus sconosciuto e micidiale o presunto tale,
poi lanciamo vaccini velenosi,
vi facciamo morire così sfoltiamo la popolazione come piace ai Klaus Schwab e ai Bill Gates,
chi non muore si ammala
e va curato con nuovi vaccini ugualmente venefici in una spirale senza fine.
In più, vi abituiamo ad obbedire a tutto, a nascondervi, a girare con la testa bassa,
come i prigionieri in lager, a dipendere dalla tecnologia del controllo,
a sentirvi in colpa per essere ancora vivi, a odiarvi fra di voi,
a pagare per ammalarvi, a rovinare i vostri stessi figli.
Ed è una psicosi che non passa anche perché non esiste famiglia
che non abbia qualche lutto o invalido da assistere perennemente.
Parliamo di quattro anni fa come fosse ieri e, soprattutto, come fosse domani.
Da questo non guariremo mai e il regime perenne lo sa, il suo garante perenne lo sa.