Mercato azionario: fino a qui tutto bene… o quasi (seconda parte)
Perché l'eccesso di liquidità iniettata sui mercati dalle banche centrali non alimenta l'inflazione? Ecco la possibile risposta.
di
Giuseppe Timpone, pubblicato il
05 Aprile 2021 alle ore
08:27
Nella prima parte di questo studio, che potete leggere
QUI, abbiamo stabilito che la moneta creata dalla BCE e dal sistema bancario sia sempre meno efficace, lasciandoci alla fine dell’articolo con il seguente quesito:
Se la moneta creata dalla banca centrale e dal circuito bancario non riesce ad arrivare all’economia reale e non riesce ad espandere l’attività economica ed a creare inflazione, dove finisce tutta questa moneta?
Probabilmente, una delle risposte corrette a questa domanda è:
sui mercati finanziari.
Immaginiamo di suddividere il sistema economico in due mercati, quello dei beni (mercato dell’economia reale) e quello finanziario. Se ci pensiamo, entrambi i mercati sono rappresentati da “prezzi”, dove i prezzi del mercato finanziario sono rappresentati dai prezzi di azioni ed obbligazioni. E se ci pensiamo bene, quello a cui abbiamo assistito in questi ultimi anni di politica monetaria ultra-espansiva è stato un incredibile fenomeno inflazionistico, non dei prezzi dei beni e servizi, ma dei prezzi degli asset finanziari, tra cui appunto azioni ed obbligazioni. La moneta, anziché passare dall’economia reale inflazionando i prezzi dei beni materiali o servizi, ha finito per inflazionare i prezzi degli asset finanziari, contribuendo ad una salita incredibile dei listini e dei bond, talvolta anche senza alcuna apparente spiegazione logica. La tabella di seguito fa capire bene di cosa stiamo parlando.
Proviamo adesso a scendere un po’ più nel tecnico, cercando di dare una spiegazione a quanto affermato finora.
La correlazione tra moneta ed inflazione
Cerchiamo di provare innanzitutto che la moneta abbia qualche difficoltà a creare inflazione nel mercato dei beni (economia reale). Sebbene esistano diverse metodologie per effettuare i nostri calcoli (come ad esempio una regressione lineare), il grafico appena esposto può esserci d’aiuto e mostra il tasso di correlazione a 10 anni, mediante la correlazione di Pearson, tra le seguenti variabili:
- Tasso d’inflazione in eurozona
- Tasso di variazione della moneta M3 in eurozona
Quello che vogliamo capire con questo grafico è quale effetto abbia la variazione della moneta M3 sull’inflazione, e come questo effetto sia mutato nel tempo.
Per farlo, abbiamo utilizzato il tasso di correlazione di Pearson, osservato, per ogni data, considerando i 10 anni precedenti.
Per esempio, nel luglio 2014 il tasso di correlazione tra la variazione di M3 e l’inflazione era dello 0.44 (curva STANDARD, azzurra). Questo significa che dal luglio 2004 al luglio 2014 il tasso di correlazione è stato dello 0.44 e cioè positivo; ad una variazione positiva della moneta corrispondeva una variazione positiva dell’inflazione.
Sono state aggiunte poi più curve, differenziate per numero di trimestri di ritardo, per via del fatto che, normalmente, per vedere gli effetti della politica monetaria sull’economia è necessario attendere un certo numero di trimestri. La curva “2 TRIM” indica appunto il tasso di correlazione tra la variazione di M3 ed il tasso di inflazione 2 trimestri dopo ogni variazione della moneta, e così via per le restanti curve.
Come si osserva dal grafico, nel 2008 il tasso di correlazione era positivo per tutte le curve. Questo significa che se il quantitativo di moneta M3 variava al rialzo del 10%, anche l’inflazione si muoveva al rialzo (correlazione positiva) per tutti i periodi osservati (2 trimestri dopo, 4 trimestri dopo ecc. ecc.). Viceversa, ad una contrazione monetaria corrispondeva una contrazione dell’inflazione (correlazione positiva), per tutti i periodi osservati (2 trimestri, 4 trimestri ecc. ecc.).
La cosa strana però è che il tasso di correlazione nel tempo sia mutato e sia sceso lentamente, fino
all’ottobre 2018, momento in cui avviene il paradosso monetario:
l’inflazione diventa correlata negativamente con la moneta, per tutte le curve!
Stampiamoci questo grafico bene in testa. Questo è un paradosso macroeconomico che farebbe ribollire il sangue a Milton Friedman, premio Nobel per l’economia, che nel secolo scorso sosteneva che l’inflazione fosse solo un fenomeno monetario.
Gli ultimi dodici anni di storia in eurozona dimostrano esattamente il contrario.
Un’ulteriore considerazione si ottiene osservando come la curva degli 8 trimestri abbia incrociato al rialzo tutte le altre curve, e sia l’unica, nel 2020, a mostrare una correlazione positiva, seppur di poco, tra variazione della moneta e tasso di inflazione. Questo significa che la politica monetaria, la quale un tempo mostrava rapidamente i suoi effetti, sta facendo sempre più fatica ad incidere in qualche modo sull’economia reale e ce ne accorgiamo dal suo effetto principale:
l’inflazione che tarda ad arrivare.
Lentamente stiamo mettendo insieme tutti i pezzi del puzzle. Nel paragrafo successivo mostreremo l’ultimo tassello fondamentale.
La correlazione tra moneta e mercati azionari
Cerchiamo adesso di capire, per gioco, quali effetti abbia la variazione della moneta sui listini azionari, osservando il seguente grafico.
Incredibile, vero?
Tutti i tassi di
correlazione tra variazione della moneta e listini azionari, proprio dal 2018 (anno in cui la correlazione tra inflazione e moneta è scesa in territorio negativo), cominciano ad effettuare
una brusca inversione di tendenza e le curve con più trimestri di ritardo finiscono in territorio positivo.
Oggi i mercati azionari europei sono correlati positivamente con la moneta.
Se cresce la moneta M3, salgono i listini azionari.
Se si restringe la base monetaria, i listini azionari scendono.
Se pensate sia ancora poco rilevante, osservate il grafico relativo al mercato azionario americano, esposto di seguito.
In questo caso, la correlazione è vicina ai massimi storici.
Nessuno vuole avere ragione e non sostengo che la motivazione per cui salgano i mercati azionari ed obbligazionari sia esclusivamente per via dell’eccesso di moneta in circolazione. Però, se volessimo essere oggettivi, diremmo
che una correlazione negativa tra inflazione e moneta sia un dato pazzesco di cui dovremmo tener conto.
Ancora più degno di nota è che questa correlazione negativa sussista nello stesso momento in cui vi sia una correlazione positiva tra moneta e listini azionari. Se poi ragionassimo sulle variazioni percentuali dell’inflazione, comparata a quella dei vari strumenti finanziari negli ultimi 5 anni… beh, quantomeno un minimo di sospetto dovrebbe venirci.
Se la nostra teoria fosse vera, allora dovremmo avere una certa consapevolezza del fatto che questa salita degli asset finanziari non possa durare in eterno.
Cosa accadrebbe infatti se da un giorno all’altro dovesse tornare la famigerata (e ricercata) inflazione e le banche centrali si vedessero costrette a drenare liquidità dal sistema economico?
Se è vero che la moneta sia correlata positivamente con i mercati azionari, allora una restrizione della base monetaria li farebbe scendere.
Quel giorno, a mio avviso, potremmo assistere a violente correzioni.
Ma il paradigma, ad oggi, non è ancora cambiato e potrebbe durare ancora per molti anni.
Concludo in bellezza, citando la frase finale di un film con l’attore
Vincent Cassel che mi è rimasto impresso nella memoria e che calza bene con il nostro discorso (L’odio – La Haine, 1995):
Questa è la storia di una società che precipita e che mentre sta precipitando, per farsi coraggio, si ripete: fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene…il problema non è la caduta, ma l’atterraggio.
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Il corto circuito che alzerà i tassi d'interesse sul debito pubblico
Il mercato del risparmio si mostra sempre più disfunzionale, non riuscendo a mettere d'accordo domanda e offerta
di
Giuseppe Timpone, pubblicato il
01 Aprile 2021 alle ore
10:51
Alcuni giorni fa, Fineco ha inviato ai clienti una lettera per informarli della possibile
chiusura dei conti sopra i 100.000 euro, in assenza di adesione a prodotti alternativi o di risparmio gestito o di finanziamenti in corso con la banca. L’istituto ha giustificato la decisione con la persistenza ormai da anni dei
tassi negativi imposti dalla BCE sui depositi “overnight” delle banche commerciali dell’Eurozona. Succede, infatti, che per incoraggiare l’immissione di liquidità in circolazione, Francoforte da tempo non soltanto non remunera più gli eccessi dei depositi delle banche presso i suoi conti, ma anzi li stanga con un tasso ormai dello 0,5%.
A questo punto, le banche non stanno trovando più conveniente avere troppa liquidità dei clienti, specie in una fase come questa in cui impiegarla è difficilissimo. Ne consegue che i conti correnti troppo gonfi siano diventati un onere per gli istituti. Da qui, la decisione di imporre la chiusura al superamento della soglia dei 100.000 euro, la quale potrebbe presto essere imitata dalle concorrenti e non necessariamente con riferimento alla medesima soglia. L’alternativa la segnala la Svizzera, dove le banche sono ormai solite girare ai clienti i tassi negativi sui depositi più alti. In Germania, qualche caso simile lo si registra.
Conto corrente Fineco chiuso sopra i 100 mila euro, dove finisce la libertà del risparmiatore?
Il mercato del risparmio è andato in tilt
I tassi negativi sono una politica abbastanza diffusa in Europa, oltre che adottata in Giappone, finalizzata a sostenere la ripresa dell’inflazione, tramite l’aumento della liquidità in circolazione e l’indebolimento dei tassi di cambio. I risultati sono stati ovunque abbastanza parziali, se non semi-fallimentari.
Ad ogni modo, con la pandemia la politica monetaria globale si è di gran lunga allentata e le banche centrali hanno preso impegni a non mutarla da qui al medio termine. Nessun
rialzo dei tassid’interesse in vista nell’Eurozona, negli USA e in Giappone, solo per limitarci alle grandi aree economiche.
I governi sono ricorsi abbondantemente alle emissioni di
debito pubblico per contrastare gli effetti economici e sociali della pandemia e terranno verosimilmente espansiva la loro politica fiscale per parecchio tempo ancora. I tassi azzerati servono e serviranno loro per continuare a raccogliere capitali sui mercati a bassissimo costo, rendendo sostenibile l’indebitamento. I contribuenti da un lato apprezzano, perché questa condizione finanziaria ultra-favorevole riduce il rischio di un imminente aumento della tassazione e/o di un taglio alla spesa pubblica. Ma in qualità di risparmiatori, stanno iniziando seriamente ad avvertire i limiti di queste azioni non convenzionali.
Se i conti correnti non rendono nulla e rischiano persino di diventare un prodotto con costi crescenti all’aumentare della liquidità depositata (o peggio ancora di essere chiusi oltre una certa soglia), esistono sempre moltissime alternative. Si può investire sul mercato obbligazionario, su quello azionario, nei fondi e persino in assets come l’oro. Ma c’è un problema: nessuna di questa è un’alternativa reale al conto corrente, nel senso che presenta
rischi maggiori. In effetti, i titoli di stato rendono sottozero fino alle medio-lunghe scadenze e molto poco anche sulle lunghe. Comprando queste ultime, ci si esporrebbe, poi, al rischio di
volatilità dei prezzi, per cui si dovrebbe mettere in conto o di subire una certa perdita o di cristallizzare la liquidità fino alla data del rimborso, cioè anche per decenni. Fuori dall’Eurozona, la situazione si mostra migliore, ma ci si esporrebbe al rischio di cambio, come con l’acquisto di Treasuries americani.
Arricchirsi in pochi minuti nell’era dei tassi a zero e rendimenti negativi
Nessuna alternativa perfetta al conto corrente
Non parliamo neppure di azioni e fondi, per loro natura assets più rischiosi, tanto che in un
portafoglio bilanciato non dovrebbero superare generalmente il 60% dell’investimento complessivo.
Dunque, il re è nudo: il conto corrente rischia di venirci soffiato sotto il naso, ma ad esso non esiste alcuna alternativa di pari sicurezza. E per quanto opportuno sia diversificare l’impiego della liquidità, nessuno può e dovrebbe mai essere costretto a investire. In teoria, dovrei essere padrone finanche di mettere i miei soldi sotto il materasso e dormirci sopra a vita.
Come se ne esce da questo
corto circuito?
Piaccia o meno ammetterlo, il mantenimento dei tassi a livelli così infimi non si mostra più sostenibile. La liquidità si accumula un po’ ovunque nel mondo sui conti bancari e inizia a deteriorare severamente i margini degli istituti.
Da qui, la necessità di alzare gradualmente il costo del denaro per permettere che domanda e offerta di risparmio s’incrocino meglio. A rischio vi sarebbe la tenuta sociale, perché se c’è una cosa che non puoi pretendere dalle famiglie è che esse investano sui mercati finanziari per consentire ai governi di indebitarsi senza limitazioni. Solo una risalita, pur lenta e sotto controllo, dei rendimenti sovrani, ergo dei tassi d’interesse, eviterebbe lo sbriciolamento del mercato del risparmio. Significherà sostenere una maggiore spesa per interessi, pur bassissima sul piano storico e sostenibile, specie con il mix tra reflazione e ripresa economica atteso per i prossimi mesi e anni.
Ciò non toglie che siamo entrati e rimarremo a lungo nell’era della
repressione finanziaria, con tassi reali negativi e disincentivo di fatto al risparmio.
La repressione finanziaria spinge già a guardare ai paesi emergenti, fate attenzione
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