lorenzo63
Age quod Agis
L’Iran
Lo scontro Ahmadi-Nejad/Mousavi è solo l’aspetto più evidente del duro braccio di ferro in corso tra estremisti e moderati. In un clima di apparente normalizzazione, mentre l’agenzia Ria Novosti, citando la Radio Russa, parla della richiesta dei comandi pasdaran di processare il sessantasettenne Mousavi, candidato riformista alle recenti elezioni presidenziali, condannandolo addirittura a 10 anni, il dissenso e le polemiche per il controverso voto presidenziale non si sono ancor placati del tutto. La verifica del 10% dei voti autorizzata dal Consiglio dei Guardiani ed effettuata in presenza del solo rappresentante del presidente uscente, Ahmadi-Nejad, ha prevedibilmente confermato la vittoria di quest’ultimo.
Il risultato del voto, però, continua a non essere riconosciuto da Mousavi, sostenuto in questo suo rifiuto da vari settori professionali e dagli intellettuali, nonché dalla parte più “illuminata” del clero sciita (gli ayatollah Montazeri, Sanei, Ardebili, Bojnurdi, Tabrizi). In uno dei suoi ultimi comunicati, Mousavi parla apertamente della “nostra responsabilità storica di continuare la protesta per ripristinare i diritti dei cittadini ”.
La manipolazione del voto, a parere dei riformisti e di ampie fasce della società civile, è stata pianificata dal governo di Ahmadi-Nejad, da alcuni ambienti dell’esercito politico dei pasdaran (le milizie basiji) e dai servizi sotto l’egida dell’ultraconservatore esponente del clero sciita, l’ayatollah Mesbah Yazdi. Come è noto, subito dopo l’annuncio ufficiale del voto, il governo di Ahmadi-Nejad ha fatto arrestare gli esponenti e gli attivisti del riformismo (Hajjariyan, Atriyanfar, Mirdamadi tra gli altri) ed in una condizione di monopolio dei media radiotelevisivi, ha limitato ulteriormente i margini d’espressione democratica (stampa, internet, sms), vietando ogni manifestazione e annunciando manovre delle forze di polizia nelle città e dell’esercito nelle aree extraurbane. Per tutta risposta, in una imponente manifestazione (non autorizzata) di protesta tre milioni di cittadini di Teheran hanno invocato pacificamente l’annullamento del voto, chiedendo il rispetto della legalità.
Lo scontro, inevitabilmente, ha finito per coinvolgere tutta l’opposizione democratica, da tre decenni ufficialmente esclusa dalla vita politica del paese e dall’ambito nazionale minaccia di travalicare nell’arena internazionale.
2. Dopo la rivoluzione del 1979, l’Iran è guidato da un potere che ha escluso in maniera sistematica i rappresentanti politici di vasti strati della società. Dopo la caduta della dinastia Pahlavi e l’eliminazione della sua base sociale, è stata la volta dei partiti etnici (come il Partito democratico del Kurdistan) e poi di quelli nazionalisti (Tudeh, il Partito comunista, i feddayyin, i mojaheddin e ad altre correnti della sinistra e dei liberaldemocratici eredi del governo Mosadegh). Nelle intenzioni dei gerarchi, ora dovrebbe toccare a Mousavi, due volte prim ministro ai tempi dell’ayatollah Khomeini, fondatore della Repubblica islamica. Così si è costituito uno potere d’indirizzo conservatore, il quale, tuttavia, in considerazione delle millenarie tradizioni di una delle più antiche nazioni del mondo e del convivere storico di etnie e indirizzi cultural-confessionali diversi, non ha potuto non mantenere alcune forme di pluralismo formale.
Si dimentica, però, che l’Iran è al contempo una civiltà millenaria e l’unico paese al mondo in cui lo sciismo, la corrente razionalista dell’Islam, è maggioritaria. Si dimentica anche che l’Iran è il paese della rivoluzione costituzionalista del 1906, unica in tutto l’oriente, del movimento democratico di Mossadegh, della tendenza modernista di Khatami e che il paese ha duramente contrastato i taliban.
Libano, Afghanistan, Pakistan, India, Azerbaigian, Arabia Saudita, Bahrein, Yemen, ecc.), i capi delle forze armate, i vertici del potere giudiziario e della radiotelevisione di Stato e i membri del “ Consiglio dei Guardiani”.Il Rahbar ha voce in tutti gli aspetti della vita politica: è autorità somma nella politica estera, nella difesa, nella cultura, dove i suoi consiglieri hanno un maggior peso rispetto ai ministri del governo.
Sotto la Guida Suprema c’è il Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione (dodici membri, 6 giureconsulti nominati dalla Guida Suprema e 6 giuristi proposti dal parlamento ed approvati dalla Guida Suprema). Quest’organo, molto sensibile alle istanze della Guida Suprema, decide preventivamente sull’approvazione di tutte le candidature ai vari livelli e ha la facoltà di abrogare le leggi del parlamento, se non le ritiene conformi alla propria interpretazione della legge sacra.
Rispetto alla Guida Suprema, eletta o nominata dal Consiglio degli Esperti (majlis-e Khebregan-e Rahbari, il Senato di giureconsulti e giuristi d’indirizzo religioso), il presidente della repubblica, in carica 4 anni, è una specie di capo del governo e nomina i ministri (che hanno bisogno dell’approvazione del parlamento), i quali de facto amministrano la cosa pubblica per conto dei poteri non elettivi come la Guida Suprema, il potere giudiziario, i pasdaran e le varie strutture di sicurezza. Durante la presidenza di Ahmadi-Nejad c’è stata una fusione di questi poteri e il complesso militar industriale, arricchito dagli introiti petroliferi, ha cercato di eludere il ruolo guida del clero e di togliere spazio alle oligarchie di bazar (base tradizionale delle varie anime del clero). Da una parte la maggioranza del clero composto dai centristi vicini a Rafsanjani (gli ayatollah Javadi Amoli, Amini, Ostadi, Bayat Zanjani), dagli ayatollah illuminati e di sinistra (Montazeri, Taheri, Sanei, Mousavi Tabrizi, Mousavi Bojnurdi), dagli islamisti provenienti dagli ambienti universitari allievi di Khomeini, Taleghani, Bazargan e Shariati di formazione francese (come Mousavi stesso, ma, soprattutto, la moglie Zahra Rahnavard). A questi si aggiunge il partito Mosharekat, Majma’-e Rohaniyun e altri partiti riformisti, sostenuti dal mondo del lavoro e della cultura, dalle minoranze, dalle donne, dai giovani e dall’opposizione democratica erede di Mossadegh. Con il governo Ahmadinejad, molti pasdaran sono diventati governatori di varie regioni e province ed, assieme agli ambienti di sicurezza sostenuti dall’ala tradizional-letteralista del clero (Mesbah Yazdi, Mohammad Yazdi, Mahdavi Kani, Ahmad Khatami), costituiscono il famoso “Partito della caserma”. Appoggiati sul piano internazionale dalla Russia e dalla nomenclatura cinese, mirano a rafforzare il regime sul piano interno e a cercare lo scontro sul piano esterno, per cementare ulteriormente il proprio potere.
Sul piano sociale, parlare di islamisti radicali seguaci di Ahmadinejad che propugnano una politica sociale più decisa e hanno l’appoggio dei ceti più poveri della popolazione è approssimativo e fuorviante. La presidenza di Ahmadi-Nejad, caratterizzata da nepotismo e malgoverno, ha alimentato l’inflazione, rendendo la vita difficile alle categorie meno abbienti.
A fronte degli irriducibili, che controllano gran parte dell’economia e hanno in Ahmadi-Nejad il loro portavoce, vi il clero moderato, di gran lunga maggioritario.
La libertà d’espressione è stata fortemente limitata e molti esponenti ed attivisti del riformismo si trovano tuttora in carcere. Shariatmadari, direttore del quotidiano vicino ai servizi, chiede “un processo a carico di Mousavi e Khatami per tradimento”.
Secondo il fratello e rappresentante del candidato Rezai, comandante dei pasdaran ai tempi della guerra con l’Irak e conservatore di ferro, in alcuni seggi il 70% delle schede risulterebbe scritto con la stessa calligrafia e la stessa penna.
Così, nonostante l’insistenza del ministero degli Interni riguardo la veridicità delle percentuali annunciate anche dopo la verifica delle schede, i cittadini sfiduciati dal comportamento dei governanti hanno continuato la protesta in modo deciso e massiccio. Di fronte alla mobilitazione della società civile, che ha spaventato le gerarchie del potere, è sceso in campo il capo di Stato Maggiore delle forze armate, il generale pasdaran Firouzabadi, che ha minacciato gli europei intimando loro di “chiedere scusa”.
L’emergere del radicalismo in Iran è stato facilitato dalle politiche dell’amministrazione Bush, che era arrivata a inserire il governo del riformista Khatami nell’Asse del male. Questo ha indebolito i movimenti della società civile iraniana, punto di riferimento per tutto il Medio Oriente, ed ha dato linfa vitale alle forze ultraradicali.
Oggi il duo Khamenei–Ahmadi-Nejad, facendosi scudo della Shanghai Cooperation Organization (Sco), cerca di applicare in Iran il modello russo-cinese, basato sulle aperture economiche all’esterno e sulle chiusure sociali interne. Non a caso, Ahmadi-Nejad è stato ricevuto da Medvedev la mattina dopo l’annuncio ufficiale del voto. Negli ultimi 200 anni, gran parte dell’intellighenzia iraniana si è formata in Europa ed oggi numerosi iraniani vivono e lavorano in Europa. In Iran storicamente è esistito il dispotismo, ma mai il totalitarismo che, come dimostra la popolarissima pratica sufi basata sulla tolleranza e accettazione delle diversità e i vari movimenti della società civile di tendenza modernista , non appartiene all’anima più profonda della nazione.
6. L’atteggiamento deciso di Mousavi nel continuare la protesta dimostra che egli non solo si sente forte come leader della società civile, ma che probabilmente gode anche del sostegno di ambienti di militari nazionalisti e di quei conservatori che credono nei valori della repubblica, ancorché d’indirizzo islamico e conservatore. La stessa ala illuminata del clero sciita di Qom (a differenza di quello di Mashhad ), nei suoi valori basilari tende piuttosto verso la democrazia . La stessa Guida Suprema, sebbene schierata con Ahmadi-Nejad, sembra più incline al compromesso che allo scontro.
È noto che l’Iran non dispone ancora nemmeno del nucleare civile: come potrebbe mai minacciare sul serio di distruzione nucleare Israele, che invece è una potenza nucleare ufficiosa?
Una soluzione al problema, che preoccupa molte cancellerie, potrebbe venire proprio dal movimento democratico iraniano, in quanto sono stati i riformisti del governo Khatami i primi a porre il problema della sicurezza delle centrali (vista la vecchia tecnologia sovietico-russa) e della compatibilità del loro status con la giurisdizione internazionale.
L’America del presidente Obama, è conscia della centralità dell’Iran nell’ambito regionale e della sua importanza nel contribuire alla sicurezza e stabilità globale.
Lo scontro Ahmadi-Nejad/Mousavi è solo l’aspetto più evidente del duro braccio di ferro in corso tra estremisti e moderati. In un clima di apparente normalizzazione, mentre l’agenzia Ria Novosti, citando la Radio Russa, parla della richiesta dei comandi pasdaran di processare il sessantasettenne Mousavi, candidato riformista alle recenti elezioni presidenziali, condannandolo addirittura a 10 anni, il dissenso e le polemiche per il controverso voto presidenziale non si sono ancor placati del tutto. La verifica del 10% dei voti autorizzata dal Consiglio dei Guardiani ed effettuata in presenza del solo rappresentante del presidente uscente, Ahmadi-Nejad, ha prevedibilmente confermato la vittoria di quest’ultimo.
Il risultato del voto, però, continua a non essere riconosciuto da Mousavi, sostenuto in questo suo rifiuto da vari settori professionali e dagli intellettuali, nonché dalla parte più “illuminata” del clero sciita (gli ayatollah Montazeri, Sanei, Ardebili, Bojnurdi, Tabrizi). In uno dei suoi ultimi comunicati, Mousavi parla apertamente della “nostra responsabilità storica di continuare la protesta per ripristinare i diritti dei cittadini ”.
La manipolazione del voto, a parere dei riformisti e di ampie fasce della società civile, è stata pianificata dal governo di Ahmadi-Nejad, da alcuni ambienti dell’esercito politico dei pasdaran (le milizie basiji) e dai servizi sotto l’egida dell’ultraconservatore esponente del clero sciita, l’ayatollah Mesbah Yazdi. Come è noto, subito dopo l’annuncio ufficiale del voto, il governo di Ahmadi-Nejad ha fatto arrestare gli esponenti e gli attivisti del riformismo (Hajjariyan, Atriyanfar, Mirdamadi tra gli altri) ed in una condizione di monopolio dei media radiotelevisivi, ha limitato ulteriormente i margini d’espressione democratica (stampa, internet, sms), vietando ogni manifestazione e annunciando manovre delle forze di polizia nelle città e dell’esercito nelle aree extraurbane. Per tutta risposta, in una imponente manifestazione (non autorizzata) di protesta tre milioni di cittadini di Teheran hanno invocato pacificamente l’annullamento del voto, chiedendo il rispetto della legalità.
Lo scontro, inevitabilmente, ha finito per coinvolgere tutta l’opposizione democratica, da tre decenni ufficialmente esclusa dalla vita politica del paese e dall’ambito nazionale minaccia di travalicare nell’arena internazionale.
2. Dopo la rivoluzione del 1979, l’Iran è guidato da un potere che ha escluso in maniera sistematica i rappresentanti politici di vasti strati della società. Dopo la caduta della dinastia Pahlavi e l’eliminazione della sua base sociale, è stata la volta dei partiti etnici (come il Partito democratico del Kurdistan) e poi di quelli nazionalisti (Tudeh, il Partito comunista, i feddayyin, i mojaheddin e ad altre correnti della sinistra e dei liberaldemocratici eredi del governo Mosadegh). Nelle intenzioni dei gerarchi, ora dovrebbe toccare a Mousavi, due volte prim ministro ai tempi dell’ayatollah Khomeini, fondatore della Repubblica islamica. Così si è costituito uno potere d’indirizzo conservatore, il quale, tuttavia, in considerazione delle millenarie tradizioni di una delle più antiche nazioni del mondo e del convivere storico di etnie e indirizzi cultural-confessionali diversi, non ha potuto non mantenere alcune forme di pluralismo formale.
Si dimentica, però, che l’Iran è al contempo una civiltà millenaria e l’unico paese al mondo in cui lo sciismo, la corrente razionalista dell’Islam, è maggioritaria. Si dimentica anche che l’Iran è il paese della rivoluzione costituzionalista del 1906, unica in tutto l’oriente, del movimento democratico di Mossadegh, della tendenza modernista di Khatami e che il paese ha duramente contrastato i taliban.
Libano, Afghanistan, Pakistan, India, Azerbaigian, Arabia Saudita, Bahrein, Yemen, ecc.), i capi delle forze armate, i vertici del potere giudiziario e della radiotelevisione di Stato e i membri del “ Consiglio dei Guardiani”.Il Rahbar ha voce in tutti gli aspetti della vita politica: è autorità somma nella politica estera, nella difesa, nella cultura, dove i suoi consiglieri hanno un maggior peso rispetto ai ministri del governo.
Sotto la Guida Suprema c’è il Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione (dodici membri, 6 giureconsulti nominati dalla Guida Suprema e 6 giuristi proposti dal parlamento ed approvati dalla Guida Suprema). Quest’organo, molto sensibile alle istanze della Guida Suprema, decide preventivamente sull’approvazione di tutte le candidature ai vari livelli e ha la facoltà di abrogare le leggi del parlamento, se non le ritiene conformi alla propria interpretazione della legge sacra.
Rispetto alla Guida Suprema, eletta o nominata dal Consiglio degli Esperti (majlis-e Khebregan-e Rahbari, il Senato di giureconsulti e giuristi d’indirizzo religioso), il presidente della repubblica, in carica 4 anni, è una specie di capo del governo e nomina i ministri (che hanno bisogno dell’approvazione del parlamento), i quali de facto amministrano la cosa pubblica per conto dei poteri non elettivi come la Guida Suprema, il potere giudiziario, i pasdaran e le varie strutture di sicurezza. Durante la presidenza di Ahmadi-Nejad c’è stata una fusione di questi poteri e il complesso militar industriale, arricchito dagli introiti petroliferi, ha cercato di eludere il ruolo guida del clero e di togliere spazio alle oligarchie di bazar (base tradizionale delle varie anime del clero). Da una parte la maggioranza del clero composto dai centristi vicini a Rafsanjani (gli ayatollah Javadi Amoli, Amini, Ostadi, Bayat Zanjani), dagli ayatollah illuminati e di sinistra (Montazeri, Taheri, Sanei, Mousavi Tabrizi, Mousavi Bojnurdi), dagli islamisti provenienti dagli ambienti universitari allievi di Khomeini, Taleghani, Bazargan e Shariati di formazione francese (come Mousavi stesso, ma, soprattutto, la moglie Zahra Rahnavard). A questi si aggiunge il partito Mosharekat, Majma’-e Rohaniyun e altri partiti riformisti, sostenuti dal mondo del lavoro e della cultura, dalle minoranze, dalle donne, dai giovani e dall’opposizione democratica erede di Mossadegh. Con il governo Ahmadinejad, molti pasdaran sono diventati governatori di varie regioni e province ed, assieme agli ambienti di sicurezza sostenuti dall’ala tradizional-letteralista del clero (Mesbah Yazdi, Mohammad Yazdi, Mahdavi Kani, Ahmad Khatami), costituiscono il famoso “Partito della caserma”. Appoggiati sul piano internazionale dalla Russia e dalla nomenclatura cinese, mirano a rafforzare il regime sul piano interno e a cercare lo scontro sul piano esterno, per cementare ulteriormente il proprio potere.
Sul piano sociale, parlare di islamisti radicali seguaci di Ahmadinejad che propugnano una politica sociale più decisa e hanno l’appoggio dei ceti più poveri della popolazione è approssimativo e fuorviante. La presidenza di Ahmadi-Nejad, caratterizzata da nepotismo e malgoverno, ha alimentato l’inflazione, rendendo la vita difficile alle categorie meno abbienti.
A fronte degli irriducibili, che controllano gran parte dell’economia e hanno in Ahmadi-Nejad il loro portavoce, vi il clero moderato, di gran lunga maggioritario.
La libertà d’espressione è stata fortemente limitata e molti esponenti ed attivisti del riformismo si trovano tuttora in carcere. Shariatmadari, direttore del quotidiano vicino ai servizi, chiede “un processo a carico di Mousavi e Khatami per tradimento”.
Secondo il fratello e rappresentante del candidato Rezai, comandante dei pasdaran ai tempi della guerra con l’Irak e conservatore di ferro, in alcuni seggi il 70% delle schede risulterebbe scritto con la stessa calligrafia e la stessa penna.
Così, nonostante l’insistenza del ministero degli Interni riguardo la veridicità delle percentuali annunciate anche dopo la verifica delle schede, i cittadini sfiduciati dal comportamento dei governanti hanno continuato la protesta in modo deciso e massiccio. Di fronte alla mobilitazione della società civile, che ha spaventato le gerarchie del potere, è sceso in campo il capo di Stato Maggiore delle forze armate, il generale pasdaran Firouzabadi, che ha minacciato gli europei intimando loro di “chiedere scusa”.
L’emergere del radicalismo in Iran è stato facilitato dalle politiche dell’amministrazione Bush, che era arrivata a inserire il governo del riformista Khatami nell’Asse del male. Questo ha indebolito i movimenti della società civile iraniana, punto di riferimento per tutto il Medio Oriente, ed ha dato linfa vitale alle forze ultraradicali.
Oggi il duo Khamenei–Ahmadi-Nejad, facendosi scudo della Shanghai Cooperation Organization (Sco), cerca di applicare in Iran il modello russo-cinese, basato sulle aperture economiche all’esterno e sulle chiusure sociali interne. Non a caso, Ahmadi-Nejad è stato ricevuto da Medvedev la mattina dopo l’annuncio ufficiale del voto. Negli ultimi 200 anni, gran parte dell’intellighenzia iraniana si è formata in Europa ed oggi numerosi iraniani vivono e lavorano in Europa. In Iran storicamente è esistito il dispotismo, ma mai il totalitarismo che, come dimostra la popolarissima pratica sufi basata sulla tolleranza e accettazione delle diversità e i vari movimenti della società civile di tendenza modernista , non appartiene all’anima più profonda della nazione.
6. L’atteggiamento deciso di Mousavi nel continuare la protesta dimostra che egli non solo si sente forte come leader della società civile, ma che probabilmente gode anche del sostegno di ambienti di militari nazionalisti e di quei conservatori che credono nei valori della repubblica, ancorché d’indirizzo islamico e conservatore. La stessa ala illuminata del clero sciita di Qom (a differenza di quello di Mashhad ), nei suoi valori basilari tende piuttosto verso la democrazia . La stessa Guida Suprema, sebbene schierata con Ahmadi-Nejad, sembra più incline al compromesso che allo scontro.
È noto che l’Iran non dispone ancora nemmeno del nucleare civile: come potrebbe mai minacciare sul serio di distruzione nucleare Israele, che invece è una potenza nucleare ufficiosa?
Una soluzione al problema, che preoccupa molte cancellerie, potrebbe venire proprio dal movimento democratico iraniano, in quanto sono stati i riformisti del governo Khatami i primi a porre il problema della sicurezza delle centrali (vista la vecchia tecnologia sovietico-russa) e della compatibilità del loro status con la giurisdizione internazionale.
L’America del presidente Obama, è conscia della centralità dell’Iran nell’ambito regionale e della sua importanza nel contribuire alla sicurezza e stabilità globale.