Arte Concettuale - genesi, significati ed evoluzione

come si potrebbe riconoscere un falso? [a proposito di arte concettuale]
siamo piuttosto a livello dei falsi Fendi o Cartier, con l'aggravante che non possiamo nemmeno aggrapparci a superiori qualità del materiale o dell'esecuzione. Pertanto, ricordando le migliaia di reliquie sorte nel medioevo (la croce di Gesù risultava avere così tanti chiodi, sparsi nelle varie chiese, da potersene riempire tre grosse botti, così da far assimilare il Salvatore piuttosto ad un portaspilli che al Crocifisso; e così tante erano le schegge di legno della vera croce da poterci costruire un maestoso riparo per il Signore, i soldati e tutta la folla accorsa all'evento), dicevo che siamo ridotti a valutare i prodotti dell'AC come un feticcio, un - impossibile - autografo, una reliquia per cui varrà piuttosto la testimonianza dell'"io c'ero" che l'autorevolezza del pezzo in sé.
Che poi è la storia dell'orinatoio di Duchamp: quelli buoni son quelli che portano una sua firma. Il gesto dadaista dall'impeto incendiario e distruttore, vita e protesta, caso e senso del nulla, sì è rapidamente metamorfosato in un archivio storico artificialmente implementato.
Resta da vedere se una produzione dell'orinatoio-fontana per il popolo, in piccolo formato, un po' come con le torri di Pisa in resina o i David di Michelangelo in gesso e le torri Eiffel in miniatura, potrebbe ottenere il giusto successo :prr: e, soprattutto, se costituirebbe o meno un plagio. :ihih:
E qui inserisco una frase sul "feticcio", anch'esso di un anno fa e anch'esso tratto dalla degenerata palude, argomento: Beuys come seguace di Steiner :)perfido:)

L'aspetto "feticcio" dell'arte è legato alle sue origini più antiche. Anche in Steiner abbiamo un riunirsi degli aspetti religiosi e scientifici con quelli artistici, ma attraverso una evoluzione, una metamorfosi che produca oggetti favorevoli alla vita. Il feticcio è invece un'autorità morta, anzi, l'autorità della morte stessa.

Insomma, quando diamo più peso alla firma che alla qualità del lavoro, alla storia più che all'espressione, all'idea più che al valore intrinseco, al "magico" di un qualunque feticcio (fosse pure la banale realizzazione in serigrafia di una semplice frase paradossale) piuttosto che alla forza interna e formale di un lavoro, stiamo adorando divinità morte invece che riscaldarci al sole della vita. In realtà divinizziamo un cadavere, ed è questo il frutto forse più perverso del materialismo in arte. Per riallacciarmi al post precedente, stiamo preferendo la morte alla vita, o, se mi si concede l'espressione, l'autorità del morto a quella del guaritore.

Noto infine, a proposito di @giustino, che cercando di esprimere arte come vista nell'aspetto vitale, soprattutto vitale o vitalistico, il rischio, anche per lui, è che, mancando l'elemento pensiero creativo unitario, ci si ritrovi alla fine in mano un feticcio, cioè il semplice segno di un passaggio umano, per quanto questo segno possa essere più allegro e vivace di un barattolo o un feltro grigi di Beuys.
 
Riprendiamo (forse) l'argomento riportando un intervento di un anno fa, altrove, ovviamente. Per l'occasione lo modifico solo un poco. Esso propone un altro aspetto della faccenda che sinora qui non abbiamo molto considerato, e che potrebbe interessare anche @giustino


L'arte fa stare bene perché essa fa lavorare la parte del cervello A che compensa l'attività dell'altra parte B. Oggi si dice destro vs sinistro, ma per me non è così semplice.
E' come se la parte del cervello che viene impegnata nel campo artistico andasse a nutrire, quasi con un canale speciale, la parte puramente biologica del nostro organismo, quella più inconscia, come il battito del cuore, il pulsare del sangue, la digestione ecc. Il tutto si svolge in modo abbastanza irriflesso, traducendosi anche in sensazioni di piacere\dispiacere che sorgono sì alla coscienza, ma sulle quali ci sembra di non avere alcun potere.
Viceversa appare con le attività della mente: lì tendenzialmente siamo coscienti (oh, quanto poco ancora!), siamo noi che agiamo: però possiamo percepire che così facendo ci "consumiamo", si tratta di un'attività che sfrutta la parte biologica, catabolismo contro anabolismo. Il secondo, da dentro verso fuori, crescita, vita. Il primo da fuori verso dentro, consumo, morte.
E' una contrapposizione che appare nel senso di costrizione che i bambini provano nell'essere rigidamente tenuti stretti ai banchi di scuola, nel sacrificare la loro vitalità in funzione dell'astratto studio. Ma quest'ultimo non è affatto il male contrapposto al bene del "secondo natura", v. mito del selvaggio.
Non si dovrebbe dedurre alcunché di moralistico da queste affermazioni, ma solo prendere atto, capire.
L'uomo è in viaggio, nei secoli cambia. Qualche volta c'è chi vorrebbe rallentare tutto (tipo Congresso di Vienna), altre chi pretende di accelerare tutto (Rivoluzione russa 1917). Ecco, qui si annida il male: non nel cambiamento, ma nella volontà di modificarne i tempi.

Allora, oggi abbiamo ancora un grande bisogno di quella che per comodità chiamo ancora attività del cervello destro, allo scopo di risanare il consumo prodotto dal cervello sinistro. Però c'è chi ha decretato che tutto ciò è roba obsoleta, e, per esempio, l'arte concettuale è l'arte del nostro tempo, mentre paesaggi, figure, persino astratti vari ormai rappresentano il vecchio e il sorpassato.
Peccato che l'arte concettuale sia opera che riguarda quasi solo il cervello sinistro, privandoci dunque di un ricovero di energia del quale abbiamo ancora prepotentemente bisogno. Un'arte che "ci consuma", insomma, senza darci molto, o addirittura nulla, sul piano del vitale, del biologico, addirittura del poetico. Evidentemente qualcuno ha voluto accelerare i tempi, già enormemente velocizzatisi nel XX secolo, e questo porta a sua volta consumo di vita, morte.
Che poi si pretenda di operare con tale arte (e con altri generi, beninteso, per esempio l'optical) addirittura in favore della vita e della gggente, tramite slogan politici o facili affermazioni "ecologiste", è semplicemente una tragica contraddizione. La stessa per cui, dopo i concerti rock contro il capitalismo, il consumismo e l'America, e per l'ecologia e la fratellanza, lo sventurato prato dell'evento appare ricoperto di lattine della nota bevanda biancorossa.

Infine, credo che un ruolo speciale di tramite lo abbia la musica (quella vera, che io chiamo musica dell'io). Più che nello spazio, essa vive nel tempo. E' vicina al biologico e lo influenza, ma chiede anche allo specialista un forte investimento cerebrale. Posso assicurare che lo studio della composizione è affare assai poco "rilassante". Ma meglio non parlare di ciò che ancora non si è chiarito.
"Se no ti sa, tasi" (Wittgenstein)
nicetongue.gif

La mia opinione è che l'arte fa stare bene quando coinvolge in misura armonica tutte le componenti umane, corpo, mente, cuore.:)

Ma per fare questo tipo di arte è necessario che anche nell'autore vi sia questa armonia altrimenti la sua arte risulterà sbilanciata con predominanza della mente, arte concettuale... del corpo, arte gestuale... del cuore, arte romantica, mielosa, strappalacrime...

Vi è poi il discorso dell'energia (sottile) che ogni opera veicola e che instaura un rapporto di scambio con chi vi si avvicina.
Non ho detto la guarda perché c'è un'influenza che va oltre il guardare.;)

E come detto altre volte questo è ciò che mi interessa di più, al di là dei discorsi e penso sia il momento di introdurre questo tipo di valutazione ed allora sì che si assisterebbe a delle grandi sorprese.:jack:


E qui inserisco una frase sul "feticcio", anch'esso di un anno fa e anch'esso tratto dalla degenerata palude, argomento: Beuys come seguace di Steiner :)perfido:)

L'aspetto "feticcio" dell'arte è legato alle sue origini più antiche. Anche in Steiner abbiamo un riunirsi degli aspetti religiosi e scientifici con quelli artistici, ma attraverso una evoluzione, una metamorfosi che produca oggetti favorevoli alla vita. Il feticcio è invece un'autorità morta, anzi, l'autorità della morte stessa.

Insomma, quando diamo più peso alla firma che alla qualità del lavoro, alla storia più che all'espressione, all'idea più che al valore intrinseco, al "magico" di un qualunque feticcio (fosse pure la banale realizzazione in serigrafia di una semplice frase paradossale) piuttosto che alla forza interna e formale di un lavoro, stiamo adorando divinità morte invece che riscaldarci al sole della vita. In realtà divinizziamo un cadavere, ed è questo il frutto forse più perverso del materialismo in arte. Per riallacciarmi al post precedente, stiamo preferendo la morte alla vita, o, se mi si concede l'espressione, l'autorità del morto a quella del guaritore.

Noto infine, a proposito di @giustino, che cercando di esprimere arte come vista nell'aspetto vitale, soprattutto vitale o vitalistico, il rischio, anche per lui, è che, mancando l'elemento pensiero creativo unitario, ci si ritrovi alla fine in mano un feticcio, cioè il semplice segno di un passaggio umano, per quanto questo segno possa essere più allegro e vivace di un barattolo o un feltro grigi di Beuys.

Non capisco perché nel mio lavoro mancherebbe " l'elemento pensiero creativo unitario".:-?
Puoi spiegare meglio? Grazie
 
La mia opinione è che l'arte fa stare bene quando coinvolge in misura armonica tutte le componenti umane, corpo, mente, cuore.:)

Ma per fare questo tipo di arte è necessario che anche nell'autore vi sia questa armonia altrimenti la sua arte risulterà sbilanciata con predominanza della mente, arte concettuale... del corpo, arte gestuale... del cuore, arte romantica, mielosa, strappalacrime...

Vi è poi il discorso dell'energia (sottile) che ogni opera veicola e che instaura un rapporto di scambio con chi vi si avvicina.
Non ho detto la guarda perché c'è un'influenza che va oltre il guardare.;)
E come detto altre volte questo è ciò che mi interessa di più, al di là dei discorsi e penso sia il momento di introdurre questo tipo di valutazione ed allora sì che si assisterebbe a delle grandi sorprese.:jack:

:clap:
Con l'unica riserva è necessario che anche nell'autore vi sia, fino almeno a un certo punto, questa armonia
Non capisco perché nel mio lavoro mancherebbe " l'elemento pensiero creativo unitario".:-?
Puoi spiegare meglio? Grazie
Giustino, anche la decorazione parte da un elemento umano. Quando molti individui partecipano liberamente ad una opera creativa, il risultato può essere bellissimo, ma credo appartenga ad un ordine di giudizio diverso da quello dell'arte, non so se decorativo o altro. Pur se può esservi una indicazione da parte di un conduttore, è chiaro che se, per esempio, ognuno a casa sua colora il pezzo di filo o che altro, o anche se lo fa in ambito collettivo, non è possibile che i singoli "io" si uniscano sic et simpliciter in un progetto unitario, a meno, attenzione, 1) che questo progetto preveda ampio spazio di libertà per ciascuno, e in tal caso si va verso la decorazione (produzioni artistiche collettive sono pure esistite, ma nell'ambito dell'architettura, per esempio, oppure riunendo due o tre personalità, non di più) 2) o che il progetto sia talmente guidato da ridurre la libertà dei singoli e farne piuttosto dei collaboratori.

Però aspetto con piacere le tue controanalisi.
 
:clap:
Con l'unica riserva è necessario che anche nell'autore vi sia, fino almeno a un certo punto, questa armonia

E' chiaro che l'armonia interiore è uno stato dinamico e che va continuamente coltivato ma quando si parla di "stato di grazia" di un artista si parla proprio di un momento più o meno lungo durante il quale lui vive in una dimensione di armonia dalla quale possono scaturire opere che ne sono la testimonianza.

Giustino, anche la decorazione parte da un elemento umano. Quando molti individui partecipano liberamente ad una opera creativa, il risultato può essere bellissimo, ma credo appartenga ad un ordine di giudizio diverso da quello dell'arte, non so se decorativo o altro. Pur se può esservi una indicazione da parte di un conduttore, è chiaro che se, per esempio, ognuno a casa sua colora il pezzo di filo o che altro, o anche se lo fa in ambito collettivo, non è possibile che i singoli "io" si uniscano sic et simpliciter in un progetto unitario, a meno, attenzione, 1) che questo progetto preveda ampio spazio di libertà per ciascuno, e in tal caso si va verso la decorazione (produzioni artistiche collettive sono pure esistite, ma nell'ambito dell'architettura, per esempio, oppure riunendo due o tre personalità, non di più) 2) o che il progetto sia talmente guidato da ridurre la libertà dei singoli e farne piuttosto dei collaboratori.

Però aspetto con piacere le tue controanalisi.

Qui hai toccato proprio il cuore dell'Arte Partecipata e cioè:
1- cosa vuol dire fare Arte Partecipata?:-?
2- quale e quanto spazio "creativo" è lasciato ai partecipanti?:-?
3- l'Arte Partecipata può essere considerata arte oppure è solo qualcosa di decorativo?:-?

La mia risposta è che come per qualsiasi altro lavoro d'arte per esempio un quadro ciò dipende dal risultato in termini estetici, di significato, di linguaggio e dico io in termini di energia (sottile) che l'opera è in grado di trasmettere.:banana:

Ma c'è di più. Nel caso dell'Arte Partecipata la realizzazione è legata ad uno o più "eventi" nei quali si attivano processi di relazione :accordo: fra i partecipanti che perdurano nel tempo e quindi difficilmente quantificabili.

Parlando nel caso specifico di FiloArX che è una delle modalità che io uso da esattamente 23 anni essendo nato il 24 settembre 1993 alle ore 18 il fatto di voler coinvolgere centinaia o anche migliaia di persone nella realizzazione di un'opera di dimensioni contenute sembra non lasciare molto spazio creativo ai partecipanti ma in realtà ogni singolo filo dipinto e firmato da ognuno rappresenta un mondo a sé che tessuto insieme agli altri dà luogo ad un mondo comunitario.

Ad uno sguardo distante si percepisce l'insieme ma ad uno sguardo ravvicinato ogni singolo filo mostra la sua individualità. :)

E' arte questo? :-?
Non lo era prima del 24 settembre 1993. :no:
Dopo?:-?
Sì, soprattutto perché è stato fatto e rifatto, quindi ribadito, in centinaia di occasioni, perché ha fatto scuola, perché siccome come dici tu siamo noi a decidere cosa è arte e cosa non lo è, e poi perché è ad alta energia.:ola:

FiloArX realizzato ad Artissima 94 da 1000 persone. cm.150x150
25 - FiloArX Artissima 94- opera realizzata da 1000 persone cm. 150x150.JPG
 
... e poi c'è l'importanza dei "15 secondi di felicità" :V e non di celebrità :prr:.

Quando dopo alcuni anni di far l'educatore, iniziato nel '67, in piena crisi esistenziale, cercavo di dare un senso al mio lavoro una domanda mi si affollava nella mente:
" Cosa posso fare per un'altra persona?" :-?

E finalmente la risposta, suggeritami da qualcuno molto saggio, arrivò:
"Donagli, se puoi, 15 secondi di felicità" :)

Fu così che introdussi l'arte che già facevo in modo separato, nel mio lavoro ed il mio fare l'educatore cominciò ad assumere un significato ed un'utilità che mai e poi mai avevo intravisto prima.

Il semplice gioco del filo, FiloArX, rappresenta questo per me e per la gente che vi partecipa: la possibilità di vivere 15 secondi di felicità e l'arte per me è prima di tutto arte di vivere e questa non prescinde certo dalla felicità.:band:
 
Riprendiamo (forse) l'argomento riportando un intervento di un anno fa, altrove, ovviamente. Per l'occasione lo modifico solo un poco. Esso propone un altro aspetto della faccenda che sinora qui non abbiamo molto considerato, e che potrebbe interessare anche @giustino


L'arte fa stare bene perché essa fa lavorare la parte del cervello A che compensa l'attività dell'altra parte B. Oggi si dice destro vs sinistro, ma per me non è così semplice.
E' come se la parte del cervello che viene impegnata nel campo artistico andasse a nutrire, quasi con un canale speciale, la parte puramente biologica del nostro organismo, quella più inconscia, come il battito del cuore, il pulsare del sangue, la digestione ecc. Il tutto si svolge in modo abbastanza irriflesso, traducendosi anche in sensazioni di piacere\dispiacere che sorgono sì alla coscienza, ma sulle quali ci sembra di non avere alcun potere.
Viceversa appare con le attività della mente: lì tendenzialmente siamo coscienti (oh, quanto poco ancora!), siamo noi che agiamo: però possiamo percepire che così facendo ci "consumiamo", si tratta di un'attività che sfrutta la parte biologica, catabolismo contro anabolismo. Il secondo, da dentro verso fuori, crescita, vita. Il primo da fuori verso dentro, consumo, morte.
E' una contrapposizione che appare nel senso di costrizione che i bambini provano nell'essere rigidamente tenuti stretti ai banchi di scuola, nel sacrificare la loro vitalità in funzione dell'astratto studio. Ma quest'ultimo non è affatto il male contrapposto al bene del "secondo natura", v. mito del selvaggio.
Non si dovrebbe dedurre alcunché di moralistico da queste affermazioni, ma solo prendere atto, capire.
L'uomo è in viaggio, nei secoli cambia. Qualche volta c'è chi vorrebbe rallentare tutto (tipo Congresso di Vienna), altre chi pretende di accelerare tutto (Rivoluzione russa 1917). Ecco, qui si annida il male: non nel cambiamento, ma nella volontà di modificarne i tempi.

Allora, oggi abbiamo ancora un grande bisogno di quella che per comodità chiamo ancora attività del cervello destro, allo scopo di risanare il consumo prodotto dal cervello sinistro. Però c'è chi ha decretato che tutto ciò è roba obsoleta, e, per esempio, l'arte concettuale è l'arte del nostro tempo, mentre paesaggi, figure, persino astratti vari ormai rappresentano il vecchio e il sorpassato.
Peccato che l'arte concettuale sia opera che riguarda quasi solo il cervello sinistro, privandoci dunque di un ricovero di energia del quale abbiamo ancora prepotentemente bisogno. Un'arte che "ci consuma", insomma, senza darci molto, o addirittura nulla, sul piano del vitale, del biologico, addirittura del poetico. Evidentemente qualcuno ha voluto accelerare i tempi, già enormemente velocizzatisi nel XX secolo, e questo porta a sua volta consumo di vita, morte.
Che poi si pretenda di operare con tale arte (e con altri generi, beninteso, per esempio l'optical) addirittura in favore della vita e della gggente, tramite slogan politici o facili affermazioni "ecologiste", è semplicemente una tragica contraddizione. La stessa per cui, dopo i concerti rock contro il capitalismo, il consumismo e l'America, e per l'ecologia e la fratellanza, lo sventurato prato dell'evento appare ricoperto di lattine della nota bevanda biancorossa.

Infine, credo che un ruolo speciale di tramite lo abbia la musica (quella vera, che io chiamo musica dell'io). Più che nello spazio, essa vive nel tempo. E' vicina al biologico e lo influenza, ma chiede anche allo specialista un forte investimento cerebrale. Posso assicurare che lo studio della composizione è affare assai poco "rilassante". Ma meglio non parlare di ciò che ancora non si è chiarito.
"Se no ti sa, tasi" (Wittgenstein)
nicetongue.gif

E qui inserisco una frase sul "feticcio", anch'esso di un anno fa e anch'esso tratto dalla degenerata palude, argomento: Beuys come seguace di Steiner :)perfido:)

L'aspetto "feticcio" dell'arte è legato alle sue origini più antiche. Anche in Steiner abbiamo un riunirsi degli aspetti religiosi e scientifici con quelli artistici, ma attraverso una evoluzione, una metamorfosi che produca oggetti favorevoli alla vita. Il feticcio è invece un'autorità morta, anzi, l'autorità della morte stessa.

Insomma, quando diamo più peso alla firma che alla qualità del lavoro, alla storia più che all'espressione, all'idea più che al valore intrinseco, al "magico" di un qualunque feticcio (fosse pure la banale realizzazione in serigrafia di una semplice frase paradossale) piuttosto che alla forza interna e formale di un lavoro, stiamo adorando divinità morte invece che riscaldarci al sole della vita. In realtà divinizziamo un cadavere, ed è questo il frutto forse più perverso del materialismo in arte. Per riallacciarmi al post precedente, stiamo preferendo la morte alla vita, o, se mi si concede l'espressione, l'autorità del morto a quella del guaritore.

Noto infine, a proposito di @giustino, che cercando di esprimere arte come vista nell'aspetto vitale, soprattutto vitale o vitalistico, il rischio, anche per lui, è che, mancando l'elemento pensiero creativo unitario, ci si ritrovi alla fine in mano un feticcio, cioè il semplice segno di un passaggio umano, per quanto questo segno possa essere più allegro e vivace di un barattolo o un feltro grigi di Beuys.

A me pare troppo sofisticato il ragionamento su catabolismo vs. anabolismo. Ho l'impressione che troppe considerazioni siano basate solo su posizioni puramente ideologiche, se ne ha un senso generale di conclusioni basate sui piedi di argilla di considerazioni indimostrate e pure difficilmente dimostrabili.
Mi pare invece interessante la riflessione sul feticcio che andrebbe approfondita per capire come si possa essere arrivati ad un tempo dove una rassicurante dichiarazione "questa opera è di pinco palla" sia indispensabile rispetto al godimento dell'opera stessa e dove il guscio di una umanità (perchè tale è la firma) venga ambita più del contenuto dell'umanità (perchè tale è l'oggetto frutto dell'atto umano).
 
A me pare troppo sofisticato il ragionamento su catabolismo vs. anabolismo. Ho l'impressione che troppe considerazioni siano basate solo su posizioni puramente ideologiche, se ne ha un senso generale di conclusioni basate sui piedi di argilla di considerazioni indimostrate e pure difficilmente dimostrabili.
Mi pare invece interessante la riflessione sul feticcio che andrebbe approfondita per capire come si possa essere arrivati ad un tempo dove una rassicurante dichiarazione "questa opera è di pinco palla" sia indispensabile rispetto al godimento dell'opera stessa e dove il guscio di una umanità (perchè tale è la firma) venga ambita più del contenuto dell'umanità (perchè tale è l'oggetto frutto dell'atto umano).

Se ho ben capito il ragionamento di baleng, mi pare che sia molto vicino al mio quando dico che ci sono opere che danno energia :clapclap:ed opere che la sottraggono.:stop:

E che evidentemente opere "sbilanciate" per es. verso il concettuale tolgono energia ma lo stesso può dirsi di opere "sbilanciate" in altre direzioni.:(

Soltanto un mix armonico di corpo, mente, cuore può dar luogo ad opere ad alta energia (sottile) e questa per me è la discriminante nel giudicare un'opera.:)
 
A me pare troppo sofisticato il ragionamento su catabolismo vs. anabolismo. Ho l'impressione che troppe considerazioni siano basate solo su posizioni puramente ideologiche, se ne ha un senso generale di conclusioni basate sui piedi di argilla di considerazioni indimostrate e pure difficilmente dimostrabili.
Mi pare invece interessante la riflessione sul feticcio che andrebbe approfondita per capire come si possa essere arrivati ad un tempo dove una rassicurante dichiarazione "questa opera è di pinco palla" sia indispensabile rispetto al godimento dell'opera stessa e dove il guscio di una umanità (perchè tale è la firma) venga ambita più del contenuto dell'umanità (perchè tale è l'oggetto frutto dell'atto umano).
Riporto qui quanto scritto in altro 3d

Altro è il risultato artistico, l'oggetto, il quadro, chiamiamolo come vogliamo, e, di riflesso, il "godimento" dello spettatore.
Altro è l'operazione estetica, le teorie sul modo di guardare.
Gli adoratori della ruota di bicicletta capovolta la troveranno un prodotto artistico. Io no: vedo una proposta estetica.
Per riallacciarci a quanto scriviamo su altro 3d, il prodotto artistico attiva le varie facoltà dell'uomo mettendole in armonia (non un'armonia statica e paradisiaca, ma dinamica, in quanto legata al proprio tempo). La proposta (meglio sarebbe: proposizione) estetica si rivolge alla mente e alla coscienza, ma non alle altre parti, se non in forma temporalmente e sostanzialmente subordinata.
Si potrebbe anche dire che l'artistico muove le operazioni dello spettatore in forma costruttiva verso la vita (parlavo di anabolismo, ma qui meglio dire armonia tra anabolismo e catabolismo), mentre il teorizzare estetico muove meritevolmente la comprensione mentale delle cose, però, agendo preminentemente sul piano del pensiero, mostra un agire quasi del tutto nel catabolismo. Che non è un "male", e tuttavia non è nemmeno l'agire "artistico".
 
pensavate di esservi liberati da un pò di sana ... arte concettuale :melo:

e invece no :noo:

siccome ho ripreso con le "pulizie"
parcheggio qui questo contributo ritornando a Kosuth
(che poi alla fine si ritorna sempre da lui)

L'Arte Concettuale rifiuta la Critica e sono gli stessi artisti a farsi portavoce delle loro idee/opere.
Partiamo quindi dalle stesse parole di Kosuth nel suo scritto Art After Philosophy (1969), dove espone l'idea dell'utilizzo del "cubo"

" La nozione di "uso " è rilevante per l'arte e il suo "linguaggio ". Di recente la forma di una scatola o di cubo è stata usata in grande quantità nel contesto dell'art.
(ad esempio il suo utilizzo da parte di Judd , Morris , LeWitt , Bladen , Smith , Bell, e McCracken, tralasciando la gran quantità di scatole e cubi che è venuto dopo di loro)
La differenza tra i vari usi del "modulo scatola" o del "cubo" è direttamente connessa con le differenze nelle intenzioni degli artisti.
Particolarmente nel lavoro di Judd, l'uso della forma scatola o di un cubo, illustra molto bene l'affermazione che un oggetto è solo arte quando inserito nel contesto dell'arte
"

Una seconda spiegazione che amplia la prima,
la troviamo sempre nelle parole di Kosuth intervistato dal Massimo Donà, Arte e Accademia. Marzo 2005
Agalma | ARTICOLI

"D.Sig. Kosuth, lei è stato considerato come uno dei fondatori della cosiddetta “arte pubblica” poiché collocava già dagli anni Settanta delle frasi artistiche (o meglio delle frasi-opere) fuori dalle gallerie attraverso manifesti, inserzioni sui giornali e così via. Adesso molti artisti svolgono le loro operazioni artistiche in spazi pubblici e questo fenomeno è molto diffuso. Lei pensa che si tratti semplicemente di una moda oppure pensa che ci sia (in queste operazioni dei giovani artisti) un background teorico che è in continuità con la sua esperienza artistica?

R. Donald Judd una volta mi raccontò una storia di come lui arrivò alla forma “a scatola” come soluzione ai problemi che stava tentando di risolvere nei suoi dipinti.
Il parallelepipedo era la soluzione formale a problemi che erano basilari ed interni al suo lavoro, e invero, era parte della sua evoluzione personale come artista.
Probabilmente Judd, Robert Morris e Tony Smith erano arrivati del tutto indipendentemente a questa forma in un modo valido all’incirca nello stesso periodo.
Ma quando il curatore della mostra Strutture Primarie al Jewish Museum di New York l’invitò a partecipare, Judd fu piuttosto scioccato nell’apprendere che il curatore aveva messo insieme un’esposizione intera di dodici o quindici artisti, in cui la maggior parte di loro proponevano parallelepipedi.
Risultò che molti artisti avevano adottato la forma “a scatola” come necessario lasciapassare per partecipare all’ultima onda della nuova arte: il minimalismo.
Mi è venuta in mente questa storia quando ho letto la sua domanda..
.."

Ecco dunque che nell'opera che segue vediamo lo sviluppo dell'idea primigenia nata in Kosuth nel 1965 e poi pian piano sviluppata negli anni a seguire con i cubi:
sovrapporre un testo descrittivo al suo referente materiale, esponendo nel titolo dell'opera nient'altro che quello che lo spettatore vede e cioè quattro fogli quadrati di vetro contro un muro.

Così facendo, le quattro parole del titolo serigrafate singolarmente sui quattro quadrati di vetro trasparente allineati ad una parte
(opera originale del 1965 appunto),
hanno l'intento di indurre lo spettatore a due azioni contemporanee:
1. lettura delle parole
2. visione dei vetri
partendo dall'assunto che l'opera rappresenta solo se stessa e afferma nient'altro che se stessa,
divenendo opera d'arte in quanto funzionale, e solo a supporto, all'idea dell'artista.

Nel corso degli anni questa idea sarà da Kosuth articolata in vari modi e in tutta la sua opera.

A titolo d'esempio "Una e tre sedie" è successiva a questa e si spinge oltre introducendo la definizione del supporto (la sedia) presa da un vocabolario.

Ma è comunque interessante notare come in queste prime opere siano presenti gli influssi del minimalismo che prima citavo,
nella ricerca soprattutto di una "purezza" del supporto finalizzato solo a dare concretezza all'idea di fondo.
In sintesi il desiderio di escludere dalla sua opera qualunque proiezione di se stesso negando al contempo all'oggetto artistico qualsiasi possibilità di una funzione metaforica.


Kosuth - Clear Square Glass Leaning 1965.jpg
 

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