LIBERI, Pietro
di Alberto Crispo
LIBERI, Pietro. - Nacque a Padova il 15 apr. 1614, ma se si dà credito all'atto di morte del 18 dic. 1687, in cui il L. è "detto di anni 82 in ca.", la sua nascita andrebbe anticipata al 1605.
Lo stesso Gualdo Priorato, nella sua minuziosa - ma romanzata - biografia del L., redatta sulla base di informazioni fornite dallo stesso pittore, riferisce che nel 1628 questi si recò a Costantinopoli e in Medio Oriente, dove rimase fino al 1632, quando fu fatto schiavo presso l'isola di Metelino da due vascelli di Barberia, che lo condussero in catene a Tunisi. Dopo otto mesi di prigionia riuscì a fuggire e a raggiungere la Sicilia per passare a Napoli, Livorno e Pisa, accompagnando, tra il 1633 e il 1636, il capitano granducale A. Manfredini in alcune spedizioni navali contro i Turchi. Nel 1637 si recò a Lisbona, Madrid, Barcellona e Marsiglia, da dove si imbarcò per tornare a Livorno; l'anno successivo raggiunse Roma, dove frequentò Stefano Della Bella. Gualdo Priorato sottolinea come fin dalla prima giovinezza il L. mostrasse una particolare inclinazione per la pittura e vi si dedicasse anche durante le sue peregrinazioni, e dà particolare rilievo al soggiorno romano, durante il quale il L. "cominciò a studiare giorno e notte tre anni continui" (p. 11).
Se il L. guardò senz'altro ai grandi maestri della stagione rinascimentale - soprattutto Michelangelo - e alle sperimentazioni del più significativo esponente del barocco romano, Pietro Berrettini da Cortona, come ha sottolineato Fiocco (1929), l'amicizia con Stefano Della Bella lo introdusse, con ogni probabilità, alla committenza medicea. Giuliano de' Medici gli chiese infatti di illustrare la gloria della casata nel soffitto dell'oratorio dei Vanchetoni a Firenze, che il L. portò a termine tra il 5 sett. 1639 e il 17 marzo 1640 (Barsanti). Leopoldo de' Medici, governatore di Siena, gli commissionò nel 1641 il Ratto delle sabine, oggi presso la locale pinacoteca, che rivela chiare ascendenze reniane, tanto da far presupporre un viaggio in Emilia del Liberi. Nel 1643 si trasferì a Venezia, dove, sempre secondo Gualdo Priorato (p. 12), dipinse su vecchie tavole due Madonne a imitazione di G. Reni, acquistate come tali dal senatore V. Gussoni e dal nobile G.D. Correggio, ma non è chiaro se la notizia sia stata introdotta per sottolineare la maestria del L. o per accennare a una pratica di falsificazione, peraltro assai diffusa in ambito veneziano.
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Uno sguardo retrospettivo sulla cultura figurativa del Rinascimento veneto si coglie negli affreschi in villa Foscarini Negrelli a Stra (1652), tipicamente veronesiani nei toni chiari e nelle solenni partiture architettoniche, e nel Diogene e Alessandro di collezione privata (ante 1652), in cui prevalgono i ricordi tizianeschi. Il crescente successo della maniera del L., con la sua attenta miscela di linguaggio barocco e colte citazioni dalla tradizione veneta, persuase i Provveditori sopra il tempio votivo della Salute a commissionargli la pala con Venezia supplice e s. Antonio da Padova che intercedono presso la Trinità per la cessazione dell'assedio di Candia (1652-56), in cui il L. riprende la messa in scena monumentale e la tavolozza schiarita del Veronese (P. Caliari). Tra gli incarichi di prestigio affidatigli in quegli anni dalle principali autorità della Repubblica, che gli valsero la nomina a cavaliere, vanno segnalati l'affresco, perduto, nella loggetta del campanile di S. Marco, con Il doge F. Molin, Venezia, la Gloria, la Carità e la Prudenza (De Kunert, p. 557), l'Allegoria del podestà Alvise Foscarini nella rotonda di Rovigo (1656) e soprattutto la Battaglia dei Dardanelli in Palazzo ducale, la cui esecuzione fu affidata al L. il 10 dic. 1658. Dopo aver firmato, nello stesso anno, il Serpente di bronzo per S. Pietro di Castello, nel luglio l'artista presenziò alla solenne entrata in Vienna dell'imperatore Leopoldo I, che lo nominò conte palatino. Durante la permanenza nella capitale asburgica, interrotta da viaggi in Ungheria e Boemia, il pittore ritrasse l'imperatore e gli consegnò il dipinto allegorico in suo onore, conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. Nel settembre del 1659 il L. era di nuovo a Venezia, come provato da documenti relativi alla Battaglia dei Dardanelli (Bratti); l'anno successivo, oltre a eseguire affreschi e dipinti per l'ospedale dei Mendicanti (Aikema - Meijers), stipulava un accordo con i deputati della Misericordia Maggiore di Bergamo per la fornitura di sedici dipinti destinati alla basilica di S. Maria Maggiore (Pinetti, pp. 121-123). Il 25 maggio 1661 gli stessi deputati si dichiaravano insoddisfatti del Diluvio universale consegnato dal L. e ne chiedevano il parziale rifacimento, respingendo, il 5 agosto dell'anno seguente, anche il bozzetto del Giudizio universale (ibid., pp. 123-125).
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Fin dal 1660 Boschini (1660, pp. 532 s.) aveva parlato di due diverse maniere dell'artista: "Se in publico lu fa qualche operona, / El zioga col penel de la distanza: / Se el forma quadri de goder in stanza, / Per finitezza el merita corona"; mentre più tardi Zanetti (pp. 379-381) sosteneva che "Tre maniere si trovano nelle opere di questo Pittore. La prima è grandiosa e nobile; e con questa poche cose ei dipinse. La seconda e la terza tutte in un tempo ei trattò; tenendo, com'ei soleva dire, due sorte di pennelli nella stanza sua; l'una per gl'intelligenti, e l'altra per l'ignoranti. Per i primi ei voleva dipingere con ispeditezza e maestria; e perciò non eran sempre quelle pitture molto finite. Per i secondi all'incontro usava d'un estrema attenzione e diligenza, cosicché si possono numerare i capelli nelle teste". In taluni dipinti, quali l'Assunzione della Vergine nel duomo di Chioggia (1682: Tiozzo, p. 34), si riscontra effettivamente una stesura più libera; mentre in altri, come la Mansuetudine (1681), in collezione privata, le superfici sono più analiticamente descritte, il che conferma, considerando l'esecuzione ravvicinata dei due dipinti, come le due prassi non corrispondano a differenti fasi stilistiche, ma coesistano, e siano dunque spiegabili con le diverse committenze.
L'attività del L. proseguì con grande intensità fino alla morte, come testimoniano le due sale decorate nel castello del Buonconsiglio a Trento (1686-87), in cui il pittore palesa, soprattutto nell'Allegoria della Fama e della Giustizia, notevoli affinità con l'opera di Sebastiano Mazzoni.
Il L. morì a Venezia il 18 dic. 1687.