Iorio: «Baciate, impossibile non vedere Con i crediti causarono il crac Bpvi»
L’ex manager testimonia per sei ore. Duello con la difesa di Zonin sulle responsabilità del cda
- Corriere di Verona
- 24 May 2019
- © RIPRODUZIONE RISERVATA Federico Nicoletti
Racconto fiume L’ex manager Francesco Iorio ieri con i giudici e il pm Luigi Salvadori
Il miliardo di euro di «baciate» in Popolare di Vicenza? «Erano talmente pervasive, che fatico a pensare non ci fosse una percezione complessiva del fenomeno». Dura quasi sei ore la deposizione di Francesco Iorio, ex amministratore delegato di Bpvi per un anno e mezzo, al processo per il crac Bpvi, ieri, in aula bunker a Mestre. Il manager giunto da Ubi ricostruisce, numeri alla mano, il periodo in via Battaglione Framarin, passato a cercare di far pulizia e salvare la banca, piegata dalle «baciate», dalle perdite sui crediti e dalla fuga dei depositi tra settembre, con le perquisizioni in avvio inchiesta, e dicembre 2015, con l’arrivo del bail-in e la risoluzione di Etruria e delle altre quattro banche: «In tutto - ricorda Iorio - uscirono 7-8 miliardi di euro». Sette ore d’interrogatorio, sotto gli occhi dell’ex presidente Gianni Zonin e dell’ex consigliere Giuseppe Zigliotto, con al centro l’indagine interna dell’estate 2015, tradotta negli esposti alla procura a Vicenza, tra agosto e settembre, che avviano l’inchiesta sul crac.Il racconto parte a inizio maggio 2015, subito dopo la cacciata di Sorato. «Mi contattò il consigliere Matteo Marzotto, che era stato cliente del gruppo Ubi, per chiedermi se ero interessato a Bpvi». Il passaggio a Vicenza è rapido: «Una settimana dopo ero a pranzo con Marzotto, Zonin e i consiglieri Angius, Domenichelli e Breganze. Mi parlarono di fondi lussemburghesi e capitale finanziato, su cui mi dissero che i rilievi ispettivi non erano preoccupanti».Il 22 maggio, già in uscita da Ubi, Iorio è con Zonin a Francoforte in Bce, di fronte al direttore generale della direzione vigilanza, Ramon Quintana: «Mi chiese se ero cosciente delle difficoltà della banca. It’s a huge task, mi disse, è un incarico enorme». Iorio inizia a capire quanto dal capo degli ispettori Bce, Emanuele Gatti: «Ci presi un caffè a Milano prima di andare a Francoforte. Parlammo di capitale finanziato e fondi lussemburghesi, rappresentò i problemi in prospettiva delle lettere di riacquisto azioni».Iorio entra in banca il 1. giugno. Racconta delle ruvide trattative con i fondi lussemburghesi Optimum e Athena, indirizzati anche loro ad acquistare azioni Bpvi, con perdite per 100 milioni. E dice delle «baciate». Si parte dai 505 milioni scoperti da Bce in ispezione. Ma l’analisi del gruppo di lavoro messo su da Iorio passa al setaccio tutto il patrimonio. A fine agosto se ne aggiungono altri 430, a fine anno sono 1,1 miliardi.«Com’era diffuso il fenomeno?», chiede il pm Luigi Salvadori. Iorio snocciola i dati: 298 milioni a Vicenza città, 60 a Castelfranco, 51 a Padova; 93 a Roma. E poi i casi più eclatanti finiti nel mirino dell’audit, la vigilanza interna, a valle del dirigente Costante Turco: il portafoglio del gestore private Roberto Rizzi, che solo a Vicenza Contrà Porti ne fa per 350 milioni, e l’area territoriale Veneto occidentale, che fa capo a Claudio Giacon: arriva a 490. «Per il 50% i prestiti erano deliberati dal cda - dice Iorio -. E per l’80-90% posizioni senza capacità di rimborso». E il miliardo di euro di crediti finiti in azioni si porta dietro 3,5 miliardi di prestiti totali, con pesanti ripercussioni sulle perdite. L’altra causa del crac dice Iorio è proprio la qualità del credito: «La banca aveva rettifiche di valore molto inferiori al sistema. E 2,5 miliardi di crediti in bonis finirono ad incaglio. Pesando sul margine d’interesse».«Parlò con Zonin e Zigliotto? delle baciate?», torna a chiedere il pm su Rizzi e Giacon. «Zonin fu molto preoccupato delle ripercussioni commerciali: Rizzi gestiva grandi clienti - è la replica -. Ma le evidenze erano tali che ritenni di non poter non licenziarlo per giusta causa. A me quello che colpì molto era la dimensione quantitativa».Ben presto si arriva al centro dell’interrogatorio, nel duello con la difesa di Zonin. Enrico Ambrosetti cita il testo della relazione con cui il cda replica a gennaio 2016 alla relazione ispettiva Bce, firmata da Iorio, che cita le relazioni dell’audit e dice che «cda e collegio sindacale erano stati tenuti all’oscuro» da Sorato, Giustini e Marin e che «i flussi informativi risultavano scarsi e ingannevoli». «Corretto. Non c’erano flussi strutturati sul capitale finanziato», replica Iorio. Che aggiunge: «Certo tabelline non ce n’erano. Ma c’era l’importante profondità temporale, dal 2009 al 2014, la rilevanza degli importi, dei personaggi coinvolti e la pervasività nella rete». Come si poteva non vedere, è il senso. Ma un riferimento esplicito al cda non arriva. Nemmeno di fronte alla raffica di domande delle parti civili.Al contrario, sono chiare le conferme che Iorio dà ai difensori di Zonin: che non si oppose ed anzi spinse per gli esposti, che non fece «baciate» e non ebbe finanziamenti particolari per l’azienda. E che non c’erano veri campanelli d’allarme per i consiglieri. Come mette a segno un punto pesante la difesa di Massimiliano Pellegrini, Vittorio Manes, che fa rimbalzare su Iorio le dichiarazioni che il dirigente del bilancio non poteva costruire dati più veritieri.Iorio invece ribatte al tentativo della difesa di Zonin di dimostrare che la situazione, al momento del suo ingresso era gestibile. Quasi a ribaltare su di lui la responsabilità sul crac: «Gestibile? No, con una banca che in sei mesi fa emergere capitale finanziato per 1,1 miliardi, rettifiche sui crediti per il 30%, vede esplodere rischi legali e reclami e fuggire per il bailin la raccolta, riducendo impieghi e ricavi. Fu un’escalation non gestibile».