Il giudice Carreri a sorpresa al palasport «Vi chiedo scusa a nome dello Stato»
- Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
- 12 Jan 2020
- Milvana Citter Federico Nicola
TREVISO Una sola ipotesi accusatoria: aver venduto a ignari clienti azioni dal valore gonfiato. E un unico reato: truffa aggravata, declinato però in modi diversi dalle quattro procure che indagano su Veneto Banca, Banca Popolare di Vicenza e Banca Apulia. Perché se a Vicenza i magistrati hanno ritenuto la truffa assorbita nel reato di aggiotaggio, a Treviso la procura ha invece deciso di contestarla all’ex Ad Vicenzo Consoli e a 5 dirigenti, ipotizzando anche l’associazione a delinquere. Ma ci sono poi i casi di Potenza (inchiesta ora approdata a Treviso per competenza territoriale) e di Verbania. Dove l’accusa è truffa aggravata ma la rosa degli indagati cambia. Se a Potenza, infatti, i magistrati ritengono dei 39 indagati debbano far parte i vertici della banca ma anche il consiglio d’amministrazione e il collegio sindacale, oltre a dirigenti e funzionari, a Verbania il Cda è escluso dai 41 imputati per i quali è stato chiesto il giudizio.
Strategie accusatorie diverse contro le quali tuona l’avvocato Ermenegildo Costabile, legale di Consoli: «Cosa deve pensare il cittadino di fronte a una giustizia così? Che hanno truffato? Ma chi e quanti? Non si capisce perché solo Treviso contesti l’associazione a delinquere e non lo facciano anche Potenza e Verbania. Senza contare le archiviazioni di analoghe inchieste a San Remo, Imperia e Torino. È una barzelletta giudiziaria, costruita su un reato che non esiste. Perché se esistesse, Consoli, con tutta la sua famiglia, sarebbe il primo truffato da se stesso». Sul punto l’avvocato Costabile è ferreo, soprattutto dopo le dichiarazioni del pm trevigiano Massimo De Bortoli, secondo il quale «i Consoli le azioni di Veneto Banca non le hanno acquistate dopo il 2012 e l’aumento di capitale». Affermazione smentita dal legale dell’ex Ad: «Sono molto sorpreso. Come riconosce il pm, l’argomento è decisivo per provare le accuse. E infatti proprio in virtù del suo cospicuo pacchetto di titoli, la posizione dell’ex presidente Flavio Trinca è stata archiviata. Per questo non riesco a comprendere come De Bortoli possa affermare questo. Dimenticando che, dalla documentazione agli atti, risulta che Consoli e la moglie hanno acquistato anche nel 2014, nel 2015 e addirittura nel 2016». A comprare fu non solo l’ex amministratore delegato (1000 azioni Veneto Banca, 500 delle quali con l’aumento di capitale sociale nel 2014), ma anche i figli Fabrizio e Sara, la moglie Maria Rita Savastano e persino la suocera Francesca Lo Schiavo. «Il pacchetto complessivo valeva circa 7 milioni di euro – conclude Costabile -, completamente azzerati a seguito del default. Alla luce di questo dato, incomprensibilmente sfuggito agli inquirenti, mi aspetto coerenza e, quindi, un’immediata richiesta di archiviazione».
BASSANO Ex popolari, dopo la svolta in Veneto Banca i comitati presentano una denuncia per mettere in moto l’inchiesta di associazione a delinquere per truffa anche in Popolare di Vicenza. Il passaggio era ovvio, dopo la decisione con cui la procura di Treviso ha chiuso le indagini sul secondo filone d’inchiesta. Mettendo l’ex ad, Vincenzo Consoli, e altri cinque dirigenti al centro di una rete che, secondo l’accusa, era finalizzata a piazzare in maniera truffaldina (la procura parla di almeno duemila casi per 107 milioni di euro) le azioni dell’ex popolare a prezzi gonfiati. Il passo è stato ufficializzato, ieri, al palasport di Bassano, davanti a oltre tremila persone, nell’assemblea dell’associazione «Noi che credevamo nella Bpvi», capitanata da Luigi Ugone, affiancato dal Coordinamento Don Torta di Andrea Arman. Assemblea che «sdogana», dopo mesi di dura opposizione, la presentazione delle richieste di rimborso al Fondo indennizzo azioni, scongelando le prime 1.500 domande già pronte.
Ma il prologo della giornata va alle questioni giudiziarie, in scia a Treviso. Su cui nei prossimi giorni l’avvocato Francesco Ternullo, uno dei legali a cui è collegata l’associazione, tornerà alla carica su Bpvi, presentando un esposto-denuncia in procura a Vicenza che chiede un’indagine-fotocopia a quella giunta al termine a Treviso su Veneto Banca. «I fatti sono gli stessi - dice senza tanti termini Ternullo -. Non c’è motivo perché le cose non vadano trattate allo stesso modo». Spiegazione puntuale di quanto viene annunciato dal parquet del palasport: «Treviso ha ravvisato una truffa generalizzata, cosa che avrebbe dovuto fare anche Vicenza», dice Arman, annunciando la
BASSANO ( f.n.) «Vi chiedo scusa a nome dello Stato italiano». È il colpo di teatro finale, all’assemblea al palasport di Bassano. Succede quando Luigi Ugone, il leader di «Noi che credevamo nella Bpvi» chiama sul parquet il magistrato Cecilia Carreri. Il giudice per le indagini preliminari che nel 2002 si oppose all’archiviazione della prima inchiesta su Popolare di Vicenza, nata dai documenti dell’ispezione di Bankitalia del 2001. Scelta che apre ad un lungo calvario professionale, fino alle dimissioni. E alla richiesta, senza esito, di rientrare. Salvo che nel frattempo Bpvi è finita in liquidazione. denuncia in arrivo.
In un palasport ancora pieno, segno che la questione delle azioni azzerate e dei rimborsi è tutt’altro che archiviata. Così come non mancano i politici in prima fila, specie leghisti. Perché tremila persone sono tante, soprattutto se in primavera si vota alle regionali. Ugone salva il governatore Luca Zaia: «In tanti dicono che non ha fatto niente. Ma ha messo a disposizione i soldi per costituirsi parte civile. Ditemi chi altro l’ha fatto». Certo, il clima è tutto diverso dall’assemblea dello scorso anno a Vicenza, il 9 febbraio, con i due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Ugone fa capire che il filo rosso con i due è stato decisivo: «Hanno messo il loro peso politico per smussare gli angoli nella trattativa».
E racconta l’aneddoto della telefonata con Salvini e Di Maio che bloccò il testo del decreto E il caso Carreri solleva la domanda di cosa sarebbe potuto succedere, se si fosse indagato per tempo.
«Me la ricordo bene, quell’indagine - dice ora la Carreri, parlando, emozionata, a braccio -. La banca era del signor Zonin: faceva operazioni per sé e i suoi amici. Era già un sistema strutturato. Fa impressione esser qui oggi e spero capiate il travaglio di un magistrato che si trova a distanza di tanti anni ancora a discutere di una cosa che già allora era così. Di una banca che agiva già in maniera illegale».
Poi un accenno alla sua vicenda personale: «Quando legge con l’ultima versione corretta del Fondo, lo scorso aprile, dopo la trattativa con l’Europa. Il 5 aprile il premier, Giuseppe Conte, convoca le associazioni con il ministro del Tesoro, Tria, sul nuovo decreto. Ma Ugone e Arman si mettono di traverso sui tetti di reddito e patrimonio. Conte tira dritto e porta il testo in consiglio dei ministri il giorno dopo. «Ricevo una telefonata da Salvini e Di Maio - racconta Ugone -. Erano in consiglio dei ministri dove avevano bloccato il provvedimento e mi passano Conte. ‘Lei si rende conto che lessi le carte, mi chiusi in casa tre giorni. Avevo paura, perché avevo intravisto cosa poteva uscire, con il procuratore (Antonio Fojadelli, ndr) che voleva archiviare tutto e poi finito a lavorare per Zonin. Ho avuto tutto un sistema contro di
● Ha tenuto banco anche nell’assemblea di Bassano la vicenda dell’inchiesta di Treviso dove i sostituti procuratori Massimo De Bortoli e Gabriella Cama hanno chiuso il secondo troncone d’indagine su Veneto Banca, contestando l’associazione a delinquere per truffa a sei dirigenti. Con l’ex ad Vincenzo Consoli sono accusati l’ex condirettore Mosé Fagiani e gli ex dirigenti Renato Merlo, Stefano Bertolo, Massimo Lembo, e Cataldo Piccarreta
Il giudice Cecilia Carreri al termine del suo intervento in assemblea sta bloccando un consiglio dei ministri?’, mi dice. ‘E lei si rende conto che sta facendo un danno alla mia gente?’, gli replico.‘Ma sentite come mi sta rispondendo?’ dice lui agli altri due. ‘Se non ascoltiamo chi riempie le piazze e i palasport abbiamo sbagliato tutto’, gli rispondono. Poco dopo mi manda un sms un giornalista sotto Palazzo Chigi: è successo qualcosa, Tria se n’è andato inc...».
Certo, lo schema finale del rimborso del 30% con tetto a centomila euro è una mezza delusione. Ugone non lo nasconde ma rivendica comunque l’esito: «Siamo arrivati dove dicevano non saremmo mai giunti. Il rimborso c’è, tanto o poco che sia. E quei soldi sono nostri, perché lo Stato ha cancellato il diritto di far causa con il decreto di liquidazione». Così, dopo il braccio di ferro con Consap sui malfunzionamenti della piattaforma per presentare le domande, anche dalle associazioni più dure arriva il via libera a presentare le richieste. Nonostante non tutto sia risolto: «Intesa è in ritardo di 90 giorni oltre i 30 concessi per rendere disponibili i documenti», dice l’avvocato Andrea Filippin. «La Consap sta lavorando male. Ma questo non ci può fermare dal far le domande. Quel miliardo e mezzo deve tornare nelle tasche di chi si era fidato delle banche - aggiunge Ugone -. Le domande vanno presentate entro il 18 aprile. Anche senza documenti. Chiediamo i soldi».
Le associazioni puntano soprattutto sulla delibera che individua le tipizzazioni, i casi tipici di violazione massiva degli obblighi di diligenza delle banche, che permettono ora di presentare le domande anche per chi supera i tetti di reddito, 35 mila euro, di e patrimonio, centomila. «Noi che credevamo» annuncia che metterà sul proprio sito documenti-tipo, come il comunicato di Banca d’Italia del 27 ottobre 2015, che chiariva quanto fatto su Bpvi, utile per rientrare nella tipizzazione sui prezzi delle azioni. Oltre a un team di esperti a prezzi «politici». La partita rimborsi entra nella fase finale me». Scatta l’applauso che fa venir giù il palasport.
Carreri riprende: «Vi chiedo scusa, perché da servitore dello Stato in questi ultimi anni non ho potuto far nulla per voi. Ma mi hanno disarmato. Ed è terribile per un magistrato sentirsi disarmato, capire le cose e non poter intervenire. Per chi si sente un magistrato fino in fondo è un’esperienza angosciante».
E chiude sullo stesso timbro: «Vi chiedo scusa, perché lo Stato non mi ha consentito di darvi quel che meritavate. Lo ripeto sempre: il risarcimento lo dovevate avere da una sentenza di un tribunale e non da questi fondi di ristoro. Parlo da magistrato e sono indignata: i soldi li dovevate avere dai responsabili. Con una sentenza in nome del popolo italiano che fotografasse la realtà e contestasse i veri reati di questa vicenda. Questo dovevano avere le trecentomila vittime del crac dele banche venete. E questo per me, da magistrato, è motivo d’indignazione».