Azione legale titoli Popolare di Vicenza e Veneto Banca

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Proposto emendamento al "Milleproroghe"
Il Sole 24 ore
Il Sole 24 Ore spiega oggi che gli azionisti e gli obbligazionisti danneggiati dalla liquidazione coatta delle banche poste in liquidazione prima del 2018, potranno chiedere un anticipo dell’indennizzo nel limite massimo del 40 per cento; non a tutti, però: la possibilità è concessa a coloro che hanno completato la pratica di accesso al Fondo indennizzo risparmiatori (Fir). È quanto prevede un emendamento al Milleproroghe che i relatori, Vittoria Baldino (M5s) e Fabio Melilli (Pd), sono pronti a depositare oggi nelle commissioni Bilancio e Affari costituzionali della Camera.
L’emendamento sul Fir, fortemente voluto dal sottosegretario all’Economia Alessio Villarosa, oltre a prevedere l’anticipo del ristoro spettante del 40% per i risparmiatori in difficoltà senza dover attendere per il rimborso completo l’esame di tutte le istruttorie delle domande ammesse, prevede che sul patrimonio immobiliare dei risparmiatori la Commissione tecnica potrà utilizzare i dati autocertificati dal cliente della banca, sollevando quest’ultima da ogni responsabilità e accorciando di fatto i tempi nella messa a punto delle informazioni che la Commissione tecnica è chiamata ad esaminare.
 
ROMA (MF-DJ)--"Siamo pronti a garantire l'anticipo fino al 40% dell'indennizzo Fir ai risparmiatori ed a tal fine è pronto l'intervento al decreto proroga termini con un emendamento. La norma consentirà alla Commissione tecnica un esame semplificato delle istanze di indennizzo ed in particolar modo si limiterà a prendere in considerazione i requisiti di patrimonio e reddito già dichiarati dal risparmiatore in sede di presentazione dell'istanza evitando ogni ulteriore verifica dell'Agenzia delle Entrate, procedura, quest'ultima, che avrebbe allungato ulteriormente i tempi di conferimento sia dell'anticipo che dell'indennizzo integrale e per la quale sarebbe stato necessario anche un intervento del Garante della privacy".
Lo annuncia in una nota il sottosegretario al Ministero dell'Economia Alessio Villarosa, aggiungendo che sono state "accolte quindi le richieste dei risparmiatori e delle associazioni volte ad ottenere l'anticipo fino al 40%o subito dopo la chiusura dell'istruttoria invece di attendere l'esame di tutte le domande. Gli eccellenti risultati raggiunti a tutela dei risparmiatori sono stati conseguiti grazie alla determinazione del M5S al governo ed al prezioso ed indispensabile supporto del ministro Luigi Di Maio in sede di Consiglio dei ministri".
 
MILANO - Le modifiche al decreto Milleproroghe tornano ad agitare la maggioranza di governo. Alle commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera è la volta del vaglio di ammissibilità degli emendamenti e dal documento redatto dai presidenti è emerso come inammissibile il testo proposto dai relatori al decreto Milleproroghe che prevedeva di aumentare l'anticipo fino al 40% dell'indennizzo ai risparmiatori (azionisti e obbligazionisti) delle banche poste in liquidazione coatta.
La Repubblica
 
ROMA (MF-DJ)--"La proposta di emendamento sul Fir del M5S e' stata
dichiarata inammissibile al milleproroghe. I rigidi criteri fissati dalla
Commissione Bilancio ed Affari costituzionali non hanno concesso la
discussione della soluzione normativa che ho fatto predisporre. Il M5S non
arretra e reputo opportuno un intervento normativo dedicato ed immediato.
Bisogna concedere subito l'anticipo del 40% ed evitare il complesso
accertamento dell'Agenzia delle Entrate per la verifica del reddito e del
patrimonio
che allungherebbe eccessivamente i tempi". Lo annuncia in una
nota il Sottosegretario al Ministero dell'Economia, Alessio Villarosa.
 
Ex popolari, il giudice: il divieto di far causa contrario alle norme Ue
Sentenza a Verona sconfessa la legge di liquidazione. Ma la causa va a Intesa
Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)21 Feb 2020Federico Nicoletti

Ex popolari, una sentenza fa saltare il divieto alle cause posto dal decreto di liquidazione. Il caso riguarda un correntista di Popolare di Vicenza, su una causa iniziata dopo la liquidazione del 2017. Su una vicenda d’investimento che non riguarda le azioni delle banca e in cui al cliente, alla fine, il giudice dà anche torto. Ma il principio affermato nell’ordinanza è generale e ha potenzialmente effetti rilevanti, se seguito da altri giudici, rispetto al divieto di a rivolgere le cause a Intesa posto dal decreto di liquidazione. Con effetti possibili sui contenziosi sia di prima che dopo la liquidazione, che abbiano al centro una responsabilità contrattuale per fatti precedenti alla liquidazione, e quindi sia le azioni delle due banche che altri contenziosi. Questo nel caso di clienti di Bpvi e Veneto Banca transitati ad Intesa.
L’ordinanza, la 3359/2019, è stata firmata l’11 febbraio dal giudice del tribunale civile di Verona Massimo Vaccari, che già si era occupato delle banche venete, firmando la prima sentenza sulle azioni ancor prima della liquidazione. E che ora emette la prima sentenza su un contenzioso Bpvi che vede in causa anche Intesa.
La vicenda riguarda un cliente veronese di Bpvi, con un conto corrente e un deposito titoli, trasferito a Intesa dopo la liquidazione, che ha chiamato in giudizio l’anno scorso la banca, chiedendo quasi 140 mila euro di risarcimento. L’accusa era che dal 2014 un funzionario Bpvi avesse acquistato per lui azioni Mps per 92 mila euro, senza averlo informato prima delle caratteristiche dell’investimento e falsificando il questionario Mifid nel 2015, per continuare fino al 2016.
Intesa aveva invocato l’articolo 3 della legge di liquidazione delle venete, che la esclude dalle controversie, extra-azioni Bpvi e Veneto Banca, avvenute prima della liquidazione e promosse con cause successive. Ma il giudice fa saltare il difetto di legittimazione passiva di Intesa. Disapplicando l’articolo 3 della legge di liquidazione, «stante il contrasto - scrive il giudice - con il diritto Ue e in particolare col principio di tuflitto tela giurisdizionale effettiva dell’articolo 47del Trattato Ue».
Il giudice rileva come la norma nel contratto di liquidazione «sia per buona parte in concon l’articolo 2558 del codice civile sulla cessione dei contratti nella cessione di azienda». In particolare che i debiti ceduti ad Intesa, contestati dopo la cessione, restano in carico alle banche risolte, «a prescindere dalla sorte del contratto regolante il rapporto (nel caso è pacificamente succeduta Intesa)».
L’effetto è una «inedita scissione tra situazioni debitorie e creditorie, pregiudizievole per i contraenti ceduti». «Per effetto di tale regime - continua il giudice - il titolare di un rapporto ceduto a Intesa dovrebbe adempiere agli obblighi, mentre dovrebbe far valere i propri crediti, per atti o fatti anteriori alla cessione, nell’ambito della procedura concorsuale»; cioè nella liquidazione, che ha già detto che non potrà soddisfare i creditori non privilegiati; e senza nemmeno poter recedere. «Tale quadro obbliga il contraente ceduto a continuare il rapporto con Intesa - è la conclusione - senza poter far valere nei suoi confronti i diritti da esso derivanti».
Per il giudice si realizza «una evidente compromissione del diritto di difesa»; e l’articolo 3 del decreto di liquidazione non risulta conforme al principio di tutela giurisdizionale effettiva sancito dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dal 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea.
La causa va avanti. Il giudice dà torto al correntista, perché non ha dimostrato che gli acquisti erano realizzati sul suo conto corrente on line da un funzionario della banca, con il token da lui consegnato per evitare di pagare le commissioni. Oltretutto di fronte a questionari Mifid precedenti non misconosciuti, coincidenti con quello contestato.
 
Tempo fa, avevo svolto un'indagine per sapere chi fosse interessato ad esaminare la possibilità di avviare un'azione legale nei confronti di Intesa. Quella iniziativa si era poi fermata, in attesa di capire quali sviluppi sarebbero venuti dagli indennizzi statali.
Ora che quel fronte si è delineato, ripropongo lo stesso quesito ricordando che dovrebbero essere interessati gli investitori:

1)qualificati o professionali, esclusi dai provvedimenti del Governo;
2)che puntano a recuperare il valore nominale o comunque hanno investito più di 100.000 euro;
3)che rientrano nel cosiddetto 2° binario, quello con minori possibilità di essere soddisfatti dai fondi stanziati.

Ripeto: non sto chiedendo di aderire ad un'iniziativa già avviata, ma solo di verificare l'interesse a portare avanti un'azione legale. Prego costoro di contattarmi privatamente.

Preciso che in gioco non ci sarebbero i valori di acquisto, ma quelli nominali delle obbligazioni.
 
Tempo fa, avevo svolto un'indagine per sapere chi fosse interessato ad esaminare la possibilità di avviare un'azione legale nei confronti di Intesa. Quella iniziativa si era poi fermata, in attesa di capire quali sviluppi sarebbero venuti dagli indennizzi statali.
Ora che quel fronte si è delineato, ripropongo lo stesso quesito ricordando che dovrebbero essere interessati gli investitori:

1)qualificati o professionali, esclusi dai provvedimenti del Governo;
2)che puntano a recuperare il valore nominale o comunque hanno investito più di 100.000 euro;
3)che rientrano nel cosiddetto 2° binario, quello con minori possibilità di essere soddisfatti dai fondi stanziati.

Ripeto: non sto chiedendo di aderire ad un'iniziativa già avviata, ma solo di verificare l'interesse a portare avanti un'azione legale. Prego costoro di contattarmi privatamente.

Preciso che in gioco non ci sarebbero i valori di acquisto, ma quelli nominali delle obbligazioni.
sul secondo binario occorre attendere.
 
Le regole riviste in Finanziaria toccano il tetto dei 35 mila euro: «Stop alle domande»
  • Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
  • 1 Mar 2020
  • Milvana Citter
Ex popolari, sui rimborsi del Fondo indennizzo risparmiatori scatta ora la nuova trappola dei redditi dichiarati. Sembra uno di quegli incubi ricorrenti, in cui il traguardo che si avvicina non viene mai raggiunto, la vicenda dei ristori del 30%, con un tetto di centomila euro, ai soci delle banche liquidate. Così, a quaranta giorni dalla scadenza del termine ultimo di presentazione delle domande al Fir, il 18 aprile, mentre le richieste giunte a Consap sono salite a 70 mila, a sentire Patrizio Miatello di Ezzelino, «40 mila quelle già processate e 30 mila ancora da passare al vaglio», dopo il flop dell’emendamento al decreto Milleproroghe per anticipare i rimborsi, dato per approvato dal governo e clamorosamente naufragato, tra le pieghe della legge finanziaria 2020 spunta un’altra mina nascosta sul percorso dei rimborsi. La questione è stata al centro di una riunione ieri mattina a Padova di associazioni e comitati tra Ezzelino, Adusbef, Federcontribuenti e Movimento risparmiatori traditi, per stabilire le contromosse.
Ad accorgersi della trappola il tributarista Loris Mazzon. In sostanza la legge di bilancio 2020 ha riscritto il comma dell’equivalente legge del 2014, che fissa il reddito da dichiarare per le richiesta di deduzioni e detrazioni, ma anche di «benefici di qualsiasi titolo, anche di natura non tributaria». La norma prevede ora che «quando le vigenti disposizioni fanno riferimento al possesso di requisiti reddituali, si tiene comunque conto del reddito assoggettato al regime forfetario».
In sostanza, per chiunque avanzi dal 1. gennaio richieste di deduzioni e detrazioni, deve far rientrare nel reddito dichiarato anche quanto guadagnato con il regime fiscale forfettario fino a 65 mila euro (cedolare secca compresa). E la questione tocca anche i rimborsi del Fir.
 

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