BUND A 98 .... DOMANI (7 lettori)

f4f

翠鸟科
olà Fleu
ho sentito Gastro
ed ho passato la domenica in compagnia dei cuginetti:

Ciube il magnifico
Filippo il timido
Tamerlano il prudente
GengisKhan il pauroso
Attila il cauto :p :p :p :p


( te lo dovevo, Ciubaster.... :rolleyes: )


su Gastro .... well, à la procaine fois ..... :lol: :lol:
 

Fleursdumal

फूल की बुराई
*DJ US Chi Purch Mgmt May Employment Index 54.7 Vs Apr 62.3

splendido dato che qualcuno sapeva in anticipo visto che c'è stato un minispike alle 15:57 :rolleyes:

cè che pessima compagnia :eek: :smokin: :p
 

Fleursdumal

फूल की बुराई
Ortodossi e postmoderni

Si riaccende la disputa tra ortodossi e postmoderni sul destino dei tassi, del dollaro e del ciclo economico.
di A. Fugnoli (Abaxbank)



Da Il Rosso e Il nero, settimanale di strategia di Abaxbank
di giovedì 26 maggio 2005

Con il T-Bond al 4.02 e il Bund al 3.29 si riaccende la disputa tra ortodossi e postmoderni sul destino dei tassi, del dollaro e del ciclo economico. Per gli ortodossi il quadro attuale è insostenibile e il dollaro è a rischio di rottura. Quando il dollaro inizierà a scendere in caduta libera, i tassi saliranno (questa volta anche quelli a lungo) e l’economia globale andrà incontro a una nuova fase di glaciazione.

L’Ocse, citata in questi giorni per la sua severità nei confronti dell’Italia, è ancora più severa con gli Stati Uniti. Nelle sue stime pubblicate ieri vede crescere il disavanzo delle partite correnti americane dal 5.7 del 2005 al 6.4 del 2006. Da qui la possibilità di una svalutazione improvvisa del dollaro del 30 per cento e la stima di tassi a lungo al 4.5 quest’anno e al 5.3 nel 2006. Al partito degli ortodossi sono iscritti d’ufficio
quasi tutti gli economisti americani di area democratica, ma non solo. Finora hanno sbagliato praticamente tutto.

I postmoderni (li chiamiamo così perché dicono che questa volta è tutto diverso) hanno invece guadagnato su tutta la linea. Hanno goduto di tutti i carry trade in circolazione. Si sono finanziati in yen e sono stati in dollari, investiti a loro volta in obbligazioni a lungo e per di più di bassa qualità. Hanno avuto più fiducia nell’espansione e sono quindi stati più pesati sull’azionario. I postmoderni sono una coalizione piuttosto eterogenea. I primi, ancora nel 2003, sono stati i teorici della Bretton Woods 2. Cina e Stati Uniti, hanno sostenuto, sono perfettamente complementari. Da soli hanno ogni genere di problema, ma considerati insieme sono in completo equilibrio e costituiscono un motore potente per una crescita globale non inflazionistica e assolutamente non dannosa per i bond. Con il passare del tempo questa posizione, inizialmente isolata, ha conquistato consensi nel mercato. L’ultimo convertito è Bill Gross di Pimco, che l’anno scorso parlava di inflazione e di crollo dei bond e ora dice che abbiamo davanti qualche anno con il decennale tra il 3 e il 4.5 per cento. Ai postmoderni sono federati molti economisti di area repubblicana, primo fra tutti il Bernanke che teorizza che nel mondo c’è sovrabbondanza di risparmio e che gli Stati Uniti, assorbendo il risparmio altrui, non sono cicale da condannare ma benefattori da ringraziare.

Il paradosso è che questa contesa tra ortodossi e postmoderni è in buona parte una guerra civile tra keynesiani di formazione e keynesiani di fatto. Sono keynesiani di formazione gli Stiglitz, i Krugman e tutti gli economisti di area democratica che si rifanno politicamente a Rubin. Essendo all’opposizione devono parlare male di Bush (che è keynesiano di fatto) e devono dire quindi che il mondo va male oggi e andrà ancora peggio domani. Sono invece keynesiani di fatto i postmoderni accademici e i repubblicani che li affiancano (che essendo al governo devono dire che tutto va bene oggi e andrà ancora meglio domani).

Chi sta sui mercati deve farsi legare all’albero della nave, come Ulisse, prima di ascoltare le sirene catastrofiste ortodosse da una parte e le sirene rassicuranti dall’altra. Il fatto che i postmoderni abbiano avuto ragione fino a questo momento non significa che tutto andrà bene per sempre. Il fatto che gli ortodossi abbiano avuto torto non esclude che il loro momento si stia avvicinando, Arrivati al 4 per cento sui bond non c’è del resto bisogno di adottare un paradigma ultraforte e dire che andremo al 3 per cento. Per la forza recente dei bond ci sono molte spiegazioni tecniche più che sufficienti. Si può dire ad esempio che i riscatti (effettivi o temuti) su molti fondi obbligazionari ad alto rendimento sono stati parcheggiati in titoli governativi. Oppure si può avanzare l’ipotesi che la Fed, in un momento delicato per alcuni fondi hedge, abbia scelto di tacere completamente sull’enigma dei tassi bassi (anche se sono oggi di 15 punti base più bassi di quando Greenspan ha parlato di conundrum) e incoraggiato il rally. Con i governativi forti, infatti, i credit spread tendono gradualmente a ridursi e la stabilità ritorna anche sui corporate bond. Altre volte, in questi tre anni, abbiamo visto i tassi avvicinarsi al 4 per cento (che una volta è stato anche bucato fino al 3.37). Tutte le volte si è poi tornati indietro. La nostra scommessa è che anche questa volta vedremo il 4.30 prima del 3.70.

Con il ciclo espansivo che ha probabilmente percorso i due terzi della sua strada bisogna essere particolarmente flessibili e pragmatici. Bisogna navigare a vista, perché non sapremo fino alla fine se “questa volta è diverso”, come dicono i postmoderni, oppure se finirà con i tassi in rialzo accelerato (come ha detto di recente Kenneth Rogoff di Harvard) e il dollaro in caduta libera.A favore dei postmoderni c’è il contesto strutturale deflazionistico, che permette ai policymaker di premere senza pudore l’acceleratore fiscale e monetario come non si faceva dagli anni Trenta. A favore degli ortodossi c’è il fatto che la curva di Phillips negli ultimi anni è più piatta di un tempo ma non è certo piatta del tutto. La Fed dice che il mercato del lavoro ha ancora un certo spazio (Bernanke l’ha confermato oggi), ma fra un anno, massimo 18 mesi saremo in piena occupazione. A quel punto o inizierà un ciclo di inflazione salariale, oppure la crescita dovrà essere frenata con le buone o con le cattive. Per gli asset finanziari, quindi, vale ancora la pena schierarsi con gli eterodossi per tutto quest’anno (lunghi di equity e non corti di bond) ma dall’inizio del 2006 sarà bene tenere costantemente d’occhio l’uscita. A fine ciclo tutto si complica e i nodi vengono al pettine anche nel più morbido degli atterraggi.

Venendo a questioni di breve termine, il petrolio in fase di stabilizzazione appare la migliore garanzia per un proseguimento dell’espansione globale senza troppe scosse. I sauditi hanno mille motivi per rifornire adeguatamente il mercato. Da una parte è loro interesse troncare sul nascere il risveglio di attenzione per i fossili alternativi, per il carbone, per il gas liquido e per il nucleare. Dall’altra, a casa loro, la crescita costante dell’opposizione radicale alla famiglia regnante li induce a riavvicinarsi agli Stati Uniti.

Quanto ai timori di rallentamento cinese, avanzati di recente da Stephen Roach, non c’è al momento nessuna evidenza. Il governo intende certamente riorientare la crescita, limitando la bolla immobiliare e razionalizzando l’uso delle materie prime, ma l’obiettivo del 9 per cento (l’Ocse ha alzato la sua stima al 9.5) è intatto.
I dati macro americani, dal canto loro, dopo un aprile forte indicano un maggio appena più incerto. Le imprese hanno ridotto le scorte e continuano a investire con una certa prudenza. Che questo avvenga in una fase già avanzata del ciclo è degno di nota. Di solito, infatti, dopo tre anni di ripresa le imprese si rilassano e iniziano a spendere con meno freni. Meglio così, comunque. Il ciclo potrà durare più a lungo e l’erosione dei margini sarà più lenta.

I referendum europei, infine. Il fatto che si sappia perfettamente come andrà dovrebbe togliere volatilità ai mercati. Anche un esito ancora più negativo del previsto, in ogni caso, avrà l’effetto di rallentare l’integrazione europea, non di arrestarla né tanto meno di invertirne la tendenza. Il fatto che l’est europeo mostri negli ultimi tempi meno voglia di adottare l’euro non c’entra con la crisi d’immagine dell’eurocrazia ma con la riluttanza a legarsi a un cambio fisso troppo presto e troppo in alto, vista anche l’esperienza dell’Italia. Ad ogni modo, prima di esagerare con l’europessimismo, si consideri che i referendum sono in parte bilanciati da quanto sta avvenendo in Germania. Chiunque vinca il 18 settembre, il processo di riforme accelererà. La Germania, del resto, già oggi va meglio, congiunturalmente e soprattutto strutturalmente, di quanto non sia percepito dai mercati.

Operativamente, sui cambi è bene considerare per quest’anno una no fly zone l’area tra 1.20 e 1.30 tra euro e dollaro. E’ più facile farsi male che fare soldi. Sui bond, come abbiamo detto, ci sembra terminato il flight to quality. Anche sull’azionario è finito il recupero da ricoperture e da qui in avanti si dovrà avanzare più lentamente, seguendo il ritmo dei fondamentali.



(27 maggio 2005) la lettera finanziaria
 

Fleursdumal

फूल की बुराई
L'apparente enigma dei tassi Usa

Gli ultimi dati consuntivi sono risultati migliori del previsto per l'economia Usa, eppure i tassi continuano a restare su livelli contenuti. Un ruolo potrebbero averlo gli hedge fund e le due scuole di pensiero della Fed.
di Antonio Cesarano (economista MPS Finance)



Da Affari & Finanza, La Repubblica,
di lunedì 30 maggio 2005

MILANO - I mesi passano e non si arresta il trend calante dei tassi. Nell’area Euro le ragioni legate alla debolezza dell’economia aiutano a comprendere il livello storicamente molto contenuto dei tassi di mercato, tanto più che non manca chi (Ocse, Fmi, alcune case d’investimento) arriva ad ipotizzare un taglio dei tassi da parte della Bce nei prossimi mesi per stimolare l’economia. Risulta però più arduo comprendere, almeno da un’analisi sommaria, le ragioni del posizionamento dei tassi Usa su livelli anch’essi molto contenuti. Gli ultimi dati consuntivi sono risultati spesso migliori delle attese.

E’ pur vero che gli indicatori anticipatori segnalano da diversi mesi la possibilità di un ridimensionamento della crescita. Ma è possibile spiegare il trend calante dei tassi Usa basandosi sull’assunzione che gli operatori stiano rivolgendo unicamente l’attenzione
sugli indicatori anticipatori confidando nel fatto che a breve si assisterà ad un analogo trend anche per i dati consuntivi?

Verosimilmente vi sono anche altre ragioni alla base di tale apparente “enigma”. Osservando il posizionamento degli operatori speculativi sul tratto a lungo termine della curva dei tassi, si rileva come nel mese di marzo erano state incrementate fortemente (fino a raggiungere i livelli massimi storici) le posizioni che avrebbero dovuto beneficiare di un trend rialzista dei tassi di mercato. Ed in effetti il rialzo vi era stato nel mese di marzo. Successivamente però si è avuta una brusca inversione e di conseguenza gli stessi operatori prima citati hanno dovuto altrettanto bruscamente invertire le proprie posizioni.

La conseguenza è stata piuttosto forte: anche in corrispondenza di dati macro migliori delle attese, i ritracciamenti dei bond sono stati sempre sfruttati come occasioni di acquisto finendo pertanto per generare la ripresa vigorosa della fase calante dei tassi. D’altra parte le stesse minute della Fed hanno evidenziato l’esistenza di due opposte fazioni: una preoccupata degli effetti sulla crescita del rialzo dei tassi e l’altra maggiormente attenta alla dinamica dei prezzi. Di conseguenza, il quadro macro è divenuto più chiaro (almeno in chiave storica) mentre invece la dinamica dei tassi meno certa rendendo meno sicure le posizioni che puntavano ad un rialzo dei tassi. A ciò si aggiunga poi l’effetto positivo sui bond del negativo andamento del mercato corporate dopo il caso Ford e Gm.

A questo punto la parola però passa alla macroeconomia: se avranno la meglio le indicazioni degli indicatori anticipatori, allora anche l’attuale livello dei tassi Usa risulterà maggiormente in equilibrio, anche perché nel frattempo le aspettative d’inflazione si sono nettamente ridimensionate.



(30 maggio 2005)
 

Fleursdumal

फूल की बुराई
Bonjour a tout les bondaroles

ma beneee , siamo sulla resistenza principe del T-Bond :zona 117,75-875
superata quella son caxxi

11176244131087305826actual_big.jpg
 

Fleursdumal

फूल की बुराई
Ten-yr US T-Note yield at 7-month low as euro falls

LONDON, June 1 (Reuters) - Ten-year U.S. Treasury yields
edged down to a 7-month low on Wednesday in Europe as investors
bought dollar-denominated debt and sold euro zone debt after the
euro's decline against the U.S. currency <EUR=>.
Market concerns about the prospect for rising U.S. interest
rates were put on the back-burner as problems in the euro zone
following France's rejection of the European Union constitution
in a weekend referendum sent the euro lower.
"The 10-year notes have fallen to 3.98 percent in Europe and
it is clear that the euro's suffering has triggered some selling
of euro zone paper and buying of Treasuries. We also expect more
support for Treasuries from mortgage banks in the U.S.," said a
trader in Madrid.
"The 10-year U.S.-Germany spread has also narrowed today and
that is because people are buying into U.S. bonds," he added.
At 1035 GMT, the 10-year Treasury yield <US10YT=RR> was up
3/32 since the New York close on Tuesday and yielding 3.977
percent, its lowest since Oct. 25, 2004.
The two-year T-Note yield <US2YT=RR> was up 1/32 and
yielding 3.574 percent.
The euro was last seen at $1.2231, a 7-1/2-month against the
dollar.
The market was also braced for the national factory survey
from the Institute for Supply Management at 1400 GMT. A Reuters
poll forecast the ISM's manufacturing sector Purchasing
Management Index (PMI) at 52.1 in May, down from 53.3 in April.
A figure above 50.0 denotes economic expansion.
"A figure below 50.0, if we get it, would help Treasuries to
rally. Otherwise they won't move far," the trader said.
The Chicago region's PMI, released on Tuesday and seen as a
pointer to the national ISM data, showed a surprise fall to 54.1
in May from 65.6 in April and was well below forecast.
U.S. Treasuries outperformed Bunds, with the 10-year yield
spread narrowing by four basis points so that T-Notes yielded 75
basis points more than German debt.
"It is possible we will see the 10-year spread narrow to 60
basis points in the coming days as a result of the EU crisis. It
is a departure from the view only a week ago that the spread
might widen to nearer 100 basis points," the Madrid trader said.
The dollar swap spread was steady at 41.75 basis points.
--------------MARKET SNAPSHOT AT 1049 GMT ------------------

Futures continuous contract basis
30-year T-Bond 117-26/32 (+11/32)
10-year T-Note 113-05/32 (+10/32)

Change vs Current
Nyk yield
Three-month bills 2.92 (+0.04) 2.983
Six-month bills 3.07 (+0.04) 3.156
Two-year notes 99-28/32 (+01/32) 3.565
Five-year notes 100-23/32 (+03/32) 3.716
10-year notes 101-07/32 (+03/32) 3.977
30-year bonds 116-10/32 (+03/32) 4.318
 

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