Bund, T-Bond, 10yT-Note : Gotterdammerung (v.m.18&bigott (2 lettori)

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Petrolio : ancora 0,8$ di sofferenza e siamo al target dei 60$ sul contratto agosto 2005 ....

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...

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facendo i conti della serva :

tasso naturale 2,6%
inflazione 2,5%
premio a rischio 0,2%

totale = 2,6 + 2,5 + 0,2 = 5,3% ... questo dovrebbe essere il rendimento del t-bond ... il madedetto invece attualmente rende appena il 4,36% ... diriei che non ci siamo proprio ... :rolleyes: :rolleyes: :rolleyes:

Come sono variale le curve dei rendimenti ...
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... ed ora siamo quà ...
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curva quasi piatta, il giappone a dispetto ha invece aumentato i rendimenti.
 

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BOND: INVERSIONE
DI TENDENZA
O CORREZIONE?


di *Michele Pezzinga

Bastano un paio di sedute pesanti sull'obbligazionario per riaprire il solito dibattito tra gli addetti ai lavori. I pessimisti gia' vedono segnali di inversione biblici. Ma la realta' e' ben diversa.

17 Giugno 2005 16:19 MILANO

*Michele Pezzinga e' lo strategist di CentroSim. I suoi commenti non implicano responsabilita' alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita' di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.


(WSI) - Bastano un paio di sedute pesanti sull'obbligazionario per riaprire il solito dibattito tra gli addetti ai lavori: siamo davvero giunti all'epocale inversione di tendenza dei bond markets o si tratta della solita, periodica correzione, che non modifica comunque un trend di fondo ancora orientato verso la discesa dei rendimenti?



Da una parte abbiamo i pessimisti (in questo caso da anni ormai non siamo tra loro) che, dopo il naufragio delle loro attese già lo scorso febbraio, tornano alla carica, convinti che la FED andrà ancora avanti ad alzare i tassi e che l'economia USA riaccelererà dopo la pausa primaverile; dall'altra i loro avversari, fiduciosi in un'imminente conclusione della stretta monetaria americana e in ulteriore rallentamento congiunturale, che le elevate quotazioni del greggio e la temuta frenata cinese dovrebbero rendere più concreto nella seconda metà dell'anno.

Pur collocandoci in questo secondo campo, una correzione ci sembrava, almeno in questa fase, comunque opportuna: lo strappo al rialzo, che una decina di giorni fa aveva fatto finire il rendimento dei decennali addirittura sotto quota 3,90% negli USA e al 3,13% nell'area euro, si era anche accompagnato alla brusca chiusura di uno scoperto record per oltre 200 mila contratti sui futures del T-bond a 10 anni, erano anzi emerse significative posizioni lunghe e alcuni strategist, ribassisti della prima ora, avevano improvvisamente cambiato opinione sui trend del mercato.

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Insomma, tutti segnali di un clima troppo euforico che solitamente (ricordate anche l'unanime consenso di inizio anno sull'attesa debolezza del dollaro?) conduce ad eccessi presto da scontare. Basta solo qualche elemento di disappunto, in questo caso la Fed che ha smentito di essere pronta a fermarsi sui tassi e l'economia USA che ha continuato a fornire buoni segnali di tenuta. Non ultimo l'euro, che è affondato sul no dei referendum, mettendo in discussione la stabilità dell'area.

Tutti elementi a nostro avviso interlocutori, ma che i pessimisti hanno letto come segnali di inversione biblici. Cercare una legittimazione del ribasso negli ultimi dati macro è un po' forzato: ad essere sinceri, in questi giorni chiunque potrebbero trovarvi conferma alle proprie ragioni. In ogni caso, davvero l'inflazione sta risalendo come temuto? Al contrario, appare in frenata, da noi come oltreoceano, sui dati "core" e su quelli complessivi.

Nell'area UE-12, i prezzi al consumo armonizzati di maggio sono saliti di uno 0,2%, pari ad un +1,9% annuo e a un +1,6% annuo ex alimentari ed energia; negli USA i prezzi alla produzione di maggio sono scesi dello 0,6%, e saliti di uno 0,1% soltanto nel caso di quelli "core", mentre più a valle del ciclo produttivo i prezzi al consumo sono scesi dello 0,1% e saliti di un altro modesto 0,1% escludendo alimentari ed energia, con un incremento su base annua così sceso al 2,2%.

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Solo il petrolio e alcuni metalli non ferrosi (primo fra tutti il rame), di nuovo ai massimi di periodo, sembrano andare in controtendenza, mentre dal costo dei noli marittimi, ai rottami ferrosi o all'acciao, tutto sembra riflettere un auspicato rallentamento della domanda asiatica che lascia ben sperare anche per l'inflazione dei mesi a venire (il greggio poi sembra ormai avere più un impatto "recessivo" che non "inflazionistico").

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E' allora l'attività economica che sta ripartendo bruscamente? Non è certo questo il caso in Europa, dove si salva solo una provvidenziale ripresa dell'export favorita anche dal cambio più debole. Di ciò non sembra comunque capace di avvantaggiarsi una realtà come l'Italia, che sta perdendo quote di mercato a danno anche degli altri partner continentali.

L'area asiatica vede un Giappone in confortante ripresa, ma anche il rischio di una più concreta frenata cinese, pilotata dalle Autorità di Governo: un'ipotesi che potrebbe avere conseguenze molto serie sull'intera economia globale, e non solo sui partner commerciali più vicini.

Una qualche riaccelerazione sembra registrarsi invece negli USA, anche se finora i segnali non sono stati incontrovertibili: al netto recupero dell'indice di attività manifatturiera nello Stato di New York con l'Empire State Index (da -11,1 a +11,6 la sua lettura, con zero lo spartiacque tra crescita e contrazione dell'attività), ieri sera si è contrapposta la caduta dell'indice della Fed di Philadelphia, a sorpresa scivolato a quota -2,2 da una lettura a quota 7,3 in maggio, smentendo i pronostici che puntavano su un suo ulteriore miglioramento.

La produzione industriale è invece apparsa più forte del previsto, con un +0,4% in maggio (e +0,6% nel comparto manifatturiero) cui si è aggiunto un maggior grado di utilizzo degli impianti (79,4%, dal 79,1% di aprile), ma i ritmi di crescita complessivi non appaiono comunque travolgenti (+2.7% su base annua e +3,4% nel comparto manifatturiero); i dubbi sulla sostenibilità della crescita industriale nella seconda metà dell'anno a nostro avviso rimangono.

Quanto al mercato del lavoro, nelle ultime quattro settimane le richieste di sussidio sono tornate ad oscillare attorno alle 330-335mila unità, un livello che non lascia intravedere una crescita del PIL superiore al 3% nel trimestre in via di conclusione.

Il punto chiave rimane sempre lo stimolo che giunge dal mercato immobiliare e il rischio di un suo surriscaldamento: Greenspan lo minimizza, ma la manovra monetaria sembra finalizzata proprio a prevenire questa potenziale bolla cercando al tempo stesso di non penalizzare troppo la crescita dei consumi delle famiglie, che proprio nel boom della casa ha trovato alimento.

La nostra impressione rimane pertanto che le curve rimarranno ancora poco inclinate, poichè tanto più la FED continuerà ad alzare i tassi, tanto più i mercati sconteranno un rallentamento futuro di attività: il solo dubbio per noi è dove avverrà l'incontro tra i Fed funds e il rendimento dei decennali, che tenderà a fine manovra a convergere sui primi, se in un intorno del 3,75, del 4 o del 4,25%. L'area 4% ci sembra quella più ragionevole. La debolezza dell'euro è invece l'imprevista novità che potrebbe complicare lo scenario, frenando gli afflussi verso i bond continentali. Le vendite di Bund degli ultimi giorni sembrerebbero innescate, a parte i soliti fondi hedge in presunta difficoltà, anche da investitori asiatici intenzionati a liquidare le posizioni nell'area alla luce della percezione di un maggior rischio cambio.

Qui il problema è soprattutto politico, legato al futuro dell'Unione Europea, che ieri persino il vicepresidente della BCE, Papademos, ha voluto velatamente mettere in forse, evidenziando una crescente divergenza di competitività tra alcuni dei suoi Paesi membri (i riferimenti all'Italia erano espliciti), che sembra avere effetti persistenti e cumulativi.

Gli attesi aumenti di produttività e flessibilità di mercato che l'euro avrebbe dovuto stimolare non si sono affatto verificati, e anzi prevale da parte di alcuni dei maggiori Paesi membri la volontà di differire le attese riforme strutturali, da cui la perdurante sottoperformance dell'area nei confronti del resto delle economie industrializzate.

Critiche pesanti, capaci di incidere sulle prospettive del cambio; il dollaro non sembra infatti in grado di brillare di luce propria, visto che il problema del disavanzo esterno non sembra destinato a risolversi, men che meno ora che il cambio si è rafforzato e l'auspicata svalutazione cinese sembra essere stata accantonata.

Gli ultimi dati sugli afflussi di capitale USA mostrano di nuovo un pericoloso rallentamento, 47,4 mld di dollari soltanto in aprile dopo i 40,6 mld di marzo, quando però nei due mesi il deficit commerciale era ammontato a 57 e 53,5 mld di dollari. L'ipotesi di una debolezza strutturale del dollaro rimane a nostro avviso confermata, ma nel breve i dubbi "politici" sull'euro hanno avuto la meglio e potrebbero ancora differire i tempi del necessario aggiustamento della valuta USA.

In definitiva, non intravediamo alcuna svolta su economie e obbligazionario; tantomeno quindi, per venire alle Borse, sui comparti difensivi, le cui potenzialità dovrebbero riemergere con la maggior percezione di una crescita globale più stentata. Da inizio 2005 le utitilies si sono mosse bene a Wall Street (+8,5%, miglior comparto dopo l'energia) e sulle Piazze Europee (+10% circa l'indice Stoxx di settore), mentre hanno stentato da noi, forse a causa di una precedente outperformance e dell'incombente collocamento di Enel.

Tra i difensivi continuiamo a non includere le nostre telecomunicazioni, che riteniamo ancora soggette a significativi rischi "tecnologici" e di assetto di mercato (maggior concorrenza) ed in ogni caso poco appetibili, in termini di valutazioni, rispetto alle altre realtà continentali. In questi casi, un rendimento del 4-5% non è a nostro avviso sufficiente per ritenersi tutelato da simili rischi.

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A.Fugnoli (Abaxbank): il Rosso e il Nero - “Mare Serenitatis”

di Alessandro Fugnoli , 17.06.2005 15:27



Nei corsi per maghi e per strategist si insegna che non bisogna mai, assolutamente mai, prevedere una fase tranquilla. Si può dire che una cosa salirà (o scenderà) e si ha il 50 per cento di probabilità di avere ragione. A dire che non succederà nulla si ha invece, praticamente, la certezza di sbagliare. Qualcosa succede sempre.

Hegel vede Napoleone a cavallo sotto casa sua, si emoziona e ritiene di avere colto lo Spirito Assoluto, il completamento della storia umana. L’hegeliano Fukuyama fa lo stesso errore dopo la caduta del Muro di Berlino e scrive un libro sulla fine della storia, dicendo che da lì in avanti non succederà più niente. Sono errori celebri. Mario do Nascimento non li avrebbe mai commessi.

Niente previsioni di stabilità, quindi. Semplicemente, invece, la constatazione che il momento attuale è più tranquillo di quanto non appaia e che i mercati lo riflettono in modo equilibrato. Veniamo da due fasi di turbolenza. La prima, la crisi di qualche hedge fund in aprile, appare oggi una minuscola e ridicola increspatura, ingigantita a dismisura da mercati stressati, nevrotici e troppo a leva. Le crisi sistemiche, come quella sfiorata nel 1998, sono cose serie, tempeste perfette che combinano movimenti di zolle tettoniche nella struttura dell’economia mondiale (come fu allora il passaggio dalla disinflazione alla deflazione), ondate di default e posizioni a leva immense.

A posteriori, il perfetto assorbimento della crisi di aprile mostra semmai che il sistema è solido e che le banche centrali sanno maneggiare perfettamente problemi di queste dimensioni. La seconda area di turbolenza da cui stiamo uscendo è quella dell’implosione dell’Europa dopo i referendum. Sia chiaro, il problema dell’Europa è strutturale, resterà tra noi molto a lungo e riguarda niente di meno che la perdita di slancio quasi completa di molte delle sue idee guida.

Dal punto di vista macro e di mercato, tuttavia, la crisi regala all’Europa un euro a 1.20, al di là di ogni sogno, quando ancora pochi mesi fa si temeva l’1.40 o addirittura la caduta libera del dollaro. La crisi regala anche un accordo insperato sul tessile con la Cina e di questi tempi tutto è prezioso. Ci sono schiarite anche dagli Stati Uniti. I deficit gemelli si stabilizzano (quello delle partite correnti) o addirittura continuano a ridursi (quello di bilancio). In Asia la Cina continua a crescere e a migliorare la qualità della sua crescita. Il Giappone continua a sorprendere in positivo e considera quasi a portata di mano la fine della deflazione. La crescita globale rispetta la tabella di marcia negli Stati Uniti e in Asia.

Quanto all’Europa, quello che aveva perso in competitività da 1.20 a 1.36 lo riguadagnerà ora che siamo tornati al punto di partenza.
Altro importante elemento positivo, le materie prime sono toniche. Per quelle che hanno smesso di salire si tratta di un sano aumento dell’offerta più che di un meno sano calo della domanda. Il petrolio è particolarmente vivace, ma senza la virulenza manifestata durante lo strappo di marzo. Il greggio forte, ricordiamo, è nelle circostanze attuali più un segno di salute che di malattia. Le valutazioni dei mercati rispecchiano questa realtà senza particolari distorsioni.

Del cambio tra euro e dollaro abbiamo detto. Qualcuno, anche autorevole, parla oggi di 1.15 come prossimo obiettivo. Può darsi, ma non è detto che ce ne sia bisogno. Rimarremmo piuttosto fedeli al range raccomandato dal Fondo Monetario, ovvero 1.20-1.30. E’ chiaro che abbiamo davanti qualche mese più vicino a 1.20 che a 1.30. Verso la fine dell’anno, tuttavia, dovremmo vedere segni di riaccelerazione in Europa. D’altra parte, in America, alcuni fattori che hanno mostrato segnali incoraggianti potrebbero smettere di farlo. Il miglioramento dei conti pubblici beneficia di particolari circostanze cicliche che verranno meno. Il disavanzo della partite correnti, dal canto suo, ben difficilmente continuerà a migliorare con il dollaro in recupero e l’America che continua a crescere più dell’Europa.

I bond si stanno riportando su livelli più ragionevoli dopo essersi cullati nell’ipotesi di decennali americani avviati veso il 3 per cento. C’è in realtà da tre anni un solido baricentro intorno a 4.25 che resiste a tutte le teorie di ribassi (o rialzi) spettacolari dei tassi. Del 3 per cento forse parleremo magari fra due anni, in caso di rallentamento marcato o recessione, ma al momento, con un’economia americana forte e la piena occupazione che si avvicina (e il dollaro che si rafforza) sembra davvero fuori luogo. Le borse si mostrano in equilibrio dopo la scivolata legata ai fondi hedge e l’andata e ritorno tra 1210 e 1135.

Al momento i pro e i contro si equivalgono.

Da una parte la crescita di ricavi e utili. Dall’altra un sentiment un po’ troppo rialzista, un petrolio troppo in salute e il dollaro più forte. Poichè siamo dentro un ciclo economico ancora forte e vitale (e con valutazioni di borsa ragionevolissime) un lento rialzo dei corsi è la linea di minore resistenza. Sulla luna il Mare Serenitatis confina da una parte con il Mare Imbrium (mar delle pioggie) e dall’altra con il Lacus Somnium (lago dei sogni). Nomi appropriati per questa fase di mercato, relativamente serena ma sempre pronta a scivolare negli eccessi di complacency (come è stato per i bond nei giorni scorsi) e destinata comunque, inevitabilmente, a finire in pioggia nel 2006 o 2007.
 

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Il caso del giorno: Petrolio “in fiamme” al Nymex

di FtaOnline , 16.06.2005 13:23

Nuova fiammata del prezzo del petrolio ieri, causata dalla diminuzione (superiore alle stime degli analisti) delle scorte settimanali di greggio americane. Le riserve sono infatti scese di 1.8 milioni di barili, un dato che ha fatto aumentare decisamente la pressione in acquisto, con il prezzo del future sul crude salito al Nymex vicino a quota 57 dollari/barile, ad un passo dai 58.30 circa toccati ad inizio aprile. Nel finale c'è stata una correzione, stimolata dall'incremento di 2.5 milioni di barili dei distillati. In ogni caso l'avvicinarsi dell'inizio dell'estate non sta contribuendo a calmierare il mercato dei prodotti energetici. Pochi effetti sembrano avere anche le iniziative dell'OPEC: l'organizzazione che riunisce i principali paesi produttori di petrolio aveva infatti deciso un incremento da 500mila barili giornalieri della quota complessiva di produzione, portandola a 28 milioni di barili. In realtà è stata una semplice presa d'atto di un eccesso produttivo già presente sul mercato. Più significativo l'accordo secondo il quale a fine luglio/inizio agosto potrebbe essere deciso un reale incremento della produzione, nel caso in cui le quotazioni del petrolio aumentassero ulteriormente. Gli effetti sulle borse del rally visto nel pomeriggio sono stati particolarmente pesanti. Gli investitori temono che il permanere del prezzo del greggio su questi livelli (peggio ancora se aumentasse) possa indurre le banche centrali (Federal Reserve in testa) ad aumentare i tassi d'interesse, nella convinzione che l'inflazione prima o poi subisca un'accelerazione.
Uno scenario di questo genere indurrebbe gli istituzionali ad alleggerire le posizioni sull'azionario, dato che le manovre restrittive di politica monetaria inducono l'economia ad un rallentamento (con conseguente riduzione delle prospettive di profitto delle imprese), ed a spostarsi su investimenti obbligazionari a breve termine o a tasso variabile, o addirittura sulla liquidità (per beneficiare dell'incremento dei rendimenti). La questione petrolio-inflazione ed il conseguente comportamento di Alan Greenspan rappresentano quindi il grande dilemma per le borse. E' indubbio che osservando il grafico del future sul crude il barometro pende decisamente verso il brutto, specie se i prezzi dovessero abbattere anche le resistenze di area 58/60 dollari. D'altro canto è ormai circa un anno che il greggio staziona sopra i 40 senza che sui prezzi al consumo si siano evidenziate particolari tensioni. Forse l'incremento di efficienza e produttività che ha caratterizzato lo sviluppo economico dalla metà degli anni '90 permette ora di "digerire" costi energetici finora ritenuti insostenibili? e se fosse così, fino a che livelli potrebbe salire il barile di petrolio prima di rendere critica la situazione? Conoscere la risposta a queste domande equivarrebbe ad essere in grado di azzeccare l'asset allocation globale per i prossimi anni, ma probabilmente nessuno al mondo è in grado di farlo.
 

Fleursdumal

फूल की बुराई
Bonjour a tout les bondaroles

Bella ricerca ditruzzo :)

Lato COT bad news : sul T-Bond come pensavo solo chiusure long e i funds rimangono ben piazzati con la loro net long position , la discesa è stata guidata dal 10y t-note dove in effetti i funds invece si son girati e ora son lievemente net short : chi guida?

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Fleursdumal

फूल की बुराई
Nel corso degli ultimi 15 giorni sono stato a dieta; quanto ho perso? 15 giorni.

La coscienza e' la voce interiore che ci avverte che qualcuno potrebbe vederci.

Ci sono tre cose che una donna e' capace di fare con niente: un cappello, un'insalata e una scenata.

Fai attenzione quando leggi libri di medicina. Potresti morire per un errore di stampa.

La buona educazione consiste nel nascondere quanto bene pensiamo di noi stessi e quanto male degli altri.
 

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