CHI NON COMPRENDE IL TUO SILENZIO PROBABILMENTE NON CAPIRA' NEMMENO LE TUE PAROLE

Verità e giustizia: è sempre giovane il sole della resistenza


Tachipirina e vigile attesa:

per il Tar del Lazio, è stato folle impedire ai medici di curare i pazienti.

Due anni dopo, gli inservienti del grande potere oscuro insistono:

ai loro tirapiedi dei media fanno tuttora contare i contagi e possibilmente i ricoveri,
senza mai ricordare che i protocolli per le efficacissime cure domiciliari non sono ancora stati varati.


Se Conte poteva accampare qualche attenuante,
raccontando la storiella della catastrofe inaspettata
(e certo amplificata in ogni modo, anche dalla richiesta di evitare le autopsie),

per Draghi non esistono alibi possibili.


Alcuni legali, spiega Andrea Colombini, stanno predisponendo le denunce: concorso in strage colposa.


Questo è il punto davvero dirimente, oggi oscurato dalla barzelletta dei non-vaccini (che non immunizzano nessuno).

Non-vaccini che, per essere imposti, avevano bisogno esattamente di quello: di tanta inutile Tachipirina, di tanta pericolosa attesa.

Lo hanno fatto, lo hanno rifatto, e continuano tuttora a farlo.

Tanto, la colpa – per i telegiornali, per i ministri – è dei cosiddetti No-Vax, i renitenti al Super Green Pass.


A proposito:
secondo Confesercenti, nella sola Torino,
la demolizione controllata dell’ economia italiana (disposta dai signori che manovrano il governo Draghi)
costa qualcosa come un milione e mezzo di euro al giorno.

Ed il bello deve ancora arrivare, con l’ultima stretta in scadenza.

Quanti sono, i cittadini muniti di terza dose?

Non più del 35%, secondo lo stesso Colombini (una delle voci della resistenza civile).


Per Michele Giovagnoli, altro esponente dell’Italia libera, sono 6,7 milioni le persone finora sottrattesi all’inoculo.

Vanno sommate a chi ha subito la prima e la seconda dose, ma ora esitano di fronte alla terza:
ed infatti disertano bar e ristoranti (e domani, anche i negozi).


Non sono tutti cretini: le ascoltano, le parole pronunciate a Milano dal grande Luc Montagnier.


Giovagnoli, che predica incessantemente la nonviolenza,
paventa comunque il rischio di disordini entro febbraio.

Spiega:

la menzogna governativa è ormai talmente scoperta, e talmente persecutoria,
da non poter produrre altro che rabbia e disperazione.

Persino in un paese come il nostro, sempre riluttante di fronte alla possibilità di vere rivolte.


Ben diverso, dice Michele, il caso della Francia: la sua rivoluzione cambiò il mondo.

L’Italia sembra più immatura, più adolescente, anche se ha prodotto l’Impero Romano e quello vaticano,
il Rinascimento, il fascismo e tante altre cose.

Non è un caso – insiste Giovagnoli – che oggi il male infierisca sui due paesi europei
storicamente dotati di maggior potenziale creativo, proprio mentre la Gran Bretagna festeggia la ritrovata libertà
(zero restrizioni, nessuna emergenza sanitaria) e la stessa Spagna annunci di voler chiedere all’Ue di declassare il Covid,
nella variante Omicron, al rango di semplice influenza, senza più alcun bisogno di politiche speciali.


Da noi no, la musica è ben diversa:
in attesa che la verità finisca di emergere anche ufficialmente, magari per via giudiziaria,
questo potere colpevole e bugiardo (che la verità la conosce benissimo)
va avanti per la sua strada, verso il baratro, sapendo di fare il male deliberatamente.

Fino a quando?

Già a luglio, si sbilancia Giovagnoli, assisteremo alle prime, grandi sorprese.

In altre parole: la farsa ha ormai i mesi contati.


Certo, agli italiani tocca soffrire ancora.

Chi è riuscito a resistere al ricatto, oggi vede benissimo l’infinita debolezza (civile, politica) di chi invece all’estorsione ha ceduto:
vede cioè che il ricatto aveva l’effetto magico di oscurare le cure, la drammatica necessità delle terapie.

Cedere, in fondo, significava dire: vi diamo partita vinta, come se davvero foste detentori di una parte di verità.

Ma senza verità – ripeteva Giuletto Chiesa – non c’è alcuna possibilità di ottenere libertà e quindi giustizia.
 
Ultima modifica:
Proprio verso il raggruppamento di Ferruccio Parri (Giustizia e Libertà)
inclinava la 43esima divisione autonoma della Val Sangone, sui monti fra Torino e Pinerolo.

Era una specie di Cln in armi: la brigata garibaldina del padre di Piero Fassino
convineva con quella (monarchica) del marchese Felice Cordero di Pamparato,
nome di battaglia Campana, cui poi il capoluogo piemontese intitolò la storica sede universitaria delle facoltà umanistiche.

Ebbi la fortuna di conoscere personalmente Giulio Nicoletta.

Un uomo di pace, costretto dalla storia a fare il guerriero:
scelto come comandante di divisione proprio per la sua capacità di conciliare anime tanto diverse.

In casa, aveva conservato come una reliquia la pistola Luger avuta in dono dal generale delle Ss Peter Hansen,
con il quale nel 1944 aveva trattato il rilascio degli ostaggi superstiti di Cumiana.

Per sviare testimoni e interpreti, i due si erano parlati in latino.

Ora l’ho capito, gli disse il generale, nella lingua di Cicerone:
se fossi italiano – scandì – sarei anch’io partigiano.


Prima regola: tirar fuori il coraggio.

Mezzo secolo dopo, alla valle di quei combattenti, il Quirinale conferì una medaglia al valor militare.

A una condizione: che nella cerimonia non pronunciassero mai la parola “fascismo”.

Lo aveva imposto Oscar Luigi Scalfaro, spaventato dalla Lega di Pontida:

la storia andava riscritta, per non rianimare il fantasma della guerra fratricida fra italiani.


Me lo confidò lo stesso Nicoletta, con un groppo in gola, poco prima di prendere la parola, al sacrario dei loro caduti.


Poi, quando toccò a lui, guardò in faccia il presidente Scalfaro.

E vuotò il sacco: non era stata solo colpa dei tedeschi.
Né si diventa partigiani per caso.
Bisogna lottare, per la libertà.
E qualcuno deve pur farlo.



Li allinearono all’alba, in montagna.
Il comandante, Giulio Nicoletta (calabrese di Crotone, socialista, tenente dei carristi)
spiegò loro che i nazisti avevano appena fucilato 51 ostaggi civili, giù a Cumiana.

I prigionieri – Ss italiane e sottufficiali tedeschi – pensarono: ecco, ora ci fucilano per rappresaglia.

E invece no: non vi fuciliamo, precisò il comandante,
perché i vostri hanno in mano ancora cento ostaggi rastrellati per la strada.

E non vi fuciliamo, soprattutto, perché non siamo bestie, noi.

Lo scambio infine avvenne, e che scambio: militari contro civili inermi.

Un anno dopo, a Torino – il 26 aprile, tra gli ultimi spari – il comandante si sentì chiamare.

Erano loro, i prigionieri dell’anno prima.

Ma ormai, vestiti anch’essi da partigiani.

Abbiamo disertato, gli raccontarono, poco dopo esser stati rilasciati.

Non erano bestie, nemmeno loro.

E avevano imparato.
 
Perchè la fiducia?

Perché abbiamo bisogno di ritrovarla.

Perché la fiducia è la base di tutte le relazioni umane.

Sia quelle tra amici, sia quelle di coppia, sia quelle finanziarie ed economiche.

La fiducia è l’unica moneta che non potrà mai essere messa da parte in misura sufficiente.

Eppure la fiducia, in questo strano tempo che stiamo vivendo,
sembra essere venuta meno in tanti ambiti importanti del nostro vivere socialmente insieme.


Lo vediamo nella vita di tutti i giorni.


Non ci si fida più dei medici
che ci hanno sempre curato.

Non ci si fida più della scienza che ha sempre orientato il nostro progresso.

Non ci si fida più del futuro, percepito come nebuloso e grigio.
Così come nebuloso e grigio è il tempo che stiamo vivendo.

E non ci si fida più di investire su un domani che sarà ancor più negativo se non dovessimo avere le risorse giuste per affrontarlo.


La fiducia la si costruisce, non la si impone con la paura e noi dobbiamo ricostruirla insieme.

La fiducia si costruisce con la consapevolezza, con la competenza e con la responsabilità.

Ed ora è arrivato il tempo della competenza e della responsabilità.


Il Covid-19 ci ha allontanati ci ha portati a sospettare l’uno dell’altro, anche all’interno delle nostre famiglie.

Ci ha portati a diffidare di tutto e di tutti.


Riappropriamoci della nostra identità sociale, del nostro modo di saper stare insieme e di fare insieme meglio che da soli.


Riappropriamoci della nostra libertà, riappropriamoci della nostra capacità di sentirci liberi, responsabilmente liberi.


La libertà è una conquista continua.

È una conquista competente.

La libertà dobbiamo meritarla con i nostri comportamenti, con la nostra comprensione.

La libertà è un’eredità ricevuta da chi ha sacrificato anche la propria vita per regalarcela.

Ma anche l’eredità va guadagnata.


Responsabilmente.


E se la libertà va guadagnata,

la fiducia va ricostruita con la giusta comunicazione,

senza aggressioni verbali, senza manifestazioni prevaricatrici.


Ricordiamocelo: senza fiducia non c’è libertà, e senza libertà non c’è domani.


Ma io quel domani lo voglio costruire, o ricostruire,

e lo voglio fare per i domani che ancora mi restano


da vivere e per quelli che avranno a disposizione i miei figli.


Ognuno di noi può fare la propria piccola parte.


A volte basta poco: un sorriso, un ti voglio bene, non dimentichiamolo mai.
 
Nulla è perfetto.


Michelle Hunziker e Tomaso Trussardi si separano.

Dopo le voci di crisi, è arrivata la conferma: per la coppia il matrimonio è finito.

A rivelarlo sono stati proprio i diretti interessati attraverso una nota Ansa,
con la quale hanno anche richiesto che fosse rispettata e mantenuta la loro privacy.


Per non dare adito a voci infondate, hanno deciso di dichiarare la loro decisione con una nota Ansa, nella quale si legge:

“Dopo 10 anni insieme, abbiamo deciso di modificare il nostro progetto di vita.
Ci impegniamo a proseguire con amore e amicizia il percorso di crescita delle nostre meravigliose bambine.
La nostra separazione rimarrà un percorso comune e privato.
Non seguiranno ulteriori commenti nel rispetto della privacy della nostra famiglia. Michelle e Tomaso”.


L’intenzione è quindi quella di mantenere i buoni rapporti per il bene delle loro figlie, Sole e Celeste,
tenendo inoltre saldo un legame d’amicizia quasi inevitabile dopo 10 anni d’amore.

La scelta è stata quella di dividere le loro strade,
eventualità che era stata data come possibile dopo che lei aveva trascorso le vacanze di Natale in montagna lontana dal marito.


Per moltissimo tempo, Michelle Hunziker e Tomaso Trussardi hanno formato una coppia perfetta.

Prima la nascita di Sole, nel 2013, poi un matrimonio da sogno, nel 2014,
con il quale hanno coronato il loro sogno d’amore.

Appena un anno dopo è poi arrivata Celeste.


Le voci di crisi circolate dopo le feste si sono quindi rivelate fondate.
 
Adesso tocca al Movimento Cinque Stelle l’ora del lamento.

E del caos.

A essere sinceri, non si capisce bene se i piagnistei e il nervosismo di Giuseppe Conte,
grande amico di quel Goffredo Bettini eminenza grigia del Partito Democratico,
siano dovute a guai veri e non piuttosto a qualche consiglio troppo forte o troppo personalistico.

Fatto sta che, lamentoso o nervoso, il buon Conte farebbe bene ad allargare l’orizzonte oltre il Pd,
ragionando sul fatto che il suo consigliere non ne ha azzeccate molte.


Il punto – anzi, il punctum dolens – dei partiti è bene esemplificato da un Giovanni Toti,
oggi presidente della Regione Liguria ma ieri capace giornalista,
quando parla di “circo equestre” riferito al complesso di comportamenti
di gran parte dei personaggi politici alla vigilia del voto per il Colle più alto,
ma con l’avvento se non anche lo stimolo più vivo e pungente della proposta o autoproposta di Silvio Berlusconi: quel posto lo merito io.

Intendiamoci, il circo equestre come metafora funziona in una immediata visione
ed in una presa d’atto di una situazione che è in fieri,
destinata cioè a modificarsi mano a mano che si avvicina il 24 marzo.

E, solo allora, chi ha carte da giocare le giocherà.


Intanto, resta il clima di una vigilia nella quale la storica assenza (morte) dei partiti
ha favorito le prediche individuali correlate da profezie nominalistiche,
cioè con nomi e cognomi, senza alcun ritegno per gli interessati.

Del resto, la decisione per Vittorio Sgarbi come addetto a telefonare agli incerti
non era esattamente la scelta di un personaggio, benché esperto,
di grande abilità e cultura ma non dotato di quella che i siculi chiamano, sibilando, bocca cucita.

E ne è derivato un caos in special modo nel Pd, dove ha fatto e fa aggio l’eterna divisione interna
che ha impedito la proposta di un loro nome, ragion per cui l’unica linea espressa da Enrico Letta è il “no” a Berlusconi.

A parte gli eventuali suggerimenti dell’eminenza grigia di cui sopra.


Il che conferma che l’uscita berlusconiana ha bruciato non soltanto i tempi
ma le contro-proposte dei partecipanti al gioco più importante della democrazia parlamentare,
i cui rappresentanti avevano considerato come una boutade l’esternazione del Cavaliere,
dimenticando l’antica massima di Gianni Letta, che lo conosceva bene e che recitava:

Silvio fa sempre sul serio, anche quando scherza.

Ma, lo ripetiamo, il vero limite di questa vigilia,
quello che rischia di trasformarla in una sorta di gioco di biliardo o di scala quaranta,
è quella che chiameremmo “chiacchiere fra portinaie”,
dando a quel circo equestre un sottofondo di mormorazioni e previsioni
che ne rendono apparentemente succose le attese, ma soltanto per la durata d’un mattino, se non meno.


Come si diceva: la scomparsa dei partiti intesi come strumenti di formazione di parte ma collettiva,
come corpo di un insieme in grado di dare voce e decisioni comuni è ciò che fa la differenza
e, di fatto, l’esplosione degli individualismi è stata ed è in questa lunga vigilia la conferma
di un andare ciascuno per la propria strada, non perché mossi da un legittimo desiderio di protagonisti della politica,
ma di protagonismo, di ricerca di pubblicità, di visibilità, di vanità.

E adesso, che in certuni avanza la preoccupazione che forse, anzi senza forse, Silvio Berlusconi fa sul serio,
il mormorio ha qualche sosta in pause di silenzio, nel quale prevale
non una eventuale e del resto obbligatoria risposta politica alternativa,
ma la preoccupazione dello stop della legislatura.


Ma è di un altro stop che sono profondamente preoccupati: quello al vitalizio.
 
La cannabis blocca la possibilità del virus Covid-19 di infettare le cellule umane?

Sarebbe l’uovo di Colombo.


E se lo studio di due ricercatori dello Stato americano dell’Oregon trovasse conferma,
sarebbe anche la fine di ogni pagliacciata No vax e complottista.

Semplicemente si unirebbe l’utile al dilettevole.


E lo Stato – invece che vaccinare tutti compulsivamente con risultati molto poveri dal lato del contagio
-
(ma enormi da quello della prevenzione del disastro patologico degli infettati) –
potrebbe distribuire gratis la marijuana a tutti i cittadini.

Con grande detrimento delle narcomafie e con possibile grande soddisfazione di chi, da anni,
si interroga sull’inutile e criminogeno proibizionismo che affligge questa sostanza.


L’Oregon, a tale proposito, ha rappresentato uno dei primi Stati americani
a legalizzare l’uso, la detenzione e la vendita di prodotti a base di cannabis per scopi ricreativi, oltre che terapeutici.

E in quello Stato il cosiddetto revenu fiscal è stato talmente alto da permettere al governatore locale di poter abbassare le tasse.

Mentre la criminalità locale legata al prodotto in questione è pressoché scomparsa.


Da noi, invece, si vorrebbe criminalizzare pure il Cbd della cannabis senza Thc venduta negli appositi negozi autorizzati,
la cui filiera dà da lavorare a quasi 40mila persone in Italia.

Una sorta di finta cannabis la cui vendita legalizzata ha, in ogni caso, molto nociuto agli spacciatori di quella vera.


Tornando allo studio in questione, i due ricercatori dell’Oregon
che hanno pubblicato lo studio sul “Journal of natural products”,
poi ripreso da agenzie sanitarie del Governo locale,
hanno scoperto che ben due componenti che si estraggono della pianta,

l’acido cannabigerolico o Cbga

e l’acido cannabidiolico o Cbda,

si legano alla proteina S o Spike del virus
(cioè l’agente patogeno che infetta il recettore Ace-2 delle cellule umane per avviare la replicazione virale)
e ne inibiscono ogni potenzialità replicativa virale all’interno delle cellule umane.


In pratica, i due composti della cannabis non permettono al virus di attaccare le cellule, impedendo così l’infezione.


Lo studio è preso in seria considerazione negli Usa anche a livello federale.

Ormai quasi una trentina di Stati in America hanno cambiato la politica repressiva nei confronti della marijuana,
avendola legalizzata di fatto per scopi terapeutici e ricreativi.

La conferma di questa ricerca da parte di ulteriori sperimentazioni potrebbe portare a due risultati entrambi virtuosi:

un aiuto notevole nella lotta al Covid-19

e la fine di uno dei periodi più bui della storia dell’umanità,

quello del proibizionismo ideologico sulle droghe leggere.


In Italia è sub iudice costituzionale un timido referendum per iniziare a depenalizzare la coltivazione domestica della cannabis.

Chissà se anche da noi arriverà il vento di cambiamento liberale e scientifico che spira dall’America.


E chissà se “più che l’onor proibizionista da Stato etico” non “potrà il digiuno”.
 
Storicamente le emergenze e le crisi hanno agevolato l’anomia e di conseguenza l’autoritarismo.

Quando subentrano le emergenze mondiali, come quella che stiamo vivendo a causa del Covid-19,
emergono tutte le fragilità dei sistemi democratici, emerge anche in Italia quella atavica tendenza,
insita nell’istintuale natura dell’uomo, verso modelli di controllo e di stato di polizia,
tipici dei regimi totalitari, come sta accadendo in Ungheria.


La democrazia alla deriva già con la crisi finanziaria del 2008

La giustificazione della situazione straordinaria di necessità ed urgenza
crea le condizioni politiche per limitare se non sospendere le garanzie costituzionali,
in modo tale da assopire e paralizzare qualsiasi reazione democratica da parte dell’opinione pubblica
che, inerte, sembra accettare tutto come una “condicio sine qua non”.

Già con la crisi finanziaria del 2008 si manifestarono i prodromi di questa deriva invasiva e totalitaria,
con la creazione di strumenti declinati sia a livello nazionale e sia a livello internazionale,
come ad esempio l’abolizione del segreto bancario, lo scambio di dati finanziari,
ma soprattutto con la creazione di una normativa antiriciclaggio invasiva ai limiti dell’assurdo,
senza per altro ottenere rilevanti risultati nella lotta all’evasione e alla corruzione,
ma ottenendo solamente il pessimo risultato di danneggiare e rallentare l’economia reale,
soprattutto quella delle piccole e medie imprese.

In Italia sono stati sviluppati ed ampliati ulteriormente i poteri dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza,
eliminando quasi tutte le garanzie costituzionali a favore dei contribuenti,
che grazie a questa normativa restrittiva si sono ritrovati ad essere considerati tutti dei potenziali evasori fino a prova contraria.


Leggi che hanno generato giustizialismo e ridimensionato il Parlamento

I vari governi hanno escogitato le forme più abiette per penalizzare la libertà economica dei contribuenti,
arrivando ad incrementare l’utilizzo del sequestro preventivo.

Grazie a questa escalation si è passati ad esercitare il più bieco giustizialismo
generando leggi che di fatto hanno abolito la prescrizione
e hanno ridimensionato il ruolo del Parlamento, limitandolo alla mera ratifica dell’attività del governo.


La grave crisi sanitaria generata dal Covid-19 ha dato il via all’applicazione di un modello sostanzialmente autoritario,
che con l’emissione di una raffica di decreti del presidente del Consiglio e di ordinanze del ministero della Sanità
ha di fatto sancito la fine dei nostri diritti costituzionali ed il controllo assoluto di ogni libertà di movimento
e la chiusura di ogni attività professionale, reprimendo così la libertà economica.

Volente o nolente, il sistema politico, economico e sociale, a cui eravamo abituati

fino a quando non è iniziata la diffusione della pandemia del Covid-19, non lo vivremo più.



Il nostro futuro modello di vita
si avvicinerà per molti aspetti operativi e quindi sostanziali,
sempre in nome dell’emergenza sanitaria,
ad un modello simile a quello ungherese,
in cui la democrazia sarà sospesa per ragioni di ordine pubblico
e per garantire la salute e l’incolumità della collettività.


Questa pandemia sta colpendo le nostre relazioni umane e sta uccidendo anche le nostre istituzioni,
sta mettendo in una duratura quarantena anche la nostra stessa democrazia,
addormentando in uno stato comatoso, potenzialmente irreversibile, la nostra Costituzione.
 
Stato di necessità che esautora il Parlamento e porta all’autoritarismo

Il Parlamento è latitante nelle sue prerogative costituzionali, ossia le attività legislative.

Il Governo esercita le sue funzioni dopo il “tramonto”, utilizzando come mezzi di comunicazione i social media.



Il Governo, sempre in nome della sua emergenza, esercita le sue funzioni esautorando il Parlamento
e limitando i nostri diritti costituzionali a forza di decreti emessi, dopo laceranti discussioni.

Un aspetto ancor più preoccupante è l’aumento di conflittualità
che emerge nei rapporti tra Governo, Regioni ed Enti locali,
una conflittualità mai vista in questi termini nella storia della Repubblica italiana.

Lo stesso capo dello Stato si è ritrovato a dover assistere sgomento
e senza poter intervenire per limitare in modo incisivo questo modus operandi dell’attività governativa.

Per quanto lo stato di emergenza dovuta alla pandemia del Covid-19
imponga ogni importante decisione in tempi rapidi su quali interventi compiere per fronteggiare la grave situazione sanitaria,
non si possono comunque mortificare e depotenziare le funzioni attribuite dalla Carta Costituzionale al Parlamento,
fondamentale organo costituzionale per il controllo dell’attività governativa e per l’esercizio di quella legislativa.


Per questi motivi è essenziale che il Governo abbia un confronto reale con il Parlamento
e anche con l’opposizione e questo potrà accadere solamente quando il Parlamento
tornerà a riunirsi regolarmente per esercitare le funzioni che gli attribuisce la Costituzione italiana,
fonte primaria e fondamentale del nostro sistema democratico.

Anche perché, se siamo in presenza di un’emergenza che ricorda le emergenze belliche e quindi di portata storica,
ciò postulerebbe la formazione di un governo di unità nazionale e in mancanza,
sarebbe almeno opportuna una costruttiva e solidale collaborazione tra Governo e opposizione.

Il modus operandi dell’azione governativa ha compromesso e minato lo stato di diritto della nostra Nazione,
comprovato dal fatto che la riduzione delle libertà personali e delle libertà economiche disposta tramite il Dpcm prima ed il DL poi
ha impedito un controllo parlamentare, solo tardivamente recuperato nei successivi decreti legge e peraltro in modo sommario.
 
Con Provvedimento di ieri 17 gennaio 2022
le Entrate approvano il nuovo modello di cartella di pagamento.

In particolare, è approvato il modello di cartella di pagamento
che l’Agente della riscossione è tenuto ad utilizzare
per le cartelle relative ai carichi affidatigli a decorrere dal 1° gennaio 2022

SCARICA QUI IL MODELLO

Resta fermo, per le cartelle relative ai carichi affidati all’Agente della riscossione fino al 31 dicembre 2021,
il modello approvato con provvedimento prot. n. 134363 del 14 luglio 2017.

Si specifica che l’adozione del nuovo modello di cartella di pagamento
si rende necessario allo scopo di adeguarne il contenuto informativo
in conseguenza della revisione della disciplina degli oneri di funzionamento del servizio nazionale di riscossione
(di cui all’art. 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112).

A seguito delle modifiche apportate dall’art. 1, comma 15, della Legge di Bilancio per il 2022 al citato art. 17 del d.l.gs. n. 112 del 1999,
la copertura dei costi di gestione del servizio nazionale di riscossione
viene assicurata mediante appositi stanziamenti di risorse a carico del bilancio dello Stato.



Per effetto della nuova disciplina viene abolita la quota di oneri di riscossione a carico del debitore:

  • nella misura fissa del 3% delle somme iscritte a ruolo,
  • in caso di pagamento entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella di pagamento

  • e del 6% delle somme iscritte a ruolo e dei relativi interessi di mora
  • in caso di assolvimento del debito oltre il suindicato termine di legge.

  • allo stesso modo, per le ipotesi di riscossione spontanea,
  • effettuata ai sensi dell’articolo 32 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46,
  • non è più dovuta, dal debitore, la quota pari all’uno per cento delle somme iscritte a ruolo.
Attenzione va prestata al fatto che
a carico del debitore restano invece la quota a titolo di spese esecutive
per le eventuali attività cautelari ed esecutive per il recupero delle somme insolute
nonché la quota a titolo di spese di notifica della cartella di pagamento
e degli eventuali ulteriori atti di riscossione
(art. 17, comma 2, lett. a) e b)).
 
Cosa volete. Siamo in Italia.........ahahahahahah ridiamo che è meglio.



Vi volevo dire che il medico che ha curato e guarito a casa i pazienti rischia la sospensione,

mentre il ministro Speranza che ha impedito le cure e le guarigioni a casa è ancora al suo posto.


Il mondo italiano, capovolto e fanatico, indicato come modello.


Il vero problema non è mai stato il virus ma il fanatismo e l’impreparazione al governo.



Così Speranza e Conte – perché in principio c’era l’avvocato del popolo –
non sapendo cosa fare hanno fatto ricorso alla strategia del terrore
elevando proprio il fanatismo a modello di governo.

Come non ricordare che solo qualche mese prima, quando c’era il governo Conte 1,
fu coniata per Matteo Salvini al Viminale la famigerata definizione di “ministro della paura”?

Ma chi ha fatto della paura una strategia di governo è stato proprio il governo giallo-rosso
per il quale andrebbe bene la definizione che Thomas Hobbes dava di sé:

“Il figlio della paura”.

Ciò che ne è venuto fuori è stato il grande Leviatano che ha sequestrato la libertà promettendo la sicurezza senza riuscire a dare né l’una né l’altra.


Il medico punito per le cure domiciliari

Mentre

il dottor Gerardo Torre di Pagani verrà giudicato dall’ordine dei medici


– gli ordini professionali sono l’ennesimo capitolo della storia infinita dell’illiberalismo italiano –

proprio per aver fatto il suo dovere di medico e per aver curato e guarito a casa oltre 3000 malati,


il ministro della Salute è ancora al suo posto

anche se con la circolare con cui si imponeva ai medici di base il protocollo sbagliato

e si impediva agli studi medici locali di curare i loro pazienti

si sono causati danni umani irreparabili.



Speranza e l’anti-scienza

Roberto Speranza ha una vecchia mentalità comunista.

Crede alla centralizzazione del sapere.

E quella circolare, della tachipirina e della vigile attesa,
che ora finalmente il tar del Lazio ha bocciato con colpevole ritardo,
è la quintessenza dell’anti-scienza e dell’anti-conoscenza.

Perché ritiene che il giudizio del medico,

che valuta in base alla sua esperienza e alle sue conoscenze

e, soprattutto, perché conosce la stessa storia clinica dei suoi pazienti,

sia da sospendere e da sostituire con la burocrazia che di un protocollo medico non ha mai avuto nulla.
 

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