VOLEVO DIRE A TIZIANO FERRO CHE SPESSO NON ME LO SO SPIEGARE NEMMENO IO

Sul fronte obbligazionario,
lo spread tra Btp italiani e Bund tedeschi è sceso
sotto la soglia psicologica dei 100 punti base per la prima volta dal 2021, arrivando a 99,9 punti.

Poi il differenziale è risalito e viaggia ora a 100,6 punti.
 
Euronext scarica i fanatici dell’ambiente

e riscrive il paradigma Esg puntando su energia, sicurezza e geostrategia.

Un drastico cambio di priorità per favorire il panorama bellico.
 
L’Europa si trova di fronte a una situazione preoccupante:

le riserve di gas sono in netto calo,
spingendo il continente a incrementare significativamente le importazioni di gas naturale liquefatto (GNL)

per evitare una crisi energetica.

Questo scenario sta sollevando timori di rincari dei prezzi e di possibili emergenze durante l’inverno.

Ma cosa sta accadendo esattamente e quali sono le cause di questa situazione?


In Germania, il paese più esposto, le riserve di gas sono scese al 52% della capacità totale,
un dato molto lontano dall’85% dello stesso periodo del 2024.
L’impianto di Rehden, il più grande del paese, è praticamente vuoto,
con un riempimento di appena il 2,45% al 6 luglio, secondo i dati più recenti.

A livello europeo, le riserve si attestano al 58%, contro il 76% di un anno fa, secondo Gas Infrastructure Europe.

Questa situazione spingerà l’Europa verso un aumento massiccio delle importazioni di GNL nel terzo trimestre del 2025,
con un incremento stimato del 50% rispetto all’anno scorso, secondo S&P Global.

Questo boom della domanda rischia di far salire i prezzi,
già sotto pressione a causa delle tensioni geopolitiche, come l’escalation tra Iran e Israele.


Nonostante il mercato sia attualmente in grado di gestire shock della domanda​

senza misure di emergenza, le riserve potrebbero raggiungere solo il 75-80% entro l’inverno.​


Un livello così basso, insolito per il periodo, comporta rischi significativi,
soprattutto in caso di eventi imprevisti come un inverno rigido o ulteriori instabilità geopolitiche.

Tuttavia, gli operatori di mercato, in attesa di prezzi più favorevoli, stanno ritardando gli acquisti,
creando il rischio di una carenza di gas alla fine dell’estate.

Anche ICIS avverte che un inverno particolarmente freddo o ulteriori tensioni globali potrebbero spingere i prezzi alle stelle.


Attualmente, il prezzo del gas al TTF di Amsterdam, il benchmark europeo, si mantiene a 34 per megawurottora,
in calo rispetto ai 57 euro di febbraio 2025, ma ancora più alto rispetto a luglio 2024.



 
La volatilità è aggravata da un mercato già teso:
i contratti di agosto sono scambiati a 34 dollari, mentre quelli di novembre e dicembre a 36,1 dollari.

Questa piccola differenza di prezzo sta inducendo gli operatori a posticipare gli acquisti,
una strategia rischiosa che potrebbe amplificare i problemi di approvvigionamento.


Le cause di questa situazione risalgono all’inverno passato, segnato dal fenomeno “dunkelflaute”,
ovvero una combinazione di scarsa produzione eolica e un aumento della domanda dovuto a un inverno particolarmente freddo e lungo.

Questo ha svuotato le riserve, mentre i contratti estivi, più redditizi, hanno scoraggiato il riempimento degli stoccaggi.

A ciò si aggiunge, nell’estate 2025, un calo del 40% della produzione eolica in luglio e agosto, secondo Energy Aspects,
e un’impennata della domanda di energia a causa delle alte temperature, con picchi di oltre 40°C in alcune aree.


Il deficit energetico è stato temporaneamente colmato con gas e carbone, ma a caro prezzo.​

In Germania, il costo dell’elettricità ha toccato i 100 euro per megawattora il 7 luglio,​

contro una media di 67,70 euro nel luglio 2024.​



Secondo S&P Global, l’Europa potrebbe raggiungere l’86% di riempimento delle riserve entro ottobre,
grazie a una domanda globale di GNL più debole del previsto, soprattutto dalla Cina.

Tuttavia, un aumento della domanda asiatica potrebbe destabilizzare il mercato, portando a prezzi più alti.
Per ora, l’Europa si prepara a un terzo trimestre intenso.


Quindi ci siamo messi in mano all’Asia orientale anche per i prezzi energetici.

l’Europa ha voluto rinunciare alla propria autonomia
ed ora ne sta pagando il prezzo,
piegata dall’instabilità legata alla domanda altrui.
 
Tutto è delegato ............ed ormai anche il pensiero autonomo.

I mercati azionari globali hanno registrato un leggero rialzo a giugno,
sostenuti dall'allentamento delle tensioni geopolitiche
che ha spinto al ribasso i prezzi del petrolio e stimolato la propensione al rischio.

Le aspettative di un taglio dei tassi statunitensi sono aumentate
a seguito delle speculazioni sui cambiamenti alla guida della Federal Reserve,
che a loro volta hanno indebolito il dollaro e sostenuto i titoli azionari.

Il sentiment è stato ulteriormente sostenuto
dai segnali di distensione nelle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina,
mentre il forte rialzo dei titoli tecnologici e dell'intelligenza artificiale
ha trainato i mercati al rialzo.

I settori difensivi hanno sottoperformato,
poiché gli investitori sono tornati a privilegiare la crescita,
chiudendo un mese di guadagni diffusi per le azioni.


Sia ASML, leader mondiale nei sistemi di litografia per la produzione di semiconduttori,
sia Microsoft, operatore dominante nel settore del software aziendale e delle piattaforme cloud,
hanno continuato a beneficiare del perdurare dell'entusiasmo per l'intelligenza artificiale.


Ciò è stato in parte determinato dai commenti rassicuranti di TSMC (il principale cliente di ASML),
che ha sottolineato come, nonostante l'incertezza sui dazi,
la società non abbia riscontrato cambiamenti nel comportamento dei clienti
e continui quindi a prevedere un raddoppio del proprio business nel settore degli acceleratori di IA entro il 2025.


Experian, società globale di analisi dei dati e del credito,
ha continuato a beneficiare del momentum positivo dopo i solidi risultati annuali (chiusi a marzo)
che hanno evidenziato una forza diffusa in entrambi i segmenti Consumer e Business.
 
L’oro corre come non accadeva da decenni:
ha sfiorato i 3.900 dollari l’oncia, segnando il settimo rialzo consecutivo
e un balzo del 48% da inizio anno, la miglior performance dal 1979.

A spingerlo è un mix esplosivo di fattori:
lo shutdown negli Stati Uniti,
le tensioni geopolitiche ancora vive (nonostante gli spiragli di pace a Gaza) e
l’attesa di una Fed più morbida.

Proprio questa combinazione di incertezza e aspettative di tassi più bassi alimenta il rally:
gli investitori, fiutando il rischio, si rifugiano nell’oro, che torna a essere il bene rifugio per eccellenza. “

È questo mix a guidare la corsa del metallo prezioso”, spiega Elmira Shahbazi.
 
Negli ultimi mesi il prezzo dell’oro ha toccato nuovi record storici
e il motivo è una combinazione di fattori che si sono rafforzati a vicenda.

A partire dalla prospettiva di una Federal Reserve (FED) pronta a tagliare i tassi:
al momento è “priced in” al 75% due cuts entro fine anno 2025.

Molti investitori iniziano e altri continuano a cercare nell’oro un’alternativa ai rendimenti obbligazionari in calo.

Ancora di più un dollaro debole ha reso l’oro più conveniente per chi compra in euro, yen o yuan,
e secondo Reuters questo indebolimento è stato una delle molle principali del rally.


Allo stesso tempo molte banche centrali, in particolare quelle di Paesi emergenti come Cina e India,
hanno continuato ad accumulare riserve auree, confermando una tendenza segnalata già dal World Gold Council:
quasi tutte intendono aumentare la quota di oro in portafoglio, sia per ridurre la dipendenza dal dollaro
che sta perdendo sia per proteggersi da rischi geopolitici.

Sullo sfondo poi dobbiamo ricordare che restano poi l’inflazione che non si è del tutto sgonfiata
e l’incertezza globale, dagli scenari bellici in Ucraina e Medio Oriente fino alle tensioni politiche negli Stati Uniti.


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Il legame tra dollaro e oro è evidente.

Poiché le quotazioni avvengono in dollari, quando la valuta americana si indebolisce
il metallo prezioso diventa più accessibile agli acquirenti internazionali.

Un investitore europeo, per esempio, si trova a poter comprare più oro con la stessa quantità di euro.

Inoltre un dollaro fragile mette in discussione la sua funzione di bene rifugio monetario e
spinge investitori e banche centrali a diversificare in oro.

È per questo che la correlazione inversa tra oro e dollaro resta uno dei cardini dell’analisi di questo mercato.


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Le attese sui tagli dei tassi della Fed giocano un ruolo cruciale.

Tassi più bassi riducono il cosiddetto costo opportunità di detenere un bene che non produce interessi,
e al tempo stesso indeboliscono la valuta americana, due elementi che si combinano a favore dell’oro.

Anche se si può considerare il fatto che con una diminuzione degli interest rate
si può sfociare in un investimento ancora più massivo in equities e quindi considerano più indici come SP500 e Russel 2000.


In realtà il mercato spesso si muove già prima dei tagli,
reagendo ai discorsi di Powell e agli indizi che emergono dalle minute della Fed.

È in questo anticipo che si spiega parte della recente accelerazione.

Importante da ricordare il grafico della FED con expectations entro Dicembre
per considerare due rate cuts da 25 bps (bps = basis points).

Per capirci ora siamo a 4%-4.25%, dopo un rate cuts nell’ultimo meeting.

Entro fine anno il mercato sconta un tasso che scende 3.5%-3.75%.
 
L’oro viene definito bene rifugio risiede nella sua natura.

Non può essere stampato come una moneta, non dipende dall’affidabilità di uno Stato o di un’azienda
e ha una correlazione debole con le altre asset class.

In periodi di tensione economica o politica, molti lo considerano l’assicurazione del portafoglio.


Guardando ai prossimi mesi, se i tassi resteranno bassi e il dollaro continuerà a indebolirsi,
lo scenario di base resta favorevole al metallo giallo.

Potremmo assistere a fasi di consolidamento sopra i livelli già record,
con la possibilità di puntare verso i 4000 dollari l’oncia
come indicano alcune previsioni citate da Bloomberg e Goldman Sachs.


Naturalmente correzioni temporanee non sono da escludere,
specie se dati macro migliori del previsto dovessero rafforzare il dollaro
o spingere la Fed a un atteggiamento più prudente.

Ma nel complesso il contesto rimane a sostegno dell’oro,
che in questo momento continua a essere percepito come la cassaforte più sicura
in un sistema economico e politico attraversato da incertezze.
 
L’oro ha infranto un nuovo muro : 4.000 dollari l’oncia.

È successo ieri, lunedì 7 ottobre, quando i future a New York hanno oltrepassato la soglia simbolica
e anche il contratto spot internazionale ha toccato livelli mai visti prima.

Un record storico, ma anche un segnale potente:

il metallo più antico del mondo torna a essere l’asset più moderno del momento.

Da gennaio, l’oro ha guadagnato oltre il 50%,
superando ampiamente azioni, obbligazioni e persino i titoli tecnologici.

Non è solo una questione di numeri: dietro questa impennata si nasconde un cambio di paradigma globale.

Cosa sta succedendo davvero?

E, soprattutto, ha ancora senso investire in oro oggi?
 

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