VOLEVO DIRE A TIZIANO FERRO CHE SPESSO NON ME LO SO SPIEGARE NEMMENO IO

L’oro ha un vantaggio che nessun altro asset possiede: non dipende da nessuno.

Non è legato ai bilanci di un’azienda, né alle decisioni di una banca centrale o di un governo.

È una moneta universale, che resiste alle crisi, alle svalutazioni e ai default.

In momenti di incertezza economica o geopolitica,
l’oro tende a muoversi in modo opposto ai mercati finanziari tradizionali.

Quando le azioni scendono, lui brilla.

Quando le obbligazioni rendono poco, lui attrae.

Per questo motivo è considerato un pilastro di diversificazione del portafoglio,
insomma un'assicurazione contro gli imprevisti dell’economia globale.


Ma attenzione: non è una garanzia di guadagno.

La Banca d’Italia lo ricorda chiaramente:
il prezzo dell’oro non sale sempre in tempi di crisi o inflazione e può attraversare lunghi cicli di ribasso.

Inoltre, l’oro non produce reddito, non paga interessi, né dividendi.

Il suo valore sta solo nel prezzo che altri saranno disposti a pagare in futuro.

In altre parole, si investe in oro non per guadagnare oggi, ma per proteggersi domani.
 
L’ultimo collasso in ordine di tempo, quello di Tricolor Holdings,
ha fatto ritornare i timori di una debolezza dei consumatori USA
e quindi di quella forza potente che, comunque, porta avanti l’economia d’altroceano.

Eppure, grattando sotto la superficie di questi fallimenti periodici,
la storia che emerge non è quella di un consumatore medio allo stremo,
ma piuttosto un classico racconto di avidità finanziaria, frode sistemica
e un pizzico di “innovazione” fintech usata nel peggiore dei modi.

Stiamo parlando di una fintech “potenziata dall’Intelligenza Artificiale” con 60 punti vendita,
ora ridotta a un cumulo di macerie esaminate in un tribunale fallimentare del Texas.

Attorno a queste macerie, si è sollevata una nube tossica di accuse di frode da parte di tutti i finanziatori.

Quegli stessi finanziatori che, per anni, hanno deliberatamente chiuso gli occhi per non vedere ciò che era ovvio,
accecati com’erano dalla “bramosia” per gli alti tassi di interesse e le commissioni che Tricolor prometteva.
 
https://scenarieconomici.it/fallime...covi-uninterpretazione-ma-attenti-al-rating/#
In realtà tutti sapevano benissimo che Tricolor prestava denaro in modo sconsiderato,
spesso a immigrati privi di documenti, senza patente di guida e senza alcun credit rating
(persone, quindi, persino più rischiose del subprime che un rating lo hanno).

Il tutto, commercializzato con l’etichetta edulcorata di “prestito sociale” (social lending).

Questa pratica, per ironia della sorte, è stata promossa per decenni dal governo federale
attraverso atti legislativi come il Community Reinvestment Act (CRA)
e il Community Development Financial Institutions (CDFI) Act.

Nel 2019, il Dipartimento del Tesoro ha persino certificato Tricolor come CDFI,
concedendole un avallo federale come prestatore “socialmente responsabile”.

È difficile immaginare una fogna più maleodorante di Tricolor.

Un curatore fallimentare ha dichiarato che i primi rapporti “indicavano livelli potenzialmente sistemici di frode”.

Ed è altrettanto difficile immaginare banche e investitori più sconsiderati, disposti a ignorare la realtà per inseguire il rendimento.

È un comportamento tipico del picco di una bolla del credito.

Ma, ed è questo il punto cruciale, ha zero a che fare con il presunto “collasso” del consumatore americano.
 
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Il grafico non mente: non c’è un problema di “credito” in generale.

C’è un problema enorme in un segmento specifico e ad alto rischio (Subprime), gonfiato da operatori fraudolenti,

e un mercato Prime che gode di ottima salute.

Tricolor, in Texas, era considerata una “stella fintech”.

Ancora nel 2023, i media locali incensavano il suo “innovativo strumento di IA” chiamato Automás.

Questo strumento, protetto da brevetto, “sfruttava i dati” per consentire ai clienti (spesso “storicamente marginalizzati”)
di auto-selezionarsi e personalizzare i termini di finanziamento.

Una bellissima favola high-tech.

Ma come si finanziava questa “innovazione”?

Il meccanismo, tipico di questi operatori, si basa su tre fasi:

  • Linea di credito “Floorplan”: Un finanziamento concesso dalle banche per acquistare l’inventario di auto usate.
  • Ogni veicolo (identificato dal suo VIN) fa da garanzia.
  • Linea di credito “Warehouse”: Quando l’auto viene venduta,
  • il prestito al cliente viene temporaneamente finanziato da un’altra linea di credito (la “warehouse”), che serve a ripagare il “floorplan”.
  • Cartolarizzazione (ABS): I prestiti “warehouse” vengono impacchettati in titoli (Asset-Backed Securities – ABS)
  • e venduti a investitori istituzionali in tutto il mondo. I proventi di questa vendita ripagano la linea “warehouse”.
Il sistema si regge sulla fiducia. E qui è cascato l’asino.
 
La parte più sconcertante di questa storia, che puzza di 2008 lontano un miglio, è il ruolo dei cani da guardia.

L’ultima cartolarizzazione di Tricolor (la “Tricolor Auto Securitization Trust 2025-2”)
è avvenuta a giugno, per 217 milioni di dollari. Tre mesi prima del collasso.

S&P Global ha analizzato e valutato i sei “pacchetti” (tranche) di questi titoli.

Ecco i rating:


  • ‘AA’: 131 milioni $* ‘A’: 27 milioni$
  • ‘A-‘: 14 milioni $* ‘BBB’: 17 milioni$
In totale, 189 milioni di dollari (l’87% dell’intera emissione) sono stati classificati come “Investment Grade” (grado d’investimento).

Una società che a a settembre è fallita.


La teoria di S&P?
Le tranche inferiori (solo il 13% del totale) avrebbero assorbito le “prime perdite”, proteggendo così i piani alti.
Una teoria fantastica, se non fosse che il “collaterale” (la garanzia)
era costituito da prestiti a persone senza documenti e senza storia creditizia.

Come possa tutto ciò meritare una “AA” resta un mistero glorioso della finanza moderna.

Se avete sentito qualcosa di simile ne “La grande scommessa” siete nel giusto.

Il 12 settembre, due giorni dopo che Tricolor aveva presentato istanza di liquidazione in tribunale,
S&P Global ha finalmente messo quei bond in “CreditWatch con implicazioni negative”.

Un tempismo perfetto.


Tricolor non è il sintomo del fallimento del consumatore americano.​

È una “creatura nata da una presunta frode”,​

che ha prosperato approfittando di investitori e banche “volontariamente ciechi”.​

È il prodotto di una bolla del credito dove l’avidità, ancora una volta,​

ha trasformato i cervelli degli operatori finanziari in poltiglia.​

 

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