CMC Ravenna 6,875% 2017-22 (XS1645764694) - 6% 2017-23 (XS1717576141)

Il Resto del Carlino Ravenna 30/05/2019
CMC - Sicilia, vertice a Roma sulle infrastrutture

IL PRESIDENTE di Cmc, Alfredo Fioretti, ha incontrato ieri a Roma il presidente della Regione Sicilia, Nello Musumeci, per fare il punto della situazione sullo stato dei cantieri sul territorio siciliano che coinvolgono la società cooperativa.
LA riunione, «svoltasi in un contesto di cordialità e collaborazione» come spiega una nota dell' azienda ravennate, si è conclusa positivamente con il reciproco impegno a proseguire «il dialogo costruttivo volto a portare a termine tutti i lavori che sono in stato di avanzamento, considerando la complessa situazione normativa e regolatoria che tende a rallentare il processo di realizzazione dei progetti».
LE PARTI hanno convenuto di aggiornarsi nei prossimi giorni a Palermo, presso la sede della Regione, in un tavolo allargato anche agli altri interlocutori, per individuare un percorso comune e condiviso finalizzato alla soluzione delle questioni aperte e alla prosecuzione e consegna, nei tempi fissati, dei lavori attualmente in corso nell'interesse dei lavoratori e dei cittadini siciliani.
 
Milano Finanza 30/05/2019
Normanni, Aquile & Elefanti
Il presidente di CMC Ravenna, Alfredo Fioretti, ha incontrato il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, per fare il punto sulla situazione dei cantieri sul territorio siciliano che coinvolgono la cooperativa di costruzioni, che lo scorso 8 aprile ha presentato al Tribunale di Ravenna una richiesta di concordato. La riunione, si legge in una nota, «si è conclusa positivamente con il reciproco impegno a proseguire il dialogo costruttivo volto a portare a termine tutti i lavori che sono in stato di avanzamento, considerando la complessa situazione normativa e regolatoria che tende a rallentare il processo di realizzazione dei progetti». Le parti si rivedranno «nei prossimi giorni a Palermo, presso la sede della Regione, in un tavolo allargato anche agli altri interlocutori, per individuare un percorso comune e condiviso finalizzato alla soluzione delle questioni aperte e alla prosecuzione e consegna, nei tempi fissati, dei lavori attualmente in corso nell'interesse dei lavoratori e dei cittadini siciliani».
 
Il Resto del Carlino Ravenna 30/05/2019
CMC - Sicilia, vertice a Roma sulle infrastrutture

IL PRESIDENTE di Cmc, Alfredo Fioretti, ha incontrato ieri a Roma il presidente della Regione Sicilia, Nello Musumeci, per fare il punto della situazione sullo stato dei cantieri sul territorio siciliano che coinvolgono la società cooperativa.
LA riunione, «svoltasi in un contesto di cordialità e collaborazione» come spiega una nota dell' azienda ravennate, si è conclusa positivamente con il reciproco impegno a proseguire «il dialogo costruttivo volto a portare a termine tutti i lavori che sono in stato di avanzamento, considerando la complessa situazione normativa e regolatoria che tende a rallentare il processo di realizzazione dei progetti».
LE PARTI hanno convenuto di aggiornarsi nei prossimi giorni a Palermo, presso la sede della Regione, in un tavolo allargato anche agli altri interlocutori, per individuare un percorso comune e condiviso finalizzato alla soluzione delle questioni aperte e alla prosecuzione e consegna, nei tempi fissati, dei lavori attualmente in corso nell'interesse dei lavoratori e dei cittadini siciliani.

Si va bene, le solite parole al vento dette da politici e manager con moralità ed affidabilità sotto lo zero, ricordiamoci che i lavori siciliani sono stati presi in carico da ANAS che paga direttamente i fornitori e sub-appaltatori e che CMC è ancora presente nominalmente solo per evitare le lungaggini di dover rifare le gare di appalto che bloccherebbero tutto per mesi. In pratica CMC sta li a fare la marionetta e fa finta di coordinare i lavori, ben abbiamo visto cosa sta succedendo in particolare con le commesse non ancora iniziate o che puzzano di imbroglio.
 
LA DECOSTRUZIONE CREATRICE - il foglio 01/06/19
Aziende insolventi, progetti fermi, decreto sblocca cantieri sempre rinviato: l'Italia dei costruttori, che è stata motore dello sviluppo, oggi è in un vicolo cieco. Ma prepara il rilancio con un nuovo soggetto pubblico -privato
L'ambiente naturale e quello storico, il paesaggio e l'architettura, questa è l'Italia. Ma quale Italia?

Quella del tempo che fu, perché l'Italia presente, quella che vediamo e in cui viviamo tutti i giorni, assomiglia a una terra desolata sulla quale è passato Warlock. Gru immobili e spettrali, impalcature vuote, scheletri di palazzi consumati dal tempo, lunghe strade deserte che finiscono nel nulla, città coperte di spazzatura, mezzo milione di uomini e donne, una folla in attesa di un lavoro che non c'è, fitta come quella che T.S. Eliot vedeva sotto il London Bridge: "Così tanta / Ch'io non avrei mai creduto che morte tanta n'avesse disfatta". Città irreali nella nebbia bruna di un'alba in questo inverno che sembra non finire mai.

Visioni apocalittiche? Incubi ad aria condizionata? Chi non crede a quel che vede ogni giorno, può leggere qualche cifra arida, ma veritiera.

L'Italia dei costruttori è stata sepolta dall'Italia dei distruttori, quell'Italia complottarda e riottosa che maledice il presente, ma che teme il futuro. Lo specchio tragico di questo mondo devastato dai falsi profeti è quello che una volta veniva chiamato il motore dello sviluppo, la leva della crescita, il grande acceleratore che a ogni dieci euro investiti riesce a produrne quattordici, vera cornucopia di ogni società affluente. L'industria delle costruzioni vale ancor oggi 160 miliardi di euro e occupa un milione di persone, bloccata da anni è finita in un vicolo cieco dal quale non riesce a uscire. Cinque delle prime dieci società sono insolventi, in concreto hanno già avviato procedure concorsuali e di ristrutturazione del debito. E tra loro troviamo alcuni dei nomi più famosi. C'è la Astaldi che era la numero due dopo Salini-Impregilo, ci sono le Condotte che un tempo appartenevano all'Iri, c'è la Grandi Lavori, c'è la Trevi e c'è persino la mitica Cmc, antica Cooperativa muratori e cementieri di Ravenna, che affonda nella storia del movimento operaio e socialista. I costruttori rossi, così come quelli neri, azzurri o multicolori non hanno resistito alla grande crisi e al blocco dei lavori. Sono fermi progetti per 36 miliardi di euro, 26 dei quali già annunciati dall'Anas e dalle Ferrovie dello stato, strade ponti, tunnel, nuovi binari. Riaprire i cantieri è stato il mantra recitato dagli ultimi governi, quello gialloverde lo ha scritto nel suo programma, ma poi s'è impantanato. Il decreto annunciato da mesi come imminente, viene rinviato ogni volta che sembra sul punto di entrare in Consiglio dei ministri.

Tagliare i lucchetti e spalancare i cancelli è un passaggio decisivo, ma non basta a rimettere in moto una filiera che rappresenta l'otto per cento del prodotto lordo italiano. In tutto il mondo le grandi opere le fanno le grandi imprese, in Italia invece il settore è polverizzato in mezzo milione di aziende, solo dieci delle quali hanno un fatturato superiore a un miliardo di euro. Ovunque il lavoro domestico fa da complemento e supporto ai progetti internazionali. I maggiori gruppi europei, dal francese Vinci allo svedese Skanska, dallo spagnolo Acs all'altro francese Bouygues e al tedesco Hochtief, solo per citare i primi cinque, possono contare per una media del 40 per cento su lavori eseguiti in patria. Per il maggior co struttore italiano, Salini Impregilo, questa quota è di appena il 10 per cento. L'altro problema riguarda la taglia. Vinci ha un fatturato di oltre 40 miliardi di euro, Skanska di 16 miliardi e le altre sono nel mezzo. Salini Impregilo supera di poco i 6 miliardi e Astaldi è a circa la metà. Crescere, dunque, è un imperativo. E l'occasione viene proprio dalla crisi, una distruzione che nessuno avrebbe voluto, ma che può diventare creatrice.

Perché dalle ceneri sta per nascere una nuova realtà.

Si chiama Progetto Italia, non operazione Fenice, ma il senso è lo stesso. Facciamo un piccolo passo indietro. Le cinque imprese che non ce l'hanno fatta, non sono scatole vuote.

E'vero, l'intero comparto ha accumulato debiti per circa cinque miliardi di euro con le principali banche italiane, ma c'è un portafoglio ordini di tutto rispetto che può raggiungere i 60 miliardi di euro. Quando la Astaldi ha alzato bandiera bianca, la Salini Impregilo s'è fatta avanti, ma si è resa conto che la società romana era "un boccone troppo grande per noi da soli", ammette Pietro Salini. Anziché desistere l'amministratore delegato ha rilanciato, cominciando a lavorare a una operazione più ambiziosa. Insieme a Massimo Ferrari, general manager corporate e finance, consigliere di amministrazione di Tim, Equita e Cairo, che da anni dirige la parte finanziaria del gruppo, è stato messo a punto un piano per coinvolgere tutti i protagonisti, i costruttori innanzitutto e i finanziatori come le banche, che rischiano di perdere i prestiti erogati.

Individuato il perimetro e il fabbisogno, bisognava coinvolgere molti soggetti istituzionali. A questo punto è entrata in scena la Cassa depositi e prestiti. L'amministratore delegato Fabrizio Palermo si è detto favorevole a "una operazione di sistema che faccia nascere un polo delle grandi opere". Ha dato il suo consenso anche Giuseppe Guzzetti (per conto delle fondazioni di origine bancaria socie di minoranza nella Cdp) il quale invece non ha mai visto di buon occhio operazioni in perdita come il salvataggio dell'Alitalia. Ma nelle costruzioni, più che salvare il vecchio di tratta di creare qualcosa di nuovo. Di che si tratta in concreto?

Salini Impregilo ha avviato già una prima integrazione acquisendo alcune aziende (Astaldi, Seli Overseas e Cossi), i progetti delle società in stato fallimentare (Condotte, Città della Salute, Iricav) e altri in combinazione con società che sono ancora in buona salute come Pizzarotti, Icm e Vianini. Un processo che di qui al 2021 mette insieme un portafoglio ordini di 61 miliardi di euro (33 dei quali portati da Salini Impregilo) con un fatturato di 14 miliardi e un patrimonio di 4 miliardi. I benefici sarebbero molti: salvaguardare mezzo milione di posti di lavoro nei prossimi tre anni, riattivare i cantieri bloccati in 14 regioni; mettere in sicurezza i contratti italiani previsti per i prossimi anni e calcolabili in circa sei miliardi di euro; innescare un effetto volano perché per ogni miliardo di grandi opere ce ne sono circa tre di opere indirette e accessorie; bloccare le ulteriori sofferenze per il sistema finanziario (c'è una esposizione complessiva di 92 miliardi, 26 dei quali sono crediti deteriorati), contribuire allo sviluppo del pil per almeno 0,20,3 punti percentuali.

Obiettivi ambiziosi, per realizzare i quali deve nascere un soggetto che abbia un assetto nuovo e anche un nome nuovo. In attesa di trovare qualcosa che abbia un appeal sul mercato mondiale, la struttura del gruppo è stata illustrata anche al ministro dell'Economia Giovanni Tria. Il passaggio fondamentale è un aumento di capitale pari a 600 milioni di euro. La famiglia Salini si impegna a investire 50 milioni, la Cdp 300 milioni e le ban che 150 milioni, mentre 100 milioni verrebbero da un consorzio di garanzia guidato da Merrill Lynch. Quanto al prezzo di sottoscrizione delle azioni, sarebbe il maggiore tra il prezzo risultante dal valore delle prenotazioni di mercato e quello fissato dal consorzio di garanzia. Se tutto va in porto come previsto la nuova società vedrebbe Salini Costruzioni scendere al 44,9 per cento, la Cdp partecipare con il 22,4 per cento, le banche creditrici con l'11 per cento e il restante 21,4 per cento al mercato. Al sistema bancario verrebbe chiesta una linea di credito di 700 milioni di euro: 200 per rifinanziare la Astaldi; 250 per ri finanziare l'indebitamento della Salini in scadenza nei prossimi tre anni; 250 a sostegno del Progetto Italia (investimenti ed eventuali necessità).

Un impegno non indifferente, che consente però alle banche di rientrare da una esposizione che oggi come oggi arriva a 4 miliardi di euro. La presidenza andrà a una personalità dal profilo internazionale indicata dalla Cdp, Pietro Salini sarà amministratore delegato, nel consiglio verranno rappresentati i principali azionisti e, in una forma che si sta ancora definendo, anche le società assorbite.

Questa è l'impalcatura finanziaria e industriale, tutto è pronto sulla carta, a meno che la politica non ci metta lo zampino. E la politica o meglio un mélange perverso di ideologia antisviluppista e di interessi contrastanti, è ampiamente responsabile dell'effetto domino che ha travolto l'industria delle costruzioni.

Prendiamo le tre vittime più illustri. La prima a cadere è la società Condotte d' acqua, che a gennaio dello scorso anno ha chiesto il concordato in bianco per bloccare le istanze di fallimento dei creditori, a cominciare dalle banche verso le quali la società è esposta per quasi 800 milioni, e dai fornitori ai quali deve circa un miliardo di euro. All'azienda non mancano i lavori, il portafoglio ordini è arrivato a sei miliardi di euro, ma non riesce a incassare dalle pubbliche amministrazioni, mentre le ope re realizzate o in corso di realizzazione sono bloccate (dal Mose alla città della Salute a Sesto San Giovanni, dall'alta velocità di Firenze al tunnel del Brennero). Intanto s'abbatte sui vertici la mannaia giudiziaria: viene arrestato Duccio Astaldi, presidente del consiglio di gestione, accusato di corruzione dalla procura di Messina per l'appalto dell'autostrada Siracusa -Gela. La società era stata fondata nel 1880 e quotata alla Borsa di Milano quattro anni dopo. Rimasta fino al 1970 nelle mani del Vaticano e della Bastogi, il vecchio salotto buono del capitalismo italiano, diventa la vera regina delle opere pubbliche (tra l'altro sarà lei a costruire in quattro anni il ponte Morandi aperto nel 1967) e su di essa si getta come un falco Michele Sindona che la piazza all'Iri, intascando un bel gruzzolo. Privatizzata nel 1997, viene acquistata dal costruttore romano Paolo Bruno. Alla sua morte nel 2013 la proprietà passa alla figlia Isabella, sposata a Duccio An saldi che nel 2000 aveva lasciato l'azienda di famiglia passata sotto il controllo del cugino Paolo. Ma il colpo di grazia è venuto dai crediti verso la pubblica amministrazione: 867 milioni di euro a fronte di un patrimo nio della società di 214 milioni e a disponibilità liquide di soli 149 milioni. Cantieri bloccati, opere che non finiscono mai, varianti su varianti, pagamenti che non arrivano. Per la Nuvola di Fuksas a Roma la Condotte ha vinto una causa contro la Eur Spa che deve ancora versare 190 milioni di euro.

Il 28 settembre tocca alla Astaldi annunciare che intende accedere al concordato preventivo. La situazione finanziaria è precipitata dopo il mancato aumento di capitale da 300 milioni approvato dall'assemblea degli azionisti, quindi dalla famiglia Astaldi, che possiede quasi il 53 per cento del capitale sociale e oltre il 67 per cento dei diritti di voto. La ricapitalizzazione si inseriva all'interno di un più ampio piano di rafforzamento da oltre due miliardi. Il consorzio di garanzia aveva posto come condizione l'arrivo di una offerta vincolante per la cessione da parte di Astaldi della propria quota del 33,3 per cento nella concessione per il terzo ponte sul Bosforo. Ma la crisi della Turchia ha mandato tutto a monte. Erdogan non basta, ci si mette anche Maduro. In Venezuela l'esposizione lorda di Astaldi verso la società pubblica Instituto de Ferrocarriles del Estado era arrivata a 433 milioni. La famiglia Astaldi avrebbe potuto decidere comunque l'aumento di capitale, anche senza consorzio di garanzia, però non se l'è sentita. Nella trappola delle opere pubbliche cade anche la Cooperativa muratori e cementieri di Ravenna. Con una riduzione dei volumi produttivi (da 549 a 514 milioni di euro) e una caduta degli utili, la Cmc si è trovata a corto di denaro liquido, mentre la posizione finanziaria netta è peggiorata di 4,8 milioni rispetto all'anno precedente. Finché la Unicredit, principale banca creditrice non ha chiesto di onorare i debiti. Anche le coop rosse, dunque, alzano bandiera bianca.

Lo sblocca cantieri non potrà riparare ai guasti già fatti. Può impedire che se ne facciano altri? Il provvedimento è sotto il tiro incrociato. La Corte dei Conti vede come rischioso l'affidamento diretto per i contratti sotto la soglia dei 200 mila euro. Il servizio bilancio del Senato contesta un problema di coperture delle nomine dei commissari straordinari che dovrebbero sveltire le pratiche. L'Ance, l'associazione dei costruttori, esprime preoccupazione per le misure adottate che non agiscono sulle fasi a monte della gara mentre rischiano di sacrificare principi di correttezza e trasparenza con il modello del "su percommissario" che può derogare a tutte le procedure. La Confidustria denuncia lo stallo delle opere già in corso e chiede l'adozione dei provvedimenti attuativi. I sindacati lamentano che le regole si applicheranno ai bandi futuri non a quelli attualmente in stallo e denunciano la minore trasparenza e il ridimensionamento del ruolo dell'Autorità anticorruzione la quale, in una relazione di 24 pagine, ha messo in discussione l'intero provvedimento. Ma è l'impianto di fondo a lasciare seri dubbio sulla sua efficacia. Altro che deregulation reaganiana. Si era partiti dall'esigenza di sfoltire e semplificare all'insegna dell'efficienza, invece si favorisce la frantumazione delle imprese, un sistema di appalti opaco, una discrezionalità dei comuni non attrezzati ad analizzare davvero la qualità degli investimenti, con il rischio di mance clientelari che scendono giù giù per li rami. Sarebbe, però, un peccato di formalismo giuridico pensare che il vizio fondamentale s'annidi nelle procedure. Le norme possono essere sempre migliorate, ma che dire di Danilo Toninelli? Di fronte a un risultato elettorale in Piemonte chiaramente pro Tav, il ministro delle Infrastrutture replica che per lui non cambia nulla, quindi l'alta velocità non si fa. Orgoglio? No, solo pregiudizio, quello stesso che ha silurato l'industria delle costruzioni e contro il quale dovrà battersi anche il Progetto Italia.
 
Articolo interessante anche se non porta informazioni nuove e per certe cose un pò retorico. Magari sarebbe stato bello se tra le cause del disastro avessero indicato anche i giochetti che queste imprese di costruzione fanno per aggiudicarsi gli appalti. Nel nostro caso basta citare le inchieste in corso in Nepal, Kenya, Sudafrica e giusto per citare le ultime e più note.
 
Corriere di Romagna 02/06/16

La Cmc aggiusta il piano e cerca commesse all'estero - di ALESSANDRO CICOGNANI

RAVENNA Nuove commesse in vista per la Cooperativa muratori e cementisti di Ravenna. Dopo la crisi annunciata l'anno scorso e la presentazione di un piano concordatario che ha richiesto mesi e mesi di lavoro, il colosso dell'edilizia sta iniziando a risollevarsi.
Al momento c'è ancora massimo riserbo su quali siano le opere per le quali la Cmc ha deciso di partecipare alla gara, con l'o biettivo chiaramente di vincerne l'appalto.
Tuttavia nelle stanze dei bottoni di via Trieste tutti sono al lavoro per rimettere in pista la cooperativa, aggiudicandosi commesse di valore che possano garantire delle entrate. Una cosa però è certa: gli occhi della Cmc al momento sono puntati esclusivamente su commesse all'estero, dato che in Italia al momento le grandi opere sono sostanzialmente bloccate e possibili nuovi grandi cantieri non sono in vista.
Nel frattempo, mercoledì gli avvocati di Cmc erano in tribunale a Ravenna, per depositare una integrazione al piano di concordato presentato l'8 aprile scorso. Il 7 maggio infatti, dopo aver letto il documento redatto dagli advisor della cooperativa ravennate, il giudice ha chiesto che venissero fatti alcuni chiarimenti rispetto alla metodologia di pagamento dei debitori.
Le prossime tappe I chiarimenti chiesti riguardavano in particolare un approfondimento per ciò che concerne le modalità e soprattutto le tempistiche di pagamento dei creditori privilegiati e chirografari.
Precisazioni sui cui gli avvocati si sono immediatamente messi al lavoro e che, appunto, mercoledì scorso hanno depositato in tribunale prima dell'udienza fissata all'inizio della prossima settimana, al termine della quale il giudice Alessandro Farolfi e il collegio nominato dovranno decidere se ammettere o meno la Cmc alla procedura concorsuale così come da loro presentata.
Qualora dovesse arrivare il sì da parte del tribunale, è presumibile pensare che subito dopo l'estate venga organizzata l'adunanza dei creditori per votare il piano concordatario e - in caso di esito positivo - procedere alla successiva omologa.
I debiti Nessuna novità invece per quanto riguarda le modalità di pagamento dei creditori. In particolare i privilegiati (come dipendenti, artigiani, e soprattutto lo Stato) verranno pagati nel 2020 con il cash flow derivante dall'attività svolta dalla cooperativa.
In totale i creditori privilegiati vantano verso Cmc circa 100 milioni di euro, la maggior parte dei quali sono debiti di natura tributaria. Non risultano invece tra i privilegiati le banche, in quanto - nonostante la crisi - il colosso ravennate negli anni non ha mai dovuto firmare pegni o ipoteche con gli istituti di credito.
I restanti quasi 2 miliardi di euro di debiti in mano a creditori chirografari - le banche in questo caso detengono la fetta più consistente - verranno pagati a partire dal 2021 attraverso strumenti finanziari partecipativi.
Ossia si spartiranno in via percentuale la totalità degli utili distribuiti ogni da Cmc fino a chiusura del debito.
Dismissioni Infine la Cooperativa muratori e cementisti sembrerebbe aver trovato un accordo per vendere il 16 per cento delle quote della Di Fazio Industries Inc con sede a New York. Al momento la Cmc controlla l'azienda edile americana che, nonostante sia in ottima salute, fatica a trovare accesso al credito per via del concordato presentati dalla sua controllata ravennate. La decisione di scendere sotto la percentuale di controllo permetterebbe quindi a Cmc due immediate utilità, la prima di incassare circa 6 milioni di euro dallo smobilizzo delle quote e la seconda di far sì che la società d'oltreoceano si rimetta in moto, garantendo così entrare anche alla cooperativa di via Trieste.
 
Articolo scritto più con la lingua che con le mani. Nessuna citazione sulle importanti commesse perse proprio all'estero ed in Italia e delle inchieste in corso, per non parlare della confusione su chi sono i creditori privilegiati e chirografari, inoltre non mi risulta che del passivo citato le banche siano coloro che più devono avere, non per niente questi furbastri della CMC nel tempo hanno traslato i debiti che avevano con le banche verso gli obbligazionisti.
 
Corriere di Romagna 06/06/2019

Cmc, ieri l'udienza per l'ammissione del concordato preventivo - di ALESSANDRO CICOGNANI
La soluzione per il risanamento della cooperativa ora è in mano ai giudici
RAVENNA Dentro gli uffici della Cmc è scattato il primo e importante conto alla rovescia. Davanti al giudice della sezione fallimentare ieri mattina c'erano tutti: gli avvocati del colosso ravennate dell'edilizia, i commissari nominati dal Tribunale per la redazione del piano concordatario e, come previsto per legge in questi casi, anche il pubblico ministero Lucrezia Ciriello, il cui compito sarà quello di redigere un parere sul piano presentato dalla cooperativa e, soprattutto, controllare che dietro il dissesto del gigante non vi siano reati di natura fallimentare.
Ipotesi quest'ultima- è giusto sottolinearlo - che al momento non sembra essere stata valutata.
In circa un'ora di udienza davanti al giudice Alessandro Farolfi le parti in causa hanno spiegato passo per passo il piano di concordato redatto per Cmc e depositato in tribunale lo scorso 8 aprile. E poi modificato il 29 maggio in seguito ad alcune richieste di integrazione arrivate direttamente dal tribunale. Scopo dell'udienza: l'ammissione della cooperativa di via Trieste al concordato in bianco richiesto a inizio dicembre dell'anno scorso. Un tassello non solo importante, ma addirittura fondamentale di tutto il progetto di risanamento dell'azienda. Da ieri lapallaè quindi passata nelle mani del collegio giudicante, che già all'inizio della prossima settimana potrebbe uscire con la propria decisione.
Qualora il piano dovesse essere approvato - come sperano nelle stanze dei bottoni di via Trieste per Cmc vorrebbe dire aver superato positivamente il primo dei tre passaggi fondamentali previsti dal concordato preventivo. Il prossimo, previsto nel caso per settembre, dovrebbe essere l'adunanza dei creditori, chiamati in quel caso a votare o meno il loro sostegno al piano. Passaggio a cui poi seguirebbe l'effettiva omologa e, di conseguenza, la messa in atto del piano concordatario.
Come più volte ricostruito, il piano presentato da Cmc si articola sostanzialmente in tre punto fondamentali. Il primo e più importante riguarda la copertura totale del debito accumulato negli anni.
Circa 2,1 miliardi di euro, di cui 100 milioni in mano a creditori privilegiati (dipendenti, artigiani e soprattutto debiti di natura tributaria) e i restanti 2 miliardi in capo a creditori chirografari (su cui spiccano le banche). Per quanto riguarda i primi verrebbero pagati il prossimo anno con il cash flow derivante dalla gestione caratteristica, mentre gli altri con strumenti finanziari partecipativi a partire dal 2021. Il secondo tassello riguarda invece la continuità aziendale e le modalità con cui Cmc ritiene di tornare a fare cassa. In questo caso da una parte si parla di dismissione di asset - come il 16% dell'americana Di Fazio Industries, oggi controllata dalla cooperativa ravennate - e dall'altra di nuove commesse, su cui il colosso edile è già al lavoro per acquisirne alcune all'estero. Infine il tema lavoratori, per i quali al momento nel piano di concordato non è previsto alcun licenziamento.
 
Corriere di Romagna 06/06/2019

Cmc, ieri l'udienza per l'ammissione del concordato preventivo - di ALESSANDRO CICOGNANI
La soluzione per il risanamento della cooperativa ora è in mano ai giudici
RAVENNA Dentro gli uffici della Cmc è scattato il primo e importante conto alla rovescia. Davanti al giudice della sezione fallimentare ieri mattina c'erano tutti: gli avvocati del colosso ravennate dell'edilizia, i commissari nominati dal Tribunale per la redazione del piano concordatario e, come previsto per legge in questi casi, anche il pubblico ministero Lucrezia Ciriello, il cui compito sarà quello di redigere un parere sul piano presentato dalla cooperativa e, soprattutto, controllare che dietro il dissesto del gigante non vi siano reati di natura fallimentare.
Ipotesi quest'ultima- è giusto sottolinearlo - che al momento non sembra essere stata valutata.
In circa un'ora di udienza davanti al giudice Alessandro Farolfi le parti in causa hanno spiegato passo per passo il piano di concordato redatto per Cmc e depositato in tribunale lo scorso 8 aprile. E poi modificato il 29 maggio in seguito ad alcune richieste di integrazione arrivate direttamente dal tribunale. Scopo dell'udienza: l'ammissione della cooperativa di via Trieste al concordato in bianco richiesto a inizio dicembre dell'anno scorso. Un tassello non solo importante, ma addirittura fondamentale di tutto il progetto di risanamento dell'azienda. Da ieri lapallaè quindi passata nelle mani del collegio giudicante, che già all'inizio della prossima settimana potrebbe uscire con la propria decisione.
Qualora il piano dovesse essere approvato - come sperano nelle stanze dei bottoni di via Trieste per Cmc vorrebbe dire aver superato positivamente il primo dei tre passaggi fondamentali previsti dal concordato preventivo. Il prossimo, previsto nel caso per settembre, dovrebbe essere l'adunanza dei creditori, chiamati in quel caso a votare o meno il loro sostegno al piano. Passaggio a cui poi seguirebbe l'effettiva omologa e, di conseguenza, la messa in atto del piano concordatario.
Come più volte ricostruito, il piano presentato da Cmc si articola sostanzialmente in tre punto fondamentali. Il primo e più importante riguarda la copertura totale del debito accumulato negli anni.
Circa 2,1 miliardi di euro, di cui 100 milioni in mano a creditori privilegiati (dipendenti, artigiani e soprattutto debiti di natura tributaria) e i restanti 2 miliardi in capo a creditori chirografari (su cui spiccano le banche). Per quanto riguarda i primi verrebbero pagati il prossimo anno con il cash flow derivante dalla gestione caratteristica, mentre gli altri con strumenti finanziari partecipativi a partire dal 2021. Il secondo tassello riguarda invece la continuità aziendale e le modalità con cui Cmc ritiene di tornare a fare cassa. In questo caso da una parte si parla di dismissione di asset - come il 16% dell'americana Di Fazio Industries, oggi controllata dalla cooperativa ravennate - e dall'altra di nuove commesse, su cui il colosso edile è già al lavoro per acquisirne alcune all'estero. Infine il tema lavoratori, per i quali al momento nel piano di concordato non è previsto alcun licenziamento.

E' interessante che vi sia anche un controllo della magistratura per la rilevanza di eventuali reati fallimentari. Devo dire che per esperienza personale di solito in questa fase i controlli sono piuttosto superficiali e a meno di cose talmente palesi da essere sotto gli occhi di tutti difficilmente viene scoperto e scatta il reato. Queste cose vengono normalmente a galla con controlli fatti da un curatore fallimentare che va a fondo delle cose e passa la documentazione alla magistratura penale, oltre che agire sul piano civile contro gli amministratori. Per quello che ci riguarda dubito che siano stati commessi dei reati penali e ne manco irregolarità da aggredire civilmente nella fase di emissione dei bond, questi l'hanno pensata e portata molto bene avanti la cosa, così da fregarci legalmente.
 
Spiace proprio pensarlo, dirlo, farlo....
Ma qui ci voleva veramente un Troian...
E altro non dico...
Saluti e buon fine settimana
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto