Macroeconomia Crisi finanziaria e sviluppi (1 Viewer)

stockuccio

Guest
non solo la finanza ma anche la società è da rifare da cima a fondo ... lo ripeto da tanto tempo che ormai son pure stanco, l'ultima volta al post 1597, il modello sociale è finito

http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=36415 ... certo ... dice relazione appassionata di Draghi ... che ci posso fare ? :D ... ma almeno accenna alla crisi delle 'soluzioni tipiche' :)
 

TheLondoner

Forumer storico
è uscito il terzo aggiornamento del confronto tra oggi e il '29 http://www.voxeu.org/index.php?q=node/3421
in sintesi in genere è peggio oggi ... solo la produzione darebbe segnali di speranza ma tocca vedere se ci sarà chi compra il prodotto o si incrementeranno i magazzini

se la legge degli sbocchi fosse valida ... ma dubito che Say c'azzeccherà con il consumatore occidentale disoccupato/precario alle corde...
 

ilfolignate

Forumer storico
Silenzio, parla Lui:

....piccola "grattatina" :lol::lol::lol:

CERNOBBIO (MF-DJ)--"Ci aspettano due o tre anni di crescita anemica al di sotto del tasso pre-crisi del 2% in Europa e del 3% in Usa con notevoli effetti negativi sul mondo del lavoro". Lo ha affermato Nouriel Roubini, economista della Stern School of Business di New York in una conferenza stampa a margine del Workshop Ambrosetti di Cernobbio. "La disoccupazione e' destinata a rimanere alta, sopra il 10% negli Usa e vicino al 10% nelle altre economie avanzate", con pesanti ricadute sul tessuto sociale. Resta vivo il rischio di una ricaduta nella recessione, con crescita a W nel caso si commettessero "errori nella strategia di Uscita". Se gli stimoli fiscali e monetari dovessero essere ritirati prima del dovuto "potremmo fare la fine del Giappone nel periodo 1998-2000, quando venne introdotta una tassa sui consumi, con il costo del denaro vicino allo zero e la ricaduta in un altro periodo di crisi". Al contrario, i tassi sui titoli di Stato crescerebbero alle stelle "ingolfando" la ripresa. L'economista indica pero' "una possibile soluzione al rebus: quella di impegnarsi per garantire la sostenibilita' fiscale a medio termine. I governi dei diversi Paesi dovrebbero iniziare al piu' presto ad approvare misure per il taglio della spesa pubblica e l'aumento delle tasse, per poi metterle in pratica colo a fine 2010 o nel 2011. Cosi' facendo, i governi guadagnerebbero in credibilita' senza arrischiare politiche restrittive gia' in questa fase". Centrale secondo Roubini e' anche il tema dei compensi ai banchieri, inteso "non come una questione di moralita'", ma come un sistema di compensi e bonus che incentiva "l'eccessiva propensione al rischio delle istituzioni finanziarie". Ora, ha osservato Roubini, e' necessario riallineare gli interessi degli operatori sul mercato con quelli do il rischio di una ricaduta nella recessione, con crescita a W nel caso si commettessero "errori nella strategia di Uscita". Se gli stimoli fiscali e monetari dovessero essere ritirati prima del dovuto "potremmo fare la fine del Giappone nel periodo 1998-2000, quando venne introdotta una tassa sui consumi, con il costo del denaro vicino allo zero e la ricaduta in un altro periodo di crisi". Al contrario, i tassi sui titoli di Stato crescerebbero alle stelle "ingolfando" la ripresa. L'economista indica pero' "una possibile soluzione al rebus: quella di impegnarsi per garantire la sostenibilita' fiscale a medio termine. I governi dei diversi Paesi dovrebbero iniziare al piu' presto ad approvare misure per il taglio della spesa pubblica e l'aumento delle tasse, per poi metterle in pratica colo a fine 2010 o nel 2011. Cosi' facendo, i governi guadagnerebbero in credibilita' senza arrischiare politiche restrittive gia' in questa fase". Centrale secondo Roubini e' anche il tema dei compensi ai banchieri, inteso "non come una questione di moralita'", ma come un sistema di compensi e bonus che incentiva "l'eccessiva propensione al rischio delle istituzioni finanziarie". Ora, ha osservato Roubini, e' necessario riallineare gli interessi degli operatori sul mercato con quelli degli azionisti e della societa'". "Moderatamente positivo" e' invece il giudizio sulla politica economica dell'amministrazione Obama, grazie a "politiche economiche che hanno evitato il rischio di depressione a L. E se oggi discutiamo quale sara' la forma della ripresa e non quella di una possibile depressione va dato credito all'amministrazione Obama". Ma, spiega Roubini, bisogna fare attenzione a non aumentare il carico fiscale prima che la ripresa si sia fatta piu' forte, "alla fine del 2011". Nonostante i segnali di ripresa, resta intatta la minaccia di una riduzione della domanda aggregata su scala globale, che puo' deprimere il ritmo della crescita. Cruciale e' la questione del risparmio negli Usa. Roubini vede di buon occhio un aumento del tasso di risparmio degli americani, definito "necessario", che pero' "deve avvenire gradualmente, ad un tasso inferiore.
 

mostromarino

Guest
VERTICE DEL G20
ASPETTANDO LE NUOVE REGOLE DELLA FINANZA
ALFONSO TUOR

Sta entrando nel vivo la discussione sulle nuove regole del sistema finanziario che devono essere disegnate in vista del vertice del G20 in programma questo mese negli Stati Uniti. In vista della riunione preparatoria dei ministri delle Finanze che si tiene proprio oggi a Londra i leader di Germania, Francia e Gran Bretagna hanno reso pubblica una dichiarazione congiunta in cui si chiede l’adozione di regole coattive sui bonus pagati nel settore bancario.
Angela Merkel, Nicolas Sarkozy e Gordon Brown chiedono l’adozione di misure valide a livello internazionale, affinché «le banche non possano approfittare della diversità delle norme per giocare un Paese contro un altro».

La chiara presa di posizione dei tre leader europei si propone di dare una risposta ad un’opinione pubblica irritata per il comportamento di un settore bancario che ha immediatamente riadottato le pratiche precedenti la crisi, nonostante abbia potuto evitare il collasso solo grazie agli aiuti miliardari devoluti dagli Stati.
Questa dichiarazione congiunta si propone anche di presentare un fronte comune europeo in grado di esercitare una forte pressione sugli Stati Uniti che sono riluttanti a definire regole precise sul sistema di retribuzione delle banche.

Le proposte europee rischiano comunque di essere in realtà un «diversivo populista», come ha dichiarato Lord Adair Turner, responsabile britannico dell’autorità di sorveglianza sui mercati finanziari.

I motivi sono presto spiegati.

Innanzitutto le proposte sono solo apparentemente innovative e non sono sufficientemente incisive. Infatti la soluzione di versare una parte dei bonus solo dopo un certo lasso di tempo in base ai risultati conseguiti dalla banca nell’arco di più anni è già stata adottata da numerosi istituti. Quindi, si tratterebbe di codificare una prassi non ancora universale, ma sempre più diffusa. Ma, ed è il punto più importante, la proposta non centra il cuore del problema, che è rappresentato da un settore bancario diventato sempre più sovradimensionato e sempre più propenso ad assumere maggiori rischi.

Questo fenomeno è riconducibile principalmente a due cause:

in primo luogo requisiti di capitale insufficienti per le attività tradizionali (è il famoso rapporto tra mezzi propri e somma di bilancio - il «leverage ratio» - che in Svizzera ammontava al 2%) e quelli praticamente inesistenti sulla enorme leva con cui vengono condotte le operazioni con i mezzi propri, per cui le grandi banche internazionali sono in realtà dei grandi Hedge Fund.

La seconda causa è l’implicita garanzia statale di cui godono le grandi banche, poiché non possono essere lasciate fallire perché questo metterebbe a rischio l’intera economia.

Tale garanzia, che è diventata esplicita in questa crisi, permette alle banche di finanziarsi a costi inferiori rispetto a quelli di altre aziende.

L’eccessivo livello di rischio che gli istituti di credito si assumono anche grazie a questo salvagente statale è all’origine della redditività straordinaria del settore (negli Stati Uniti gli utili delle banche prima dello scoppio della crisi ammontavano al 36% dell’intera corporate America).

Occorre dunque rimettere mano alle regole per ovviare a ciò che il segretario al Tesoro americano Timothy Geithner ha sintetizzato con queste parole: «Le maggiori istituzioni finanziarie hanno mezzi propri troppo bassi, dipendono troppo da finanziamenti a breve termine per loro natura instabili e il loro sistema di retribuzione premia eccessivamente l’assunzione di maggiori rischi.

Dunque occorre disegnare delle regole che richiedano requisiti di capitale maggiori, che garantiscano non solo la stabilità della singola istituzione ma dell’intero sistema».

È chiaro che l’aumento dei requisiti di capitale ha l’immediato effetto di ridurre la redditività del settore. Ed è anche per questo motivo che le due grandi banche svizzere si oppongono alla proposta della nostra Banca nazionale di aumentare al 5% (quindi, in modo sostanziale) il rapporto tra mezzi propri e somma di bilancio.

L’esperienza dimostra però che anche le migliori regole vengono spesso aggirate. Per questo motivo occorre incidere sull’implicita garanzia statale di cui godono le banche. La nostra Banca nazionale ha proposto che le banche siano organizzate in modo che sia possibile salvare le attività redditizie e necessarie all’economia e liquidare quelle fallimentari. Questa proposta è stata ripresa tra gli altri anche da Lord Adair Turner. Questo punto è fondamentale: gli azionisti, i detentori delle obbligazioni e le controparti di una banca vengono in questo modo incitati a controllare attentamente il livello di rischio che assume un istituto, poiché potrebbero vedere azzerati i loro investimenti.

Occorre metter mano anche ai prodotti creati dalla nuova ingegneria finanziaria, valutandone i costi e i benefici non per il solo settore finanziario, ma per l’intera economia.

Dovrebbero essere vietati alcuni strumenti, come i Credit Default Swap, definiti giustamente dal finanziere americano George Soros «armi di distruzione economica».

Altri (come i derivati) dovrebbero sottostare a specifici controlli ed essere scambiati in mercati regolamentati e non come avviene oggi tra le banche, con la conseguenza, da una parte, che spesso non hanno un prezzo o un prezzo certo, e dall’altra, che garantiscono alle grandi banche di investimento una redditività eccezionale a danno degli investitori.

Il dibattito su questi temi è in pieno corso.
Vi è motivo però di dubitare che le decisioni dei Grandi saranno all’altezza delle sfide che la crisi finanziaria ha impietosamente messo sotto gli occhi di tutti. Il potere di influenza politica delle banche, soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, è ancora tale da rendere improbabile una vera e profonda riforma delle regole del sistema finanziario
 

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