Macroeconomia Crisi finanziaria e sviluppi

COMMENTO
Non basta limitare i bonus dei manager
Alfonso Tuor
Sta per finire l’era dell’avidità dei manager che ha fatto precipitare l’economia mondiale nel marasma attuale. Il segnale è venuto dal presidente americano Barack Obama. Mercoledì scorso il capo della Casa Bianca ha comunicato che i top manager delle istituzioni finanziarie aiutate dal Governo statunitense non potranno avere una retribuzione superiore al mezzo milione di dollari l’anno. Obama ha spiegato che l’amministrazione «non è contraria a premiare chi ha raggiunto il successo, ma non può accettare che vi siano top manager che ricevono premi (bonus, ndr.) nonostante abbiano fallito, specialmente quando quelle retribuzioni sono finanziate dal contribuente americano». Questa mossa del presidente americano è dovuta alla reazione dell’opinione pubblica alle notizie che le banche di Wall Street beneficiarie degli aiuti pubblici hanno deciso di distribuire 20 miliardi in bonus, che il numero uno della Merrill Lynch, John Thain, si è fatto fare un ufficio personale del costo di 1,4 milioni di dollari e che Vikram Pandit, CEO di Citigroup, banca che ha ricevuto più di 385 miliardi dallo Stato, ha ordinato un jet da 60 milioni di dollari. Come ha detto Barack Obama, è una «vergogna» che dimostra «l’apice di irresponsabilità» cui sono giunti i vertici delle grandi banche.
La decisione di Obama è comunque soprattutto dovuta alla consapevolezza che il nuovo pacchetto di provvedimenti teso a salvare dalla bancarotta le banche americane, che verrà presentato la settimana prossima, non avrebbe alcuna possibilità di superare l’esame del Congresso se non fosse accompagnato da misure chiare e non facilmente aggirabili sulle retribuzioni dei «plutocrati di Wall Street». Questa decisione non è ancora comunque abbastanza incisiva, poiché si limita ai 25 massimi dirigenti, e non tiene conto che retribuzioni stratosferiche sono comuni anche a livello di quadri intermedi e di trader delle banche. Comunque, come hanno dichiarato alcuni dirigenti di casse pensioni americane, «rafforza la richiesta di un’ampia riforma del sistema di remunerazione dei manager». Questa decisione – ha scritto ieri il Financial Times – «è destinata a spingere al ribasso le remunerazioni dei manager, poiché nessun Consiglio di Amministrazione, nemmeno di società non finanziarie che non ricevono aiuti statali, vorrà mettere a rischio la sua reputazione per aver dato libero corso all’avidità dei manager».
La revisione di queste pratiche non è il frutto di una spinta populista, ma è la risposta adeguata ad un sistema di retribuzioni che premia gli obiettivi di breve termine e che ha contribuito ad assumere sempre maggiori posizioni a rischio, premiando i comportamenti irresponsabili dei grandi banchieri. La visione di breve termine e l’indifferenza per le sorti future delle società vengono ulteriormente accentuate dai «paracaduti d’oro» che prevedono indennità milionarie nei casi di licenziamento. Barack Obama ha deciso che queste clausole contrattuali non varranno per gli istituti che beneficieranno degli aiuti statali.
È auspicabile che la decisione statunitense faccia scuola anche negli altri Paesi, in cui lo Stato è stato chiamato a usare i soldi dei contribuenti per salvare le banche. In Svizzera, come noto, Consiglio federale e Parlamento non hanno voluto imporre alcuna condizione all’aiuto plurimiliardario concesso ad UBS. Hanno infatti solo chiesto che il Consiglio di amministrazione della maggiore banca svizzera preparasse un nuovo sistema di remunerazione. È presto per sostenere che la decisione statunitense metta il punto finale agli eccessi degli ultimi decenni. È comunque auspicabile che essa avvii una riforma generale delle retribuzioni delle grandi società quotate in borsa che non hanno azionisti di riferimento. La teoria dello «shareholder value», ossia il tentativo di far coincidere gli interessi dei manager con quelli degli azionisti, che sono i proprietari di una società, nella realtà di questa crisi si è tradotta nell’esplosione delle remunerazioni dei dirigenti e nella maggior parte dei casi in colossali perdite per gli azionisti. Il disastro attuale ripropone quanto era già emerso con il crollo delle borse avvenuto all’inizio di questo decennio: rimane irrisolto il problema della gestione (governance) di queste grandi società. Anche durante questa crisi la capacità di giudizio delle borse si è rivelata fallimentare: i mercati azionari non hanno assolutamente anticipato la gravità dei rischi che stavano assumendosi le istituzioni finanziarie, ma ne hanno preso atto solo a posteriori, per di più con notevole ritardo.
Quanto successo ripropone con forza la necessità di rivedere gli obiettivi e quindi le regole sia delle società industriali, sia di quelle attive nel settore dei servizi. Come emerge chiaramente dai fatti di queste ultime settimane, le società dovrebbero essere gestite con obiettivi di lungo termine, che vanno dalla crescita alla difesa dell’occupazione fino all’accumulazione di riserve per superare i momenti di difficoltà. Non dovrebbero invece rispondere agli interessi di breve termine, come quelli legati alle variazioni del corso delle azioni cui sono spesso state legate le retribuzioni dei manager. Non è casuale che le società che hanno ottenuto risultati migliori nel lungo termine sono spesso quelle non quotate in borsa, come le tedesche Bosch e Bertelsmann, o quelle che hanno un azionista di maggioranza. La speranza che gli investitori istituzionali, ed in primis le casse pensioni, svolgessero questa funzione si è rivelata purtroppo infondata, anche perché le casse pensioni non solo sono di fatto diventate una parte integrante del sistema finanziario, ma ne hanno anche preso i vizi.
Per il bene dell’economia e anche per quello delle nostre pensioni è auspicabile che non vi sia unicamente una riforma del sistema di retribuzione dei manager, ma anche una definizione diversa del ruolo e degli obiettivi delle aziende industriali e di quelle attive nel settore dei servizi, il cui valore non può essere ridotto alla mera capitalizzazione di borsa.

06.02.09 04:39:28
 
altra proposta di Roubini & C. http://www.ft.com/cms/s/0/4d0add58-ee27-11dd-b791-0000779fd2ac.html?nclick_check=1 ... chi vuole c'è il link per prenotare il libro di prossima uscita ... chissà se lo compreranno i governanti ....
mah ... costringere le banche ad assicurarsi e se cascano i soldi andranno ai regolatori che cercano di stabilizzare il sistema ... mah ... e gli assicuratori chi li assicura ? ... e i riassicuratori ? e i riassicuratori dei riassicuratori ? ....
comunque meglio di sicuro lasciar fallire qualche bancaccia, lo dicono in tanti, anche Stiglitz ... strano il mondo, con Eluana non si insiste, con gentaccia varia gli aiutini si sprecano

USA e UK = banana republic ... però ... chi l'avrebbe mai detto ?
 
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mah ... costringere le banche ad assicurarsi e se cascano i soldi andranno ai regolatori che cercano di stabilizzare il sistema ... mah ... e gli assicuratori chi li assicura ? ... e i riassicuratori ? e i riassicuratori dei riassicuratori ? ....
comunque meglio di sicuro lasciar fallire qualche bancaccia, lo dicono in tanti, anche Stiglitz ... strano il mondo, con Eluana non si insiste, con gentaccia varia gli aiutini si sprecano

USA e UK = banana republic ... però ... chi l'avrebbe mai detto ?

ohhhh, un gradito ritorno (senza ironia)..
felice di rileggerti
 
" ci sono stati più di 30 salvataggi e non escludo che nel week end c'è ne siano altri..." azz... Tremonti da un pò di mesi a questa parte mi sembra come cossiga quando era presidente che alludeva alle cose senza mai dirle. Tremonti ci dici che cosa sta succedendo se lo sai?


Crisi: Tremonti, in 2007-2010 debito Italia cresce 5,9%
di ANSA
E' inferiore alla media europea

(ANSA) - ROMA, 6 FEB - 'Per la prima volta la velocita' di crescita del debito italiano e' inferiore alla media europea': lo dice il ministro Tremonti. 'In Italia, infatti, il debito - ha precisato il ministro dell'Economia, nella conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri - cresce del 5,9% considerando il periodo 2007-2010'. Secondo Tremonti, 'il dato che ci mette dalla parte giusta' e' il forte elemento di consenso e di coesione politica, che e' un valore economico'.Infatti e' necessario 'evitare il rischio sui conti e sulla piazza, che ha costi economici oltre che sociali'. Intervenendo poi sul tema dei salvataggi bancari, il ministro dell'economia ha osservato che 'finora in Europa ci sono stati piu' di trenta salvataggi bancari e nel week-end - ha aggiunto- non escludo che ce ne saranno altri'. 'L'obiezione che fanno cattivi maestri - ha proseguito il ministro - e' che gli altri fanno debito e dunque fanno molto. Tutta la dinamica del debito e' causata da interventi necessari per salvataggi bancari'.(ANSA).
index.asp
 
quando sono depresso per l'andamento dei miei investimenti, guardo al peggior investitore che esiste al mondo, il fondo "TAXPAYERS MONEY"... :D

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tarp02.jpg
 
Bespoke tracks a number of indicators during earnings season, and one of them is the percentage of companies that are raising guidance. Below we highlight this guidance indicator on a quarterly basis based on the 50,000+ individual earnings reports in our Earnings Report Database. During the current earnings season, just 2.3% of companies have raised guidance, which is the lowest reading since at least Q3 '01. Last quarter's reading of 3% was the lowest at the time, but unfortunately, it has gotten even worse. At least expectations are about as low as they can get, and when the time comes that companies do start besting their guidance, it should propel stocks higher.



http://seekingalpha.com/article/119060-positive-guidance-at-decade-low?source=wl_sidebar
 
il ragionamento potrebbe anche starci ... ma era valido con livelli di indebitamento insostenibili. A spanne ....in una fase di deleverage complessivo .... quel 70% del pil lo sostituirei con un 50% o sotto....

One of Buffett's favorite metrics is market cap as a percentage of GNP. He thinks when GNP is down to about 75%, it's a good time to buy. If so, Marc Faber says, the U.S. market is not particularly cheap.

S.A.
 

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