COMMENTO
La finanza e le «gigantobanche»
Tito Tettamanti *
In una lettera al «Corriere» un lettore cortesemente dissente dalla mia tesi a proposito dell’origine dei subprime e chiama invece in causa la pesante responsabilità delle banche. La sua tesi è in linea generale fondata (ma non per i subprime secondo me).
La responsabilità nella crisi attuale, non dell’intero settore bancario, ma di quelle che io chiamo le «gigantobanche», non è esclusiva ma pesantissima. La ricerca di dimensioni sempre più grandi per approfittare dei vantaggi di scala, per avere sempre maggiori quote di mercato, per battere la concorrenza, è insita nel nostro sistema ed è aspirazione comprensibile di ogni dirigente di azienda.
La stessa globalizzazione dei mercati e l’opportunità di competere a livello mondiale impongono pure strutture e dimensioni adeguate: le multinazionali. Comprensibile il perseguimento della massimizzazione della produttività e dei profitti, non accettando scuse generiche che nella maggior parte dei casi (parlo per conoscenza diretta) coprono incapacità, pigrizia e negligenza dei dirigenti (manager e consigli di amministrazione).
Queste inefficienze pesano alla lunga su tutti a partire dai lavoratori e dai consumatori. Come in tutte le cose, però, il troppo è nemico del meglio e anche un’idea buona può degenerare.
Una colpa dei dirigenti delle «gigantobanche», dovuta in molti casi alla mancanza di spessore culturale, risiede in queste degenerazioni concettuali.
Ne citiamo alcune.
L’illusione e l’intenzione di fare tutto ed il contrario di tutto con banche universali che addirittura si mettevano a fare l’assicuratore con clamoroso insuccesso.
Si è dimenticato che banca di credito e banca d’affari hanno in comune solo il nome di banca, ma fanno due attività diverse, e che dal canto loro la gestione patrimoniale e la consulenza al cliente esigono di evitare strettamente conflitti d’interesse.
Si è dimenticato che le banche, proprio per la delicatezza della loro funzione di intermediazione tra raccolta del risparmio e concessione di credito all’economia, devono astenersi dall’investire i fondi raccolti in operazioni altamente speculative (e straindebitandosi in modo irresponsabile) per esasperare il profitto.
In tempi non sospetti (crisi LTCM) ho criticato quelle «gigantobanche» che aspiravano a redditi annuali del 25% che nessuno chiedeva e che forse erano la scusa per la distribuzione di bonus criticabili ancor più che per le dimensioni talvolta assurde per il fatto che erano immeritati. Gravissimo anche il fatto che le «gigantobanche» abbiano creato tra di loro dei mercati, i famosi «over the counter», per loro prodotti (certi derivati), mercati dei quali erano gestori, attori, regolatori, escludendo altri partecipanti e sottraendosi ad ogni esigenza di trasparenza e controllo.
Che questi ed altri gravissimi errori e degenerazioni abbiano pesantemente contribuito al maturare della gravissima crisi in atto è indubbio.
Ma vi sono altre responsabilità che è pericoloso dimenticare. Quelle di chi ha accettato, quando non voluto, la creazione di banche «too big to fail», vale a dire tanto gigantesche, tanto importanti per il sistema che non ci si sarebbe mai potuti permettere di farle fallire.
E chi ha accettato sono tra l’altro i controllori (vale a dire i rappresentanti dello Stato) chiamati ad applicare le numerose regolamentazioni esistenti. Non solo ciò era in patente contraddizione con il sistema di mercato che deve sanzionare l’insuccesso con il fallimento (anche perché le perdite non si annullano trascinando i debiti all’infinito), ma ha creato una categoria di privilegiati tra le banche.
Ovviamente, quelle che non potevano fallire erano in grado, per il minor rischio che presentavano, di rimunerare meno la raccolta. Ciò è all’origine del moral hazard, vale a dire la convinzione dei dirigenti delle «gigantobanche» di poter rischiare di più e sconsideratamente, tanto non sarebbero mai falliti, come infatti sta succedendo con gli interventi statali.
Interventi statali purtroppo inevitabili, ma la cui articolazione forse non è la migliore possibile. Ora i controllori che hanno assistito alla degenerazione (magari facilitandola) perché non sono intervenuti applicando le regole?
Per un giudizio più equilibrato e completo, sarà bene ricordare che:
• le regole ci sono, ma bisogna volere ed essere capaci di applicarle o correggerle quando sono errate. Infatti, delle banche sono praticamente fallite senza infrangere le regole esistenti. Attenzione: più regole di dettaglio esistono, più si deresponsabilizza il soggetto delle regole e si rende macchinoso l’intervento;
• lo Stato, di cui i controllori sono un’emanazione, non può troppo facilmente declinare ogni responsabilità per i disastri originati dalle «gigantobanche», ma neppure avere troppo il complesso del complice per i salvataggi.
*) Finanziere
05.02.09 07:31:56 Oggi sul CdT (versione completa per soli abbonati)