Perché falliscono le unioni monetarie
La storia dice che se non sono precedute da un'unione politica non durano
Da qualche tempo l'Unione monetaria europea è entrata in fibril­lazione. Le Cassandre che al tempo del Trattato di Maastricht ave­vano previsto (e, soprattutto, avevano auspicato) la fine inglorio­sa dell'euro, stanno rialzando la testa.
La verità, sostengono, è fi­nalmente venuta a galla: alla lunga un'unione monetaria fra Sta­ti sovrani, ciascuno con una propria poltica fiscale e con ritmi di sviluppo diversi, è destinata a sfaldarsi.
A far scoppiare il bubbo­ne è stata la Grecia che negli anni scorsi non ha esitato a mani­polare i conti pubblici per trarre in inganno i mercati e i partner eu­ropei. Ma si sa che le bugie hanno le gambe corte e, alla fine, la verità è venuta a galla mostrando l'immagine di un Paese sull'or­lo del collasso finanziario.
GIOVANNI VIGO
La Grecia non è il solo Paese vicino al baratro. Anche la Spa­gna, il Portogallo e l'Irlanda si trovano in condizioni molto pre­carie, e l'Italia, con il pesante far­dello del suo debito pubblico, non è molto lontana.
Qualora la Grecia fosse costretta a gettare la spugna, il contagio potrebbe trasmettersi rapidamente a Madrid, a Dublino, a Lisbo­na e domani, magari, a Ro­ma. Il castello di carte del­l'euro cadrebbe travolto dalla speculazione che è già all'opera.
Arroganza delle élite
Se fino a pochi mesi fa nes­suno avrebbe seriamente so­stenuto che l'euro era in peri­colo, oggi questa previsione non fa più scandalo. Al contrario. Sul
New York Times del 15 febbraio il premio Nobel per l'economia,
Paul Krugman , ha scritto che «dietro il fallimento europeo non sta l'incuria dei politici bensì l'ar­roganza delle élite, e in partico­lare delle classi politiche, che hanno spinto l'Europa ad adotta­re la moneta unica molto prima che fosse pronta per un simile esperimento».
Ma, bisognereb­be chiedere a Krugman, quando mai gli europei sarebbe stati pronti per questo balzo?
Più oculatamente,
Otmar Is­sing , che è stato uno dei mem­bri più autorevoli della Banca centrale europea, ha osservato sul
Financial Times del 16 feb­braio che «per l'Unione mone­taria europea questa crisi è la prova finale per capire se un si­mile assetto istituzionale, una unione monetaria senza unio­ne politica, è sostenibile per un lungo periodo».
Verità storiche
Dal canto loro, sul
Financial Ti­m e s del 3 febbraio,
Nouriel Roubini e
Arnab Das si sono spinti ancora più in là, ricordan­do che se non verranno adotta­te prontamente le misure neces­sarie per riequilibrare i conti pubblici, gli europei dovranno arrendersi «ad una sgradevole verità storica: nessuna unione monetaria è sopravvissuta sen­za una unione politica e fisca­le... Anche in America molti Sta­ti stanno attraversando una se­ria crisi fiscale, ma i problemi locali possono essere risolti a li­vello federale... Nell'Eurozona questa possibilità non esiste» perchè manca un governo e una politica fiscale unica.
Austria e Zollverein
I due economisti americani so­no andati al cuore del problema, ed anche il loro riferimento al­l'esperienza storica è particolar­mente suggestivo. Che cosa ci in­segnano i progetti di unione mo­netaria del passato? Il primo ten­tativo di unione monetaria di qualche respiro fu avviato nel 1857 fra l'Austria e lo
Zollverein , il mercato comune costituito da­gli Stati tedeschi al quale avreb­be voluto aderire anche l'Austria per assumerne l'egemonia.
La Prussia riuscì a frenare gli appe­titi di Vienna ma alla fine ci fu un riavvicinamento motivato dai co­muni interessi commerciali che nel 1853 sfociarono in un trattato nel quale si parlava anche di una non ben definita collaborazione monetaria.
Su questo punto le di­scussioni si protrassero fino al 1856 quando si riunì a Vienna la conferenza che decretò la nasci­ta di un'unione monetaria rego­lata da norme particolarmente intricate. L'accordo durò lo spa­zio di un mattino: da una parte Vienna non rispettò i vincoli mo­netari imposti dal trattato del 1857, dall'altra il suo esercito fu sbaragliato dai prussiani nel 1866 e non era pensabile che i due acerrimi rivali convivessero nel­la stessa unione che venne infat­ti sciolta l'anno dopo senza lascia­re particolari rimpianti.
La sua eredità non andò però di­spersa. Dopo la guerra del 1866, sotto l'impulso di
Bismarck , la Confederazione tedesca creata nel 1815 venne rimpiazzata da un'altra confederazione dotata di maggiori poteri fra i quali fi­gurava anche la moneta. L'espe­rienza fatta negli anni preceden­ti tornò molto utile ai prussiani in quanto aveva aperto la strada alla nascita del marco suggella­ta dalla creazione dell'impero nel 1871.
L'unione monetaria latina
Le difficoltà incontrate dall'Au­stria e dalla Prussia non scorag­giarono però
Napoleone III che negli stessi anni aveva accarez­zato l'idea di creare in Europa una sola area monetaria ancorata al franco.
Nel 1865 l'imperatore convocò a Parigi una conferenza che diede vita all'Unione mone­taria latina considerata dai con­temporanei come il primo passo verso una moneta universale.
Nell'arco di un mese i quattro Paesi partecipanti - Francia, Bel­gio, Italia e Svizzera - si accorda­rono per consentire la libera cir­colazione delle loro monete d'oro e d'argento fissando, nel contem­po, i loro rapporti (1 grammo d'oro equivaleva a 15,5 grammi d'argento).
Alla fine dell'anno l'Economist salutò gli accordi di Parigi con un commento entusia­stico: «Se la civiltà dovesse rega­lare a tutti gli uomini della Terra una sola moneta, si compirebbe un passo importante per convin­cerli che essi appartengono ad una sola specie».
L'accordo entrò in vigore il 1° ago­sto 1866 e negli anni successivi aderirono all'Unione monetaria latina la Spagna, la Grecia, la Ro­mania, l'Austria, la Bulgaria, la Serbia ed altri Stati minori (alla fine risultarono in tutto 32).
Il pri­mo presidente,
Félix Esquirou de Parieu , considerava l'Unione come «il preludio a pacifiche fe­derazioni in futuro».
Gli entusia­stici promotori non avevano pe­rò fatto i conti con due ostacoli che si rivelarono ben presto in­superabili.
Da una parte le con­tinue variazioni dei prezzi dell'oro e dell'argento impediva di mante­nere fisso il rapporto fra i due me­talli gettando nel caos i mercati. Dall'altra l'Unione monetaria la­tina si scontrava con l'ostilità in­glese che vedeva nella proposta di Napoleone III un espediente per contendere il primato alla Ci­ty o, quantomeno, per limitare il suo potere.
Contromosse inglesi
Gli inglesi non avevano torto e passarono subito al contrattacco.
Walter Bagehot , il celebre auto­re di Lombard Street, elaborò un piano alternativo che prevedeva una stretta alleanza con gli Stati Uniti. Per risultare più convin­centi, i britannici fecero rilevare che la libera circolazione delle monete all'interno dell'Unione avrebbe messo a repentaglio la loro stabilità.
E per suffragare la loro tesi avevano sotto mano un esempio eloquente. Nel 1866 l'Italia era stata costretta a dichia­rare il corso forzoso per finanzia­re la guerra contro l'Austria.
La «cattiva» moneta di carta aveva subito scacciato la «buona» mo­neta d'argento che era finita per lo più in Francia. In poco tempo l'esagono aveva visto aumentare la massa monetaria (il 16% dei pezzi in circolazione erano italia­ni) e si erano accesi i primi foco­lai di inflazione.
L'ostilità inglese non riuscì a sbar­rare la strada al progetto che coin­volse un numero crescente di Paesi e, sia pure a prezzo di innu­merevoli aggiustamenti, l'Unio­ne monetaria latina sopravvisse alla guerra franco-tedesca, alla crisi del 1907, alla prima guerra mondiale, ma non uscì indenne dalle turbolenze dei primi anni Venti. Alla fine del 1925 il Belgio denunciò la Convenzione di Pa­rigi e l'Unione fu sciolta definiti­vamente il 1. gennaio 1927.
La meteora scandinava
L'esempio dell'Unione moneta­ria latina fu imitato dai Paesi scandinavi che nel 1872 diede­ro vita ad una propria unione monetaria che soppravvisse a stento fin dopo il primo conflit­to mondiale. Svezia, Norvegia e Danimarca costituivano un'area marginale nell'Europa travaglia­ta dei primi decenni del Nove­cento e la loro esperienza non fu particolarmente significativa.
Non è perciò un caso se nella storia delle unioni monetarie si fa abitualmente riferimento a quella latina mettendo in rilievo la sua lunga durata.
Essa rimase in vita sessantuno anni e coin­volse un numero di Paesi mag­giore di qualsiasi altra unione.
Tuttavia se si volesse istituire una stretta analogia con l'Unione mo­netaria europea ci si inoltrereb­be su una strada molto impervia.
L'Unione monetaria latina so­pravvisse così a lungo non grazie alla sua forza ma in virtù della sua debolezza.
Le politiche economi­che, monetarie e fiscali rimasero saldamente nelle mani degli Sta­ti e l'Unione, che non era molto più di una facciata, poté stare a galla nel disinteresse generale.
L'Unione monetaria europea è stata invece il frutto di una scelta profondamente condivisa dai cit­tadini dei Paesi aderenti, consa­pevoli che soltanto con una sola moneta sarebbe stato possibile evitare la disgregazione del mer­cato unico e offrire un riparo alle valute più fragili.
La lezione di Janssen
Per questa ragione oggi è diffici­le abbandonare l'euro al suo de­stino. Le economie dei Paesi eu­ropei, le loro finanze, i loro scam­bi, rischierebbero di precipitare in un vuoto senza fine.
La rispo­sta può essere duplice: aiutare i Paesi in difficoltà, come la Gre­cia, rintuzzamdo gli attacchi del­la speculazione e disincentivan­do quelli futuri, oppure portare a compimento il processo di uni­ficazione europea con una sal­da unione politica.
Una soluzio­ne che era già implicitamente contenuta nelle riflessioni fatte da
Albert Janssen nel 1911.
Il fu­turo ministro belga delle Finan­ze scrisse: «Senza dubbio c'è qualcosa che seduce gli spiriti e che colpisce l'immaginazione nella fraterna unione dei popo­li sul terreno monetario...
Nelle condizioni attuali il regime mo­netario deve essere nazionale e deve essere regolato dalla legge di uno Stato indipendente. L'unione politica deve precede­re la comunità monetaria».
Il processo di unificazione euro­pea ha preso un'altra strada con l'illusione che, una volta realiz­zata l'integrazione economica, sarebbe spontaneamente arri­vata quella politica.
Ora l'illusio­ne è caduta. Chissà che a cento anni di distanza qualcuno non si ricordi del saggio ammoni­mento di Albert Janssen?
corriere del ticino oggi