Macroeconomia Crisi finanziaria e sviluppi (2 lettori)

stockuccio

Guest
Mi chiedo se questo clown vede cosa succede a casa sua. :rolleyes:

I manager di Lehman hanno affondato Lehman - Il Sole 24 ORE
La manipolazione di bilancio
Nel report viene indicato che i top executive dell'azienda hanno manipolato i bilanci, hanno nascosto informazioni al consiglio d'amministrazione, e gonfiato il valore degli asset tossici immobiliari. Lehman decise di «non seguire corettamente il controllo del rischio in maniera sistematica», anche quando il mercato del credito e quello immobiliare davano segnali di irregolarità.



E le altre banche di Wall Street, come MorganStanley, Goldman, JPmorgan,
fanno diversamente, O FANNO LE STESSE COSE ? :rolleyes:


forse devo ammettere di essere condizionato nel mio essere critico verso gli yankees da un eccesso di disgusto ;)
http://www.zerohedge.com/article/ga...ssion-scheme-coming-through-oddly-unredacted-
http://www.zerohedge.com/article/ho...gal-precedent-abusing-primary-dealer-credit-f
 

lorixnt2

Hari Seldon's fan
più che decadenza in corso parlerei di crollo compiuto degli USA, le grandi banche yankees sono tutte defunte ... che non ammettano il crollo non significa che non ci sia :)
se posso ti consiglierei di seguire un pò il blog di Mazzalai, tra i siti italiani lo suggerisco dalla sua nascita più o meno, ha anche un afflato etico che apprezzo mollto ...
come dice Mazzalai nel suo ultimo pezzo 'Il sistema finanziario internazionale, la sua base patrimoniale è supportata tuttora da un oceano di immondizia immobiliare, prestiti inesigibili, che si protraggono nel tempo all'infinito in attesa che prima o poi qualcosa accada' ... ecco, più o meno la situazione è questa, senza stare a rivangare i level 3 assets, ecc. ecc.

rimandano, rimandano ... ma prima o poi si arriva al dunque
pensioni Social Security to start cashing Uncle Sam's IOUs - Yahoo! News .... problema per tutti, anche per noi in futuro


Ok vado a guglarlo :). Ma, alla fine, il procrastinare potrebbe avere anche un senso per utilizzare questo delay se non per una risalita almeno per un atterraggio morbido? :)
 

mostromarino

Guest
Ok vado a guglarlo :). Ma, alla fine, il procrastinare potrebbe avere anche un senso per utilizzare questo delay se non per una risalita almeno per un atterraggio morbido? :)

ma infatti, CERCANO di diluirlo nel tempo

ma a qualcuno piace desemplicizzare
 

tommy271

Forumer storico
Lagarde ha ragione: modello crescita Germania fragile - Tremonti

martedì 16 marzo 2010 14:40




BRUXELLES, 16 marzo (Reuters) - Un modello di crescita come quello della Germania, basato soprattutto sulle esportazioni, presenta notevoli fragilità.
Lo ha detto il ministro dell'Economia italiano Giulio Tremonti, dicendosi d'accordo con i ragionamenti espressi sulla crescita tedesca dal ministro francese Christine Lagarde.
"Il modello di crescita della Germania è basato sulle esportazioni... la crisi ci ha mostrato che questo modello può essere fragile", ha detto Tremonti.
"Credo che [il ministro delle Finanze francese] Christine Lagarde abbia detto cose giuste", riguardo ai pericoli di un modello economico sbilanciato su una sola fonte di crescita.
"Una crescita basata troppo sulle esportazioni o sui consumi privati non è l'ideale", ha aggiunto il ministro, dicendo che si è parlato più volte di questi squilibri in sede europea e che anche da lui sono arrivate proposte e suggerimenti per riequilibrare le fonti di crescita alimentando la domanda per consumi e per investimenti tramite una nuova spinta agli investimenti pubblici.
 

troppidebiti

Forumer storico
no non taroccano...è l' effetto del cambio fisso

un pò come facevamo noi con la nostra liretta..non solo cambio fisso ma periodiche svalutazioni:D:D anche la corea del sud ci ha costruito una fortuna

inoltre sono avvantaggiati dai cospicui investimenti esteri...le multinazionali che investono in Cina devono scambiare dollari/euro vs Yuan..altrimenti come paghi i dipendenti investimenti ecc...la grana finisce nel bancone centrale cinese
 

mostromarino

Guest
Perché falliscono le unioni monetarie
La storia dice che se non sono precedute da un'unione politica non durano



Da qualche tempo l'Unione monetaria europea è entrata in fibril­lazione. Le Cassandre che al tempo del Trattato di Maastricht ave­vano previsto (e, soprattutto, avevano auspicato) la fine inglorio­sa dell'euro, stanno rialzando la testa.

La verità, sostengono, è fi­nalmente venuta a galla: alla lunga un'unione monetaria fra Sta­ti sovrani, ciascuno con una propria poltica fiscale e con ritmi di sviluppo diversi, è destinata a sfaldarsi.

A far scoppiare il bubbo­ne è stata la Grecia che negli anni scorsi non ha esitato a mani­polare i conti pubblici per trarre in inganno i mercati e i partner eu­ropei. Ma si sa che le bugie hanno le gambe corte e, alla fine, la verità è venuta a galla mostrando l'immagine di un Paese sull'or­lo del collasso finanziario.


GIOVANNI VIGO
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La Grecia non è il solo Paese vicino al baratro. Anche la Spa­gna, il Portogallo e l'Irlanda si trovano in condizioni molto pre­carie, e l'Italia, con il pesante far­dello del suo debito pubblico, non è molto lontana.

Qualora la Grecia fosse costretta a gettare la spugna, il contagio potrebbe trasmettersi rapidamente a Madrid, a Dublino, a Lisbo­na e domani, magari, a Ro­ma. Il castello di carte del­l'euro cadrebbe travolto dalla speculazione che è già all'opera.

Arroganza delle élite

Se fino a pochi mesi fa nes­suno avrebbe seriamente so­stenuto che l'euro era in peri­colo, oggi questa previsione non fa più scandalo. Al contrario. Sul New York Times del 15 febbraio il premio Nobel per l'economia,
Paul Krugman
, ha scritto che «dietro il fallimento europeo non sta l'incuria dei politici bensì l'ar­roganza delle élite, e in partico­lare delle classi politiche, che hanno spinto l'Europa ad adotta­re la moneta unica molto prima che fosse pronta per un simile esperimento».

Ma, bisognereb­be chiedere a Krugman, quando mai gli europei sarebbe stati pronti per questo balzo?

Più oculatamente, Otmar Is­sing , che è stato uno dei mem­bri più autorevoli della Banca centrale europea, ha osservato sul Financial Times del 16 feb­braio che «per l'Unione mone­taria europea questa crisi è la prova finale per capire se un si­mile assetto istituzionale, una unione monetaria senza unio­ne politica, è sostenibile per un lungo periodo».

Verità storiche

Dal canto loro, sul Financial Ti­m e s del 3 febbraio, Nouriel Roubini e Arnab Das si sono spinti ancora più in là, ricordan­do che se non verranno adotta­te prontamente le misure neces­sarie per riequilibrare i conti pubblici, gli europei dovranno arrendersi «ad una sgradevole verità storica: nessuna unione monetaria è sopravvissuta sen­za una unione politica e fisca­le... Anche in America molti Sta­ti stanno attraversando una se­ria crisi fiscale, ma i problemi locali possono essere risolti a li­vello federale... Nell'Eurozona questa possibilità non esiste» perchè manca un governo e una politica fiscale unica.


Austria e Zollverein


I due economisti americani so­no andati al cuore del problema, ed anche il loro riferimento al­l'esperienza storica è particolar­mente suggestivo. Che cosa ci in­segnano i progetti di unione mo­netaria del passato? Il primo ten­tativo di unione monetaria di qualche respiro fu avviato nel 1857 fra l'Austria e lo Zollverein , il mercato comune costituito da­gli Stati tedeschi al quale avreb­be voluto aderire anche l'Austria per assumerne l'egemonia.

La Prussia riuscì a frenare gli appe­titi di Vienna ma alla fine ci fu un riavvicinamento motivato dai co­muni interessi commerciali che nel 1853 sfociarono in un trattato nel quale si parlava anche di una non ben definita collaborazione monetaria.

Su questo punto le di­scussioni si protrassero fino al 1856 quando si riunì a Vienna la conferenza che decretò la nasci­ta di un'unione monetaria rego­lata da norme particolarmente intricate. L'accordo durò lo spa­zio di un mattino: da una parte Vienna non rispettò i vincoli mo­netari imposti dal trattato del 1857, dall'altra il suo esercito fu sbaragliato dai prussiani nel 1866 e non era pensabile che i due acerrimi rivali convivessero nel­la stessa unione che venne infat­ti sciolta l'anno dopo senza lascia­re particolari rimpianti.


La sua eredità non andò però di­spersa. Dopo la guerra del 1866, sotto l'impulso di Bismarck , la Confederazione tedesca creata nel 1815 venne rimpiazzata da un'altra confederazione dotata di maggiori poteri fra i quali fi­gurava anche la moneta. L'espe­rienza fatta negli anni preceden­ti tornò molto utile ai prussiani in quanto aveva aperto la strada alla nascita del marco suggella­ta dalla creazione dell'impero nel 1871.



L'unione monetaria latina

Le difficoltà incontrate dall'Au­stria e dalla Prussia non scorag­giarono però Napoleone III che negli stessi anni aveva accarez­zato l'idea di creare in Europa una sola area monetaria ancorata al franco.

Nel 1865 l'imperatore convocò a Parigi una conferenza che diede vita all'Unione mone­taria latina considerata dai con­temporanei come il primo passo verso una moneta universale.

Nell'arco di un mese i quattro Paesi partecipanti - Francia, Bel­gio, Italia e Svizzera - si accorda­rono per consentire la libera cir­colazione delle loro monete d'oro e d'argento fissando, nel contem­po, i loro rapporti (1 grammo d'oro equivaleva a 15,5 grammi d'argento).

Alla fine dell'anno l'Economist salutò gli accordi di Parigi con un commento entusia­stico: «Se la civiltà dovesse rega­lare a tutti gli uomini della Terra una sola moneta, si compirebbe un passo importante per convin­cerli che essi appartengono ad una sola specie».

L'accordo entrò in vigore il 1° ago­sto 1866 e negli anni successivi aderirono all'Unione monetaria latina la Spagna, la Grecia, la Ro­mania, l'Austria, la Bulgaria, la Serbia ed altri Stati minori (alla fine risultarono in tutto 32).

Il pri­mo presidente, Félix Esquirou de Parieu , considerava l'Unione come «il preludio a pacifiche fe­derazioni in futuro».

Gli entusia­stici promotori non avevano pe­rò fatto i conti con due ostacoli che si rivelarono ben presto in­superabili.
Da una parte le con­tinue variazioni dei prezzi dell'oro e dell'argento impediva di mante­nere fisso il rapporto fra i due me­talli gettando nel caos i mercati. Dall'altra l'Unione monetaria la­tina si scontrava con l'ostilità in­glese che vedeva nella proposta di Napoleone III un espediente per contendere il primato alla Ci­ty o, quantomeno, per limitare il suo potere.
Contromosse inglesi
Gli inglesi non avevano torto e passarono subito al contrattacco.
Walter Bagehot
, il celebre auto­re di Lombard Street, elaborò un piano alternativo che prevedeva una stretta alleanza con gli Stati Uniti. Per risultare più convin­centi, i britannici fecero rilevare che la libera circolazione delle monete all'interno dell'Unione avrebbe messo a repentaglio la loro stabilità.

E per suffragare la loro tesi avevano sotto mano un esempio eloquente. Nel 1866 l'Italia era stata costretta a dichia­rare il corso forzoso per finanzia­re la guerra contro l'Austria.

La «cattiva» moneta di carta aveva subito scacciato la «buona» mo­neta d'argento che era finita per lo più in Francia. In poco tempo l'esagono aveva visto aumentare la massa monetaria (il 16% dei pezzi in circolazione erano italia­ni) e si erano accesi i primi foco­lai di inflazione.

L'ostilità inglese non riuscì a sbar­rare la strada al progetto che coin­volse un numero crescente di Paesi e, sia pure a prezzo di innu­merevoli aggiustamenti, l'Unio­ne monetaria latina sopravvisse alla guerra franco-tedesca, alla crisi del 1907, alla prima guerra mondiale, ma non uscì indenne dalle turbolenze dei primi anni Venti. Alla fine del 1925 il Belgio denunciò la Convenzione di Pa­rigi e l'Unione fu sciolta definiti­vamente il 1. gennaio 1927.

La meteora scandinava
L'esempio dell'Unione moneta­ria latina fu imitato dai Paesi scandinavi che nel 1872 diede­ro vita ad una propria unione monetaria che soppravvisse a stento fin dopo il primo conflit­to mondiale. Svezia, Norvegia e Danimarca costituivano un'area marginale nell'Europa travaglia­ta dei primi decenni del Nove­cento e la loro esperienza non fu particolarmente significativa.

Non è perciò un caso se nella storia delle unioni monetarie si fa abitualmente riferimento a quella latina mettendo in rilievo la sua lunga durata.

Essa rimase in vita sessantuno anni e coin­volse un numero di Paesi mag­giore di qualsiasi altra unione.

Tuttavia se si volesse istituire una stretta analogia con l'Unione mo­netaria europea ci si inoltrereb­be su una strada molto impervia.
L'Unione monetaria latina so­pravvisse così a lungo non grazie alla sua forza ma in virtù della sua debolezza.
Le politiche economi­che, monetarie e fiscali rimasero saldamente nelle mani degli Sta­ti e l'Unione, che non era molto più di una facciata, poté stare a galla nel disinteresse generale.
L'Unione monetaria europea è stata invece il frutto di una scelta profondamente condivisa dai cit­tadini dei Paesi aderenti, consa­pevoli che soltanto con una sola moneta sarebbe stato possibile evitare la disgregazione del mer­cato unico e offrire un riparo alle valute più fragili.


La lezione di Janssen

Per questa ragione oggi è diffici­le abbandonare l'euro al suo de­stino. Le economie dei Paesi eu­ropei, le loro finanze, i loro scam­bi, rischierebbero di precipitare in un vuoto senza fine.

La rispo­sta può essere duplice: aiutare i Paesi in difficoltà, come la Gre­cia, rintuzzamdo gli attacchi del­la speculazione e disincentivan­do quelli futuri, oppure portare a compimento il processo di uni­ficazione europea con una sal­da unione politica.

Una soluzio­ne che era già implicitamente contenuta nelle riflessioni fatte da Albert Janssen nel 1911.

Il fu­turo ministro belga delle Finan­ze scrisse: «Senza dubbio c'è qualcosa che seduce gli spiriti e che colpisce l'immaginazione nella fraterna unione dei popo­li sul terreno monetario...

Nelle condizioni attuali il regime mo­netario deve essere nazionale e deve essere regolato dalla legge di uno Stato indipendente. L'unione politica deve precede­re la comunità monetaria».

Il processo di unificazione euro­pea ha preso un'altra strada con l'illusione che, una volta realiz­zata l'integrazione economica, sarebbe spontaneamente arri­vata quella politica.

Ora l'illusio­ne è caduta. Chissà che a cento anni di distanza qualcuno non si ricordi del saggio ammoni­mento di Albert Janssen?


corriere del ticino oggi
 

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