Macroeconomia Crisi finanziaria e sviluppi

la germania ha detto di si:
"La Germania sta proponendo la creazione di un "fondo di investimento europeo di stabilità e crescita""

In un documento che verrà presentato alle controparti europee alla prossima riunione dei ministri delle Finanze dell'Eurozona a metà gennaio, la Germania affermerà che il mantenimento della moneta unica è nel proprio "interesse nazionale". L'euro, tuttavia, "si deve orientare sugli interessi di stabilità della Germania", come "concessione alla Germania, la più grande economia della zona euro, che funziona da ancora di stabilità".
Secondo il Sueddeutsche, il nuovo fondo dovrebbe in linea di principio avere accesso a "rifinanziamenti illimitati" per garantire la salute delle moneta unica"

In pratica la Germania si compra a saldo l'europa dei piigs ecc...

Meglio cosi', ora mi aspetto delegazioni tedesche che vengono a controllare le spese del governo italiano :D :D :D

http://borsaitaliana.it.reuters.com/article/businessNews/idITMIE6BM01J20101223
 
La Cina continua a crescere Ma il suo sviluppo è insostenibile | Matteo Cavallito | Il Fatto Quotidiano

Mondo | di Matteo Cavallito
26 dicembre 2010

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La Cina continua a crescere

Ma il suo sviluppo è insostenibile


Alle condizioni attuali il modello economico di Pechino non può reggere a lungo. Ci sono criticità e punti deboli che lo rendono "vulnerabile". L'analisi non viene da osservatori esteri, ma da un editoriale del quotidiano China Daily
“La rapida crescita della Cina è stata raggiunta a costi estremamente alti e solo le future generazioni ne sapranno valutare il prezzo reale”. La frase è chiara e nel dibattito attuale non suonerebbe nemmeno tanto sorprendente. Se non fosse che a pronunciarla o, per meglio dire, a vergarla nero su bianco, non sia stato un analista occidentale, uno speculatore statunitense o un oppositore del regime di Pechino, quanto piuttosto uno che in quello stesso regime vantava e vanta tuttora una posizione di tutto rispetto. Sono concetti forti quelli espressi da Yu Yongding, presidente della locale Society of World Economics, ex membro della Peoples Bank of China e autore, sull’edizione di ieri del quotidiano China Daily, di un editoriale a sostegno di una tesi a dir poco lapidaria: alle condizioni attuali il modello di sviluppo dell’economia cinese resta pieno di criticità e di punti deboli. In sintesi, semplicemente insostenibile.

L’uscita di Yongding, ovviamente, ha già catturato l’attenzione degli osservatori internazionali, gli stessi, per intenderci, che da troppo tempo sembrano limitarsi ad assumere l’espansione di Pechino come un fenomeno assodato chiedendosi non più “se” ma più semplicemente “quando” possa avere luogo lo scontato sorpasso ai danni degli Stati Uniti. L’economia cinese, ha ricordato il Financial Times è cresciuta del 9,6% su base annuale nel corso dell’ultimo trimestre pagando però un prezzo non indifferente: tra ottobre e novembre l’inflazione è aumentata ulteriormente (dal 4,4 al 5,1%) alimentando crescenti dubbi sull’opportunità della “sacra” politica di sostegno all’export che si basa da sempre sulla debolezza della moneta locale. Un problema chiave, lascia intendere l’editoriale.

“Con i valori del commercio nel suo complesso (import più export, ndr) e delle esportazioni che eccedono rispettivamente il 30 e il 60% del Pil, l’economia non può più continuare a dipendere dalla domanda esterna per sostenere la propria crescita – scrive Yongding -. Sfortunatamente con un settore delle esportazioni che impiega ormai milioni di lavoratori, questa dipendenza è diventata strutturale”. Il che, in altre parole, significa che qualsiasi progetto di riduzione della stessa finisce per esulare dalla semplice macroeconomia o, per meglio dire, dalla politica monetaria in senso stretto. Se a ciò si aggiungono le perplessità sulle scelte dei governi locali, responsabili di massicci investimenti in un settore immobiliare ormai apertamente “in bolla”, i timori di un’espansione priva di coordinamento e, in definitiva, magniloquente quanto fragile diventano sempre più concreti.

Non è un mistero che in Occidente qualcuno abbia già pensato alla scommessa della vita. Meno di un mese fa, il numero uno del fondo speculativo statunitense Corriente Advisors Mark Hart ha chiamato a raccolta i propri investitori prefigurando nel prossimo futuro il collasso dell’economia cinese. A sostegno della tesi l’ipotesi che la crisi del debito pubblico in Europa, la presenza di tassi piuttosto bassi e una svalutazione forzata della valuta locale abbiano inevitabilmente gettato i semi delle bolle speculative in vari segmenti del mercato tra cui il settore dei materiali grezzi, l’immobiliare e il comparto finanziario. Alla faccia delle statistiche ufficiali diffuse dal governo di Pechino, ha sostenuto il finanziere, il Paese starebbe in realtà facendo i conti con un debito pubblico equivalente, come minimo, al 107% del Pil, un livello sei volte superiore rispetto alle ultime stime diffuse. Valutazioni che fanno paura visto che Hart, è opportuno ricordarlo, è uno che se ne intende: in passato aveva intuito in anticipo la crisi dei subprime Usa guadagnando milioni di dollari con le opportune scommesse ribassiste. Oggi pensa di fare lo stesso prendendo di mira il colosso cinese e puntando forte su quegli strumenti in grado di generare notevoli rendimenti in caso di collasso: credit default swaps e altri derivati utili alla causa, a cominciare dalle opzioni sui cambi e sui tassi di interesse.

Per invertire la pericolosissima rotta intrapresa dal Paese, sostiene Yongding, servono riforme diffuse e ad ampio spettro. Troppi, infatti, gli aspetti contraddittori che accompagnano l’espansione economica nazionale a cominciare dalla mancanza di innovazione – la Cina è ormai il principale produttore di automobili al mondo ma i modelli sviluppati dall’industria locale hanno un impatto trascurabile – per proseguire con la crescita delle diseguaglianze economiche e i danni dell’inquinamento. Leader mondiale degli investimenti “verdi”, il Paese sconta inoltre livelli di inquinamento spaventosi nelle sue città mentre tutti i maggiori fiumi, ricorda ancora l’ex operatore della Peoples Bank, sono ormai contaminati.

Problemi enormi, insomma, che dovrebbero condizionare l’agenda politica nazionale in vista degli imminenti cambi al vertice del Partito Comunista i cui quadri più anziani, a partire dal 2012, dovrebbero essere rimpiazzati da una nuova generazione di dirigenti. Alla lista dei problemi aperti, ovviamente, andrebbe aggiunta la questione “innominabile”, quella cioè che nessun Yaonding, ad oggi, può permettersi di sollevare in un editoriale o in un dibattito pubblico. Ma il tema dei diritti umani continua ovviamente ad esulare da qualsiasi programma di riforma. Per i policy maker cinesi, gli investitori e gli speculatori esteri, ovviamente, la cosa non sembra costituire un problema. Anche se per un miliardo e trecento milioni di persone, in definitiva, resta probabilmente il più grande di tutti.
 
ANNO NUOVO, LUCI E OMBRE IN ECONOMIA

di LINO TERLIZZI

Il
franco che moltiplica i suoi record sulle principali va­lute mondiali fornisce un'immagine chiara del quadro economico che ha caratte­rizzato il 2010 e che si proietterà in larga misura nell'anno nuovo.

La buona notizia in campo valuta­rio è che il super franco ridà smalto e fiducia alla piazza finanziaria e più in generale al sistema Svizzera, smentendo i molti profeti di sven­tura, in patria ed all'estero.

La catti­va notizia è che uno stop all'impen­nata del franco, che ora sarebbe ne­cessario per evitare esagerazioni che potrebbero danneggiare l'export el­vetico, a questo punto difficilmen­te potrà arrivare dall'interno.

La Banca nazionale svizzera potrà fa­re ancora qualcosa, ma non molto di più.

Un vero cambiamento potrà essere determinato dall'esterno, in particolare da un eventuale miglio­ramento del quadro economico nel­l'Eurozona e negli Stati Uniti, anche se non è ancora chiaro se questo po­trà esserci già nel 2011 o più avanti.

Il maggior freno al rialzo del franco potrebbe venire proprio dal ridursi delle incertezze per gli investitori internazionali.

Già qui si possono vedere le due fac­ce della medaglia, le luci e le ombre con cui si entra nel 2011.

Il franco da record segnala la più che buona resistenza della Svizzera.

Il fatto che la valuta elvetica sia, come l'oro, a tal punto bene rifugio, ebbene se­gnala anche un quadro internazio­nale molto complicato.

C'è da au­spicare che almeno una parte delle tensioni possa ridursi, perché in ca­so contrario anche un fatto in sé po­sitivo come il rialzo del franco po­trebbe creare, se passasse il limite, problemi all'economia elvetica.

Per ora la Svizzera ha il diritto di go­dersi i vantaggi della valuta forte, compreso il minor costo per l'im­port.
Tanto più in una fase in cui molte tra le materie prime - petro­lio, metalli, prodotti agricoli - regi­strano forti rincari.

Una moneta for­te in queste situazioni rappresenta un ammortizzatore da non sottovalutare.

Guardando alle prospettive, occorre però usare una giusta cautela.



Il 2010 è stato un anno di ripresa economica, dopo la crisi finanziaria che ha attraversato il biennio precedente.

È ormai abbastanza chiaro che nel 2011 la ripresa mondiale proseguirà, sì, ma ad un ritmo nel complesso più blando.

Con due velocità, come ha sintetizzato il Fondo monetario. Nei Paesi sviluppati la crescita sarà probabilmente appena sufficiente a ridurre la disoccupazione.
Nei Paesi emergenti la crescita sarà invece nuovamente forte e per alcuni di questi vi sarà semmai il problema del surriscaldamento dell'economia e dei pericoli di inflazione, come già mostra la Cina.

La Svizzera, con il suo mix di industria, finanza, commerci, dovrebbe ancora una volta andare un po' meglio degli altri Paesi sviluppati. Gli USA dovranno guardarsi dalle insidie del doppio deficit - pubblico e commerciale - e di un mercato del lavoro attualmente debole.

L'Eurozona dovrà cercare una via d'uscita alla crisi dei debiti pubblici dei Paesi periferici.
La salvezza dell'area euro nella sua conformazione attuale sta più che mai principalmente nelle mani della Germania.
Berlino ha riconquistato la sua leadership economica e sta cercando di imporre la linea del rigore nei conti pubblici e nel rilancio economico.

Questo non solo per evitare la caduta dei Paesi periferici, ma anche per mantenere i vantaggi di un euro che ha messo in questi anni la Germania stessa al riparo dalle svalutazioni competitive del Sud Europa.

Sia gli USA, sia la Germania, sia la Cina hanno però in questi mesi voluto o accettato il gioco pericoloso della «guerra valutaria», con una cessione di valore di dollaro, euro, yuan, per incrementare i rispettivi export.

Dietro il balzo del franco c'è la forza della Svizzera, ma c'è anche questa «guerra».
È un meccanismo che può portare qualche beneficio a qualcuno nel breve, ma che alla lunga può essere deleterio, perché al termine del percorso spesso ci sono conflitti commerciali e protezionismo.
Prima le grandi aree economiche usciranno da questa spirale di «svalutazioni di fatto», meglio sarà per l'economia mondiale. Senza guerre valutarie, il franco potrebbe restare forte, sì, ma senza impennate eccessive.

Le Borse chiudono un 2010 più positivo o meno negativo, a seconda dei casi, del previsto.
Molte imprese sono tornate a macinare utili e questo fa bene sia alle economie, sia ai mercati azionari.
Le tensioni però sono molte. Se è vero che alla fine c'è ancora un giudice (la citazione lo vuole a Berlino, ma vale anche altrove), allora è auspicabile che alla fine vi siano ancora leadership economiche e politiche ragionevoli. E che nel 2011 queste evitino, almeno, i grandi svarioni.

cdt , oggi
 
Tipografi di tutto il mondo unitevi...! :D
Qua in America stampiamo in allegria... ! Che schifo... E nel mirino della "speculazione" ci sono gli stati europei... pigs o non piigs, ma quanto può durare una roba del genere?

Geithner chiede al Congresso di alzare il tetto del debito pubblico contro il rischio default - Il Sole 24 ORE

Il segretario del Tesoro Timothy Geithner ha inviato una lettera al capogruppo democratico al Senato, Harry Reid, chiedendogli di sottoporre al Congresso una proposta di legge per alzare il tetto del debito pubblico che nei giorni scorsi ha toccato quota 14.000 miliardi di dollari. Il limite attuale é di 14.300 miliardi e di questo passo rischia di essere raggiunto entro la fine del trimestre. Nella lettera, afferma che senza azione il rischio è un default.


I legislatori americani hanno alzato il tetto del debito pubblico un anno fa ma, di questo passo, i 14.300 miliardi di dollari fissati attualmente potrebbero essere superati, fra il 31 marzo e il 16 maggio, osserva Geithner invitando all'azione.

Ogni eventuale aumento del tetto del debito dovrà essere accompagnato da tagli alla spesa. ha spiegato, in una nota, lo speaker della Camera John Boehner. «Gli americani non sosterranno un aumento del tetto a meno che non sia accompagnato da una significativa azione del presidente e del Congresso per tagliare la spesa».

Ma Geithner, nella lettera, argomenta che pur incisivi tagli alla spesa pubblica farebbero ritardare il raggiungimento del tetto di non più di due settimane.

Rischi
In assenza di azione, quindi, c'è il rischio default. Un default che avrebbe conseguenze catastrofiche e sarebbe più doloroso della crisi 2008-2009. «Un default - scrive Geithner - avrebbe conseguenze negative sullo status di rifugio sicuro dei titoli di Stato americani e sul ruolo dominante del dollaro nel sistema finanziario internazionale».

Un funzionario del Tesoro ha sottolineato che, nonostante l'ampio dibattito in corso sul tetto, l'amministrazione si aspetta che il Congresso «faccia la scelta responsabile», come in passato.
 
robe da film horror: :eek:
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Nel corso del 2010, 1,45 milioni di americani hanno smesso di cercare un lavoro, e non vengono più contati tra i disoccupati. La mancanza di lavoro sta devastando i 50 stati. Come ha riferito il Census Bureau il 5 gennaio, le entrate totali degli enti locali sono crollate del 30,8% dal 2008 al 2009, con una riduzione di 1.100 miliardi di dollari. La causa principale è la diminuzione sostanziale delle "entrate della previdenza sociale" che includono i fondi pensioni, i sussidi per la disoccupazione ed altri fondi previdenziali (ad esempio l'assistenza sanitaria, Medicare, e l'assicurazione per i reduci). Questo declino è dovuto sia alle grosse perdite degli investimenti fatti dai fondi pensione, così come all'aumento della disoccupazione e della povertà che riducono le entrate ed aumentano le spese. Mentre Lyndon LaRouche invita il governo federale ad intervenire ed aiutare gli stati a salvare i servizi vitali, il governatore della Federal Reserve Ben Bernanke non è d'accordo. Quando "Helicopter Ben", è apparso alla Commissione Bilancio del Senato il 7 gennaio, il Sen. Manchin gli ha chiesto se c'è un modo con cui la Fed potrebbe impedire l'insolvenza di uno stato, e il Sen. Cornyn gli ha chiesto se, dopo aver comprato così tanti debiti delle banche straniere, la Fed potrebbe comprare anche il debito degli stati e dei comuni. A entrambe le domande, Bernanke ha risposto di no. Nel frattempo, dietro questi dati desolanti, ci sono le realtà di vita e di morte per i cittadini. In quasi tutti gli stati sono stati drasticamente tagliati i fondi alla polizia ed ai vigili del fuoco, con il conseguente aumento della criminalità e degli incendi. Nel solo stato del New Jersey, in cui nel 2010 sono stati eliminati 2.200 posti di lavoro tra le forze dell'ordine, il numero degli omicidi è aumentato del 14%. Nella città di Oakland, in California, dove è stato licenziato il 10% della forza lavoro in polizia, il numero delle sparatorie è aumentato del 22%. Tragicamente, il governatore dell'Arizona Jan Brewer ha abolito i fondi ai trapianti d'organo per i poveri che finora erano coperti da Medicaid, e questo è costato già la vita a due pazienti. Ed ha annunciato che chiederà al CMS di concedere all'Arizona una deroga per eliminare 250.000 pazienti dall'elenco di Medicaid per "risparmiare" soldi. Lo Stato di Washington segue lo stesso corso, col governatore Chris Gregoire che propone di tagliare i sostegni medici a 56.000 "poveri che lavorano" nello stato, che secondo lui non rientrano in Medicaid. Nel Texas sono state ventilate proposte per eliminare tutti i trattamenti "facoltativi" di Medicaid, consentiti dalla normativa federale, quali farmaci, dialisi, cure per le malattie mentali, occhiali, apparecchi acustici per non udenti. Questo colpirebbe 3,3 milioni di bambini poveri, adulti e anziani fragili che rientrano nei programmi Medicaid. Oltre alla sanità ed all'assistenza sociale, viene tagliata anche l'istruzione in tutti gli stati, con alcune località come Hawaii che propongono una settimana scolastica di 4 giorni. Nell'Illinois, il feudo di Obama, il buco nel bilancio è di 15 miliardi di dollari (il 50% del bilancio totale), e lo stato sta già chiedendo prestiti alle banche e agli hedge funds a tassi da usura (cfr. EIR Strategic Alert 1/2011). Il nuovo governatore della California Jerry Brown sembra orientato a seguire le orme del suo predecessore Arnold Schwarzenegger, imponendo un'austerità brutale sulla popolazione, invece di dar retta a LaRouche e sostenere il progetto NAWAPA. LaRouche ha ragione: la situazione è senza speranza senza una riforma Glass-Steagall che protegga i cittadini, ed un programma di ripresa economica reale basato sul progetto NAWAPA.

:titanic:
 
IL COMMENTO ■ ALFONSO TUOR
La crisi debitoria, l'euro e la politica dei cerotti

Più si segue il succedersi degli avvenimenti che caratterizza­no questa crisi, che è scoppia­ta nell'agosto del 2007, più si è colpiti dalla mancanza di volontà di capirne le cause e quindi di cercare so­luzioni vere per tentare di uscirne.

È dif­ficile immaginare che siano ancora in molti a ritenere che si possa uscire da questo tunnel grazie alla continuazio­ne della politica dei cerotti, che pren­dono di volta in volta la forma di co­stosi pacchetti di salvataggio e/o di sti­molo dei governi oppure di acquisto di titoli di valore dubbio o di stampa di nuova moneta da parte delle banche centrali.

L'esempio più chiaro è sicuramente la crisi debitoria di alcuni Paesi europei.

La crisi continua e soprattutto continua ad allargarsi e ad aggravarsi.
Infatti, dopo la capitolazione della Grecia e del­l'Irlanda, oggi viene addirittura chiesta la resa del Portogallo in base alla teo­ria difficilmente comprensibile che essa dovrebbe rafforzare la nuova «linea Ma­ginot» costruita a difesa della Spagna e del Belgio, che ultimamente i merca­ti dei capitali hanno inserito nella lista delle prossime vittime della crisi di Eu­rolandia.

La storia insegna che le linee Maginot******

non tengono ed appare quin­di certo che nei prossimi mesi la Spa­gna diventerà il terreno su cui si gioche­rà una battaglia decisiva per la soprav­vivenza dell'euro.

Questa battaglia ver­rà decisa dalla disponibilità della Ger­mania di caricare sulle proprie spalle gran parte del debito sovrano dei Pae­si deboli europei.

Finora Berlino è in­tervenuta non solo per salvare l'euro, ma soprattutto per salvare il proprio si­stema bancario che è pieno di obbliga­zioni emesse da questi Stati.

Ma il co­sto del salvataggio di una Spagna ap­pare troppo grande, anche perché a una crisi spagnola farebbe ben presto segui­to una crisi belga e soprattutto una ita­liana. Quindi, sebbene i tempi si stia­no rivelando più lunghi di quanto ave­vo previsto, la crisi si concluderà con l'uscita della Germania dall'euro o con la creazione di un euro di serie A e uno di serie B.

Bisogna infatti capire che la crisi dell'eu­ro è solo una versione della crisi inter­nazionale.
Infatti in Europa come negli Stati Uniti gran parte dell'indebitamen­to accumulato dai privati (famiglie, im­prese e soprattutto sistema finanziario) non potrà mai non solo essere restituito, ma nemmeno potranno essere onorati gli interessi.

Quindi occorrerebbe guardare in faccia la realtà e riconoscere che bisogna ristrutturare questi debiti, cancellandone una gran parte.

Ciò però non viene fatto, poiché provocherebbe una nuova crisi del sistema bancario appena salvato a carissimo prezzo da governi e banche centrali.

Si prosegue quindi con la politica dei cerotti, che nella versione europea si traduce in aiuti enormi alle banche dati ufficialmente dagli Stati, come è accaduto in Irlanda, e di nascosto dalla Banca centrale europea (che sta letteralmente tenendo in piedi il sistema bancario di alcuni Paesi dell'UE) e contemporaneamente in politiche di estrema austerità che riducono in modo pesante il tenore di vita di larghi strati della po polazione.

Queste politiche aggravano le difficoltà economiche di questi Paesi e non migliorano affatto la loro situazione finanziaria.

Ad esempio, non si capisce per quali motivi la situazione finanziaria della Grecia, già critica l'anno scorso con un debito pubblico corrispondente circa al 120% del PIL, dovrebbe migliorare tra due/tre anni se, come prevedono UE e FMI, questo debito pubblico salirà al 150% del PIL.

Ciò vale anche per l'Irlanda, travolta dalla crisi del proprio sistema bancario, e varrà pure per il Portogallo, la Spagna e il Belgio.

Le politiche che vengono imposte portano infatti a risultati simili a quelli conseguiti dalla Lettonia, che ha subito una contrazione del 25% della propria economia, una riduzione del 20% dell'occupazione e un'emigrazione di massa che fa sì che oggi il 12% della popolazione lettone lavori all'estero.

Queste politiche non sono sostenibili non solo economicamente, ma soprattutto socialmente e politicamente.

In conclusione, è certo che la cosiddetta crisi dell'euro è destinata a continuare e a mietere nuove vittime.

È pure probabile che la politica statunitense di far stampare in continuazione dollari dalla Federal Reserve ci farà uscire dalla crisi, ma produrrà nuovi motivi di destabilizzazione dell'economia mondiale, come crisi valutarie e nuove bolle speculative (questa volta soprattutto nei Paesi emergenti).

Sarebbe pure necessario prendere atto che un'uscita vera dalla più grave crisi di questo dopoguerra può avvenire solo attraverso un profondo ridimensionamento del ruolo del sistema finanziario e soprattutto verso il riorientamento degli investimenti verso l'economia reale.

Il resto sono cerotti e palliativi.
..............
nd.r.

*****
ma é freudiano che la maginot la fotterono i teteschi ??

...................
sperém...
 
Ad esempio, non si capisce per quali motivi la situazione finanziaria della Grecia, già critica l'anno scorso con un debito pubblico corrispondente circa al 120% del PIL, dovrebbe migliorare tra due/tre anni se, come prevedono UE e FMI, questo debito pubblico salirà al 150% del PIL.
vaglielo a spiegare ai kamikaze dell'Egeo ....:rolleyes:
 

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