vabbè ... nessuno ne parla mai in questo forum ... lo posto io ... per sentire magari qualche parere ... 
http://www.vatican.va/holy_father/b...-xvi_enc_20090629_caritas-in-veritate_it.html
40. Le attuali dinamiche economiche internazionali, caratterizzate da gravi  distorsioni e disfunzioni, richiedono 
profondi cambiamenti anche nel modo di  intendere l'impresa. Vecchie modalità della vita imprenditoriale vengono  meno, ma altre promettenti si profilano all'orizzonte. Uno dei rischi maggiori è  senz'altro che l'impresa risponda quasi esclusivamente a chi in essa investe e  finisca così per ridurre la sua valenza sociale. Sempre meno le imprese, grazie  alla crescita di dimensione ed al bisogno di sempre maggiori capitali, fanno  capo a un imprenditore stabile che si senta responsabile a lungo termine, e non  solo a breve, della vita e dei risultati della sua impresa, e sempre meno  dipendono da un unico territorio. Inoltre la cosiddetta delocalizzazione  dell'attività produttiva può attenuare nell'imprenditore il senso di  responsabilità nei confronti di portatori di interessi, quali i lavoratori, i  fornitori, i consumatori, l'ambiente naturale e la più ampia società  circostante, a vantaggio degli azionisti, che non sono legati a uno spazio  specifico e godono quindi di una straordinaria mobilità. Il mercato  internazionale dei capitali, infatti, offre oggi una grande libertà di azione. È  però anche vero che si sta dilatando la consapevolezza circa la necessità di una  più ampia “responsabilità sociale” dell'impresa. Anche se le impostazioni etiche  che guidano oggi il dibattito sulla responsabilità sociale dell'impresa non sono  tutte accettabili secondo la prospettiva della dottrina sociale della Chiesa, è  un fatto che si va sempre più diffondendo il convincimento in base al quale la 
gestione dell'impresa non può tenere conto degli interessi dei soli  proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie  di soggetti che contribuiscono alla vita dell'impresa: i lavoratori, i  clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di riferimento.  Negli ultimi anni si è notata la crescita di una classe cosmopolita di 
 manager, che spesso rispondono solo alle indicazioni degli azionisti di  riferimento costituiti in genere da fondi anonimi che stabiliscono di fatto i  loro compensi. Anche oggi tuttavia vi sono molti manager che con analisi  lungimirante si rendono sempre più conto dei profondi legami che la loro impresa  ha con il territorio, o con i territori, in cui opera.  
Paolo VI invitava a  valutare seriamente il danno che il trasferimento all'estero di capitali a  esclusivo vantaggio personale può produrre alla propria Nazione [
95].  
Giovanni Paolo II avvertiva che 
investire ha sempre un significato morale,  oltre che economico [
96]. Tutto questo — va ribadito — è valido anche  oggi, nonostante che il mercato dei capitali sia stato fortemente liberalizzato  e le moderne mentalità tecnologiche possano indurre a pensare che investire sia  solo un fatto tecnico e non anche umano ed etico. Non c'è motivo per negare che  un certo capitale possa fare del bene, se investito all'estero piuttosto che in  patria. Devono però essere fatti salvi i vincoli di giustizia, tenendo anche  conto di come quel capitale si è formato e dei danni alle persone che comporterà  il suo mancato impiego nei luoghi in cui esso è stato generato [
97].   Bisogna evitare che il motivo per
 l'impiego delle risorse finanziarie sia  speculativo e ceda alla tentazione di ricercare solo profitto di breve termine,  e non anche la sostenibilità dell'impresa a lungo termine, il suo puntuale  servizio all'economia reale e l'attenzione alla promozione, in modo adeguato ed  opportuno, di iniziative economiche anche nei Paesi bisognosi di sviluppo. Non  c'è nemmeno motivo di negare che la delocalizzazione, quando comporta  investimenti e formazione, possa fare del bene alle popolazioni del Paese che la  ospita. Il lavoro e la conoscenza tecnica sono un bisogno universale. Non è però  lecito delocalizzare solo per godere di particolari condizioni di favore, o  peggio per sfruttamento, senza apportare alla società locale un vero contributo  per la nascita di un robusto sistema produttivo e sociale, fattore  imprescindibile di sviluppo stabile.