La vicenda è finita, ma il processo è solo agli inizi. Rignano Flaminio e le sue nonne pedofile tornano in prima pagine in un clima di indifferenza dettata più che altro dal ricordo della nausea con cui la vicenda riempì le prime pagine nell' aprile del 2007.
Dopo due anni e mezzo (l'inchiesta fu avviata nell'estate del 2006 e i media iniziarono ad interessarsene nell'ottobre del 2006) la scalcinata inchiesta prosegue e ora emerge un fatto nuovo:
il castello degli orrori sarebbe stato rintracciato questa estate in un casolare.
Tutto il resto è passato , distrutto dall'imperizia degli investigatori e dalla loro testardaggine controevidente: nessuna prova oggettiva degli orrori trovata da alcuno, un castello di prove psicologiche pagate profumatamente caduta nel discredito, bambini che ammettono che hanno mai visto nulla, ma solo sentito raccontato dai genitori, imputati che non potevano esserci.
Ma ora c'e' il castello intorno alle colline di Rignano, un apparente luogo in cui si sarebbero consumati i festini delle nonne e maestre pedofile, che rivive nelle favole di alcuni bambini (sempre di meno). E come una favola la vicenda di Rignano Flaminio si trasmette oralmente. Le versioni cambiano, i luoghi cambiano, gli attori entrano ed escono in questo processo kafkiano su cui si sono costruite alcune fortune, molte digrazie e tanta dabbenaggine collettiva.
Era il 2007 l'anno della psicosi della sicurezza, l'anno dell'inizio della crisi economica che allungava le sue ombre verrebbe da dire, e Rignano Flaminio fu un flash di follia di sinistre politicamente corrette (l'indagine si rimesto' in quei circoli dell'estrema sinistra) che spararono a canne piene su un Asilo (il fulcro dell'ambaradan si imperniò manco a dirlo sulla Lerici , rilanciata dal Manifesto e poi impalmata politicamente da Di Pietro) seguite a ruota da una destra forcaiola senza ritegno (il presidente dell'associazione genitori è di AN) con corda e sapone pronto. Dilagò la vicenda senza alcun ritegno, perchè chi mai puo' sopportare che i pedofili girino impuniti. E l'inchiesta appresso, anche quando dal Riesame alla Cassazione si sottolineavano che era viziata se non azzoppata.
Giunse anche il principe del foro, esperto in vicende mediatiche, l'avvcato Taormina ora scomparso dai slotti Tivvu' (ma che forse rientrerà in questi giorni per commentare la ghiotta notizia.
Qualcosa vi fu in quella vicenda: molta fantasia, molte psicosi, tante incapacita professionali, troppi cappelli che si affrettavano a mettere cappello sulla indignazione ( pene maggiori, chiesero Ferrero, Fini, Veltron , piuttosto che indagini più stringenti), psicologi che fanno la loro fortuna nelle procure e nelle Asl , organizzaioni e fondazioni antipedofile che son più dei pedofili in circolazione.
Rignano è e resterà una favola senza capo ne coda, una lunga favola da narrare a mezza voce e pronta ad essere disseppellita per riempire qualeche noiosa serata di indignazione o per allontanare la vergogna che ogni tanto ci prende scaricandola sul c'è di peggio
I pedofili ? sempre gli stessi, un paio di centinaia e qualche migliaio di guardoni sessualmente deviati su internet. Non è cambiato nulla, non poteva esserlo.
Tutti castelli gotici in aria. Come del resto non poteva non essere: non un solo processo sulla pedofilia negli asili s'e' concluso con condanne da brescia a Modena, passando per Torino e Bergamo, perchè quella dei pedofili negli asili a raccogliere materiale per le loro miserie umane è solamente un teorema costruito a tavolino, una favola dove si sfogano le indignazioni che non sanno più a che attacarsi , un facile cospirazionismo ufologico.
I tempi del processo prevedono un avvio in primavera e un inizio in autunno del 2009. E poi tanto tempo ci vorrà per smontare quel castello costruito sul nulla dei fatti.
Una favola appunto.
Rignano, la terza 'casa degli orrori'
I carabinieri: "Questo è il luogo"
di CARLO BONINI
ROMA - Un casale di campagna in stato di abbandono "riconosciuto", sostiene la pubblica accusa, come luogo dell'orrore, e tuttavia individuato e perquisito soltanto nel luglio scorso, nell'ultima finestra temporale utile di un'indagine durata due anni. I ricordi contraddittori di bambini che, in almeno tre casi, spiegano con candore di aver appreso dalla voce degli adulti gli abusi di cui sarebbero stati vittime. E, ora, un atto (per altro non ancora notificato) della Procura di Tivoli che, contestualmente, manda in archivio la posizione di tre degli otto indagati e dispone il deposito degli atti di accusa che prelude alla richiesta di giudizio per almeno tre donne (le maestre Patrizia Del Meglio, Silvana Magalotti e Marisa Pucci. Più controversa la posizione di una quarta insegnante, Assunta Pisani) e un uomo (l'autore televisivo Gianfranco Scancarello, marito della Del Meglio).
La disgraziata istruttoria sugli orchi di Rignano si chiude confermando quale ne è stata e ne resta la grana. Il metodo investigativo che l'ha governata. La perversa spirale in cui si è avvitata. Prolungando (l'udienza preliminare non si celebrerà prima di primavera, l'eventuale processo non prima dell'autunno) il naufragio emotivo di 24 bambini tra i 4 e i 5 anni, quello delle loro famiglie e di chi è accusato di esserne stato il carnefice.
Per rianimare il fantasma di Rignano ci sono voluti quindici mesi. A settembre 2007, la vicenda è di fatto chiusa. La Cassazione, nel confermare l'annullamento degli arresti di sei indagati, censura il lavoro del pubblico ministero Marco Mansi e del gip Elvira Tamburelli con argomenti, oltre che severi, definitivi. "Il quadro indiziario è insufficiente e contraddittorio". Le testimonianze dei bambini - motore dell'istruttoria e suo incipit - sono l'esito "di domande inducenti degli adulti", che sollecitano "aspettative" di fronte alle quali "i bambini finiscono per conformarsi".
Alla Procura, la legge non offre molte alternative. Se favorevole all'indagato, il cosiddetto "giudicato cautelare" (il giudizio incidentale con cui la Cassazione si pronuncia su un provvedimento di cattura) obbliga il pm a chiedere l'archiviazione delle accuse. A meno che "non intervengano fatti nuovi". Marco Mansi e, con lui, il gip Tamburelli fatti nuovi non ne hanno. Ma non hanno neppure alcuna intenzione di ammettere di aver infilato una strada sbagliata. Per tredici mesi (dall'estate 2007 a luglio 2008), ascoltano dunque, nelle forme dell'incidente probatorio, le testimonianze di 24 bambini, alla ricerca di ricordi che consentano di individuare il "fatto nuovo" in grado di aggirare l'ostacolo posto dalla Cassazione. Appaiono così "una fortezza", delle "statue", "medicine" somministrate ad "animali di pezza".
Rispetto a quello originario, demolito dal giudizio della Cassazione, il quadro accusatorio deve adattarsi a un nuovo canovaccio. Che il pm Mansi riscrive a mano libera. La scena del crimine non è più l'abitazione di una delle maestre (o quantomeno non più la sola); gli oggetti dell'orrore pedofilo non più i peluches collezionati in casa Scancarello-Del Meglio (le analisi del Ris non vi trovano tracce organiche); l'uomo nero non più il povero benzinaio cingalese Kelum De Silva, ma un misterioso figuro che attende le sue piccole vittime "in una fortezza".
In verità, nel corso dell'incidente probatorio, almeno tre bambine cominciano a dire anche dell'altro. Racconta la prima, nei cui capelli le visite specialistiche hanno trovato tracce di benzodiazepine (e, dunque, ritenuta la più probabile vittima di abuso), come sia nata la storia delle "maestre cattive". Chiede il gip: "Perché erano cattive?". "Non lo so. A me non hanno fatto niente". "E allora perché sono cattive?". "Me lo ha detto mamma, perché gli altri amichetti le dicevano che mi hanno portato anche a casa della bidella". Racconta la seconda, che della prima è cugina: "A me fortunatamente non è successo nulla. A me lo ha raccontato la mamma. Ho visto le cose al telegiornale. Ho visto la casa delle maestre". Racconta una terza: "Sì, uscivamo con il pulmino da scuola. Ma siamo andati al teatro Palatino a fare una recita".
Il pm di queste voci non si cura. Chiede che i carabinieri vengano a capo della "fortezza" degli orchi e, per diciassette volte, senza esito, vengono perquisiti altrettanti appartamenti, case di campagna "compatibili" con i ricordi dei bambini. Fino al luglio scorso. L'indagine ha compiuto i due anni. Non sono consentite altre proroghe. Ed è proprio allora che salta fuori un nuovo casale. È una costruzione abbandonata, con un legittimo proprietario (per altro non legato da alcun rapporto con gli indagati), dove i carabinieri, con una procedura quantomeno singolare per dei minori tra i 4 e i 5 anni, accompagnano alcuni dei bambini, trasformandoli in protagonisti del "riconoscimento". "È il luogo", concludono. Vengono sequestrati dei piatti, dei palloni, una Barbie. Non sono più possibili perizie (l'indagine è chiusa). Ma "il fatto nuovo c'è". La Procura può tirare dritto. La storia può ricominciare.