copiato ...cosi e' pratico..
Ciao,
dall'home page di questo sito:
Col referendum sulle riserve di oro in Svizzera parte la rivolta contro le banche centrali? - Economia - Investireoggi.it
Quanto sopra potrebbe determinare un forte rafforzamento del franco, dovrebbe, bisogna fare delle valutazioni più profonde.
Ciao
L’intenzione dei referendari è di impedire che la banca centrale continui a disfarsi dell’oro, come fece tra il 2000 e il 2005, quando vendette 1.400 tonnellate del metallo, operazione considerabile a posteriori un disastro, visto che le quotazioni sono successivamente triplicate. Ma l’intento più generale dell’UDC è di tenere sotto controllo la
base monetaria, evitando che la banca centrale abbia eccessivi spazi di manovra di politica monetaria, ad esempio, stampando moneta per svalutare il franco svizzero, ma con l’effetto collaterale di fare lievitare l’
inflazione.
I critici delle proposte sostengono che la SNB si legherebbe molto le mani e non potrebbe all’occorrenza nemmeno adottare una politica monetaria restrittiva, in quanto dovrebbe vendere titoli, ma con ciò riducendo il rapporto tra oro e attivi, che sarebbe fissato al 20% minimo. In più, l’operazione avrebbe un costo stimato a maggio in 63 miliardi di franchi svizzeri. E poi: se le altre banche centrali svalutano e la SNB non potrebbe più farlo, l’economia domestica non rischia di risentirne negativamente?
Ma i fautori del referendum sostengono che i benefici di medio-lungo termine siano superiori ai possibili contraccolpi di breve periodo, perché una moneta forte è fonte di stabilità dei prezzi, che unitamente a una forte capitalizzazione delle imprese porta a una maggiore competitività sui mercati internazionali, anziché illudersi di crescere con la svalutazione.
Il 30 novembre, però, non sarà scontro tra tecnicismi, bensì tra chi ritiene che la banca centrale non debba mettere a repentaglio il benessere dei suoi cittadini stampando moneta e destabilizzando i prezzi e chi, al contrario, pensa che la politica monetaria sia uno strumento a disposizione dei governi per intervenire in economia.
Il referendum sull’oro è azzeccatissimo per questo. Trattandosi di un asset disponibile in quantità limitata, si evita che la base monetaria si espanda scriteriatamente, dovendo rimanere legata all’oro. Si tratta di un ritorno in versione rivisitata al cosiddetto sistema del
“gold standard”. E con le stamperie di Federal Reserve, BCE e Bank of Japan che lavorano a pieno ritmo, il fenomeno di riflusso dei popoli contro le rispettive banche centrali potrebbe interessare presto tutte le più importanti economie del pianeta.
Il partito conservatore elvetico, l’UDC, ha ottenuto il via libera della Cancelleria federale per indire un
referendum sulle riserve auree della Schweizerische National-Bank (SNB), la banca centrale svizzera. Il voto chiesto dalla destra punta a tre obiettivi: rimpatriare l’oro svizzero oggi all’estero; la
SNB deve perdere il potere di vendere l’oro e l’ammontare delle riserve auree deve essere pari ad almeno il 20% delle riserve complessive. Considerando che le riserve di oro oggi nei caveau della SNB ammontano a circa 1.100 tonnellate, pari al 9% delle riserve estere complessive (520 miliardi di dollari) e per un controvalore di 49,5 miliardi di franchi svizzeri (39,6 miliardi di euro), se passasse il referendum voluto dall’UDC, la SNB sarebbe costretta nei prossimi anni a riacquistare oro per oltre 50 miliardi di dollari circa, ossia per un ammontare simile a quello oggi detenuto.
Referendum riserve auree Svizzera: le ragioni del fronte del “si”
Le ragioni di tale richiesta risiedono nelle paure degli svizzeri che le politiche di
forte allentamento monetario di Federal Reserve e BCE possano inondare i mercati di moneta e svalutino persino il forte franco. Tanto che si valuta l’ipotesi di emendare la Costituzione, imponendo l’emissione di una moneta parallela a contenuto aureo, in modo da evitare che il Paese possa subire un’ondata di svalutazione della moneta.
Tali timori sono rinvigoriti dalla constatazione che le banche centrali della UE detengono 10.800 tonnellate di oro nei loro caveau, qualcosa come quasi 500 miliardi di dollari e pari al 62,5% delle loro riserve estere. Probabile, quindi, che sulla base di quanto sta accadendo a Cipro anche gli altri istituti possano prendere in considerazione la cessione di oro per risanare i debiti (
Salvataggio di Cipro più caro, possibile la vendita dell’oro?).
E la Banca d’Italia, ad esempio, tra le maggiori sospettate per un possibile ragionamento del genere, detiene 2.451 tonnellate di oro, pari al 71,3% delle sue riserve complessive. Sufficienti, se vendute, a provocare un tonfo delle quotazioni dell’oro, come ha dimostrato il crollo della settimana scorsa, quando gli investitori hanno avuto anche la sola sensazione che ciò in Europa possa avvenire (
Crollo record prezzo oro: cosa spinge al ribasso?).
Possibili effetti collaterali dell’obbligo di riacquisto
Ma nel ragionamento degli svizzeri non quadrano un paio di cose. In primo luogo, il franco svizzero non solo non ha subito
svalutazioni dal crollo dell’euro nel 2012 e dalla crisi dell’Eurozona, ma al contrario ne ha beneficiato, perché è arci-noto a tutti che gli istituti elvetici siano considerati un rifugio in tempi di panico o di instabilità finanziaria altrove. Tanto che a fine 2011 la SNB ha fissato un tasso di cambio massimo tra euro e franco svizzero a 1,20, per evitare eccessive rivalutazioni che avrebbero messo in pericolo l’economia elvetica e creato contraccolpi agli investimenti dei suoi fondi pensione all’estero. Tradotto: è successo esattamente l’opposto di quanto i referendari temano.
Altra questione: la Svizzera ha adottato una politica di forte vendita di oro all’estero nella seconda metà del Duemila, beneficiando dei prezzi in ascesa dell’oro. Ma per quanto le quotazioni del metallo siano oggi basse, rispetto ai picchi dei mesi scorsi, comunque viaggiano sopra i 1.400 dollari l’oncia, ossia a livelli mediamente doppi di quanto avranno venduto gli svizzeri negli anni precedenti. A conti fatti, quindi, costringere la SNB a comprare nel futuro prossimo potrebbe rivelarsi una mossa costosa e senza senso, perché l’istituto potrebbe subire forti perdite e al contempo trovarsi nei caveau riserve auree probabilmente con prezzi calanti. E a poco vale il discorso che il 9% di oro sull’ammontare delle riserve estere sia una percentuale bassa, perché Pechino, per fare un esempio, detiene circa le stesse tonnellate di metallo, ma pari all’1,6% delle sue riserve complessive. Lo stesso Giappone, con 765,6 tonnellate, ha appena il 3,3% di riserve in oro.