Purtroppo devo mettere altra carne al fuoco.
Sinora abbiamo parlato di figurativo e astratto semplificando non poco. A suo tempo fu però evidenziato che anche in un autore come Magnelli si può vedere l'astrazione sorgere come da un richiamo alla figura assai semplificato. In pratica, varie sue opere possono esser viste sia come astratte, sia come figurative schematizzate e semplificate.
Inoltre, parlando dell'origine dell'astrattismo, tendenzialmente ci si limita, o quasi, al quadro capovolto di Kandinskij. E si segue l'evoluzione del russo dalle opere tardo figurative e stilizzate sino ai lavori posteriori al grande salto.
Però molto brevemente vorrei rifarmi a due grandi altri artisti, tre, ad essere precisi, per mostrare altre vie, e approfondire la seconda di queste.
Con Robert e Sonia Delaunay il passaggio all'astrattismo avviene per il ponte di un "cubismo orfico", una perdita progressiva dei riferimenti alle figure riconoscibili, perdita dovuta ad un processo di raffinazione in cui al colore vengono affidate responsabilità addirittura morali, che invece vengono tolte alle figure riconoscibili. Questo processo evidenzia quali fossero i fermenti pittorici di allora, e come si cercasse di uscire dalla rappresentazione del reale per molte vie.
L'altro nome che tirerei in ballo è quello di
Frantisek Kupka (1871-1947), in particolare per il quadro qui riprodotto (Lake/The Piano keys)
Come si vede, la tastiera del pianoforte si sfalda e si espande, a suggerire - abbastanza ingenuamente, a dire il vero - l'espansione della musica in direzione delle figure. Pertanto convivono nel quadro sia la parte figurativa, con il riconoscimento della scena in fondo, nonché dei tasti con le dita in primo piano, sia una parte mediana totalmente immaginata, portatrice di una atmosfera post-simbolista. Questa parte mediana può considerarsi proto-astratta, i tasti non sono più solo tasti, diventano segni significanti di per sé; rimandano alla musica, ma comunque non a qualcosa di visibile.
Da queste premesse, torno all'esperienza personale, una forma di serendipity, magari dovuta soprattutto alla mia storditaggine. Qui sotto è riprodotta una litografia del pittore svedese Torsten Hult, che conservo in casa. All'atto dell'acquisto la considerai un lavoro astratto, e mi appoggiai sui gesti ascendenti, quelle specie di V bianche, trovando che davano un buon effetto di entusiasmo ed anche una valida e piacevole distribuzione spaziale e coloristica. Leggerlo come astratto fece sì che mi applicai al puro gesto dell'artista, facendolo rivivere in me per empatia, ma senza che si dovesse riconoscere alcunché, un po' come si fa usualmente con un Vedova, per esempio.
Ohimè, solo dopo molto tempo
mi accorsi che in basso c'era una tastiera a destra, e poi si riconosceva un pianista in azione a sinistra, cosicché le V bianche ascendenti stavano ad indicare l'effetto delle note suonate, ovvero le note stesse. In pratica, Hult riproponeva l'ideazione di Kupka 50 anni dopo. Solo che, riconoscendo la parte inferiore come riferentesi al mondo fisico reale, il lavoro veniva guardato in tutt'altro modo. Con riguardo alle poche righe su Silvio Ceccato postate antecedentemente, si può tranquillamente affermare che nei due casi il percorso esplorativo dei bulbi oculari sia stato ben differente.
Questa non è una novità assoluta. Se qualcuno vuol provare a guardare la stessa immagine con il "compito" di trovarvi, per esempio, elementi di pericolo,o cercandone il lato comico (magari allora immaginando che sul pianista stiano piovendo pesanti oggetti metallici lanciati dagli spettatori) si vedrà come ogni volta l'esecuzione di un differente "compito" implichi un differente percorso fisico (gli occhi) e, naturalmente, attenzionale dello spettatore.
Basti pensare a come si muovano diversamente le mie mani nel buio della camera in cui mi sono alzato di notte a seconda che la camera sia la mia abituale, che conosco bene, ovvero una camera per me nuova e di cui so poco o nulla. Nel primo caso so cosa cercare, nel secondo no, e il movimento delle mani sarà più esitante e controllato, più trattenuto.
L'importante è che, leggendo l'opera come quadro astratto, ho potuto lasciarmi direttamente coinvolgere dal gesto ascendente dell'artista, cosa che avviene anche se prima si riconosce un soggetto figurativo, ma allora in maniera più razionale e frenata, meno coinvolgente.
Non vi è dunque solo una pittura in cui si riconosce un soggetto (che ho messo in rapporto con una abituale attività umana, ora un po' meno frequentata)
e una in cui si ricreano i rapporti tra pure forme e colori (rapportata alla facoltà di crearsi un proprio ambiente). Vi è anche l'arte che stimola direttamente in noi
l'imitazione della gestualità con cui l'artista ha creato, e poi via via
altri aspetti in relazione alle differenti facoltà acquisite dagli spettatori. Sino a giungere a quel
riconoscimento dell'io dell'artista cui accennavo pochi post fa.
Se però pretendo di vedere questa litografia
come guardo un cartello stradale (poche mosse, rapida interpretazione), allora resterò deluso.
Mi pare sia chiaro che, se l'artista lo propone, si può approcciare un'opera anche secondo più di una strategia, come dimostrano qui Kupka e Hult: solo che la proposta deve essere chiara, possibilmente univoca, già ben presente all'artista.
Infine, occorrerà dire che un lavoro come questo si distingue da quello di un bambino, da quello che "lo so fare anch'io" per la capacità equilibratrice dell'artista, che riesce a considerare ogni elemento dell'opera come facente parte di un tutto. Questo, però, si ricollega proprio alle capacità del suo io.