baleng
Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
riporto ancora quanto scrissi
Quanto al concetto di opera aperta, di cui alcuni han parlato.
Ho già scritto che anch'io ritengo non sia lecito andare in cerca di quanto l'autore non ci ha messo.
Peraltro, occorre riconoscere che non poche volte gli stessi autori credono di aver espresso complicati o profondi concetti, e pretendono che tutto il pubblico arrivi a vederli in opera. E invece l'opera vale al di là di tutti questi pseudo significati.
Che però un senso lo hanno: aiutano in privato l'artista, che può appoggiarsi ad essi per sostenere nel tempo l'ispirazione. Hanno cioè una funzione simile a quella, per esempio, delle forme musicali, quali la fuga, la sinfonia ecc.: aiutano a strutturare il lavoro.
Capire questi aspetti particolari può comunque aiutare l'ascoltatore, ma non dovrebbe essere indispensabile per apprezzare il lavoro musicale, o pittorico. Così una donna nel bagno di Bonnard ce la possiamo godere anche senza sapere che si tratta di sua moglie.
Quanto all'attività del riconoscere.
Non si è ancora ricordato quanto essa sia biologicamente importante. Ci si riconosce da piccolini essere della stessa specie della mamma ... (viceversa, esistono i casi del ragazzo-lupo, che si è riconosciuto come facente parte di un branco di lupi) ... nella foresta occorre riconoscere l'animale pericoloso e l'erba velenosa ... capire l'espressione dolce e quella aggressiva ... insomma biologicamente siamo determinati al destreggiarci tra le forme (certo, usando i vari altri sensi, odori, suoni, ma, appunto, anche la vista).
In quel linguaggio visivo in progressione che è l'arte l'uomo ha perfezionato vari dialetti, in diverse regioni, con cui "indicare" all'altro i contenuti del mondo concreto.
Ma come a un certo punto un uomo smise di camminare e si chiese come diavolo facesse a camminare, quali attività muscolari fossero implicate;
così un giorno un grande pittore spostò l'attenzione dall'oggetto rappresentato all'attività di colui che guardava, comprendendo che questa attività era molto più libera se slegata dal risultato, cioè dal riconoscere qualcosa.
Esiste un termine per descrivere un'attività di questo tipo, e il termine è "gioco". Nelle lingue anglosassoni si gioca la musica. Ora si può giocare anche la pittura.
Lo strano gioco dell'arte astratta è dunque un gioco per adulti non più in pericolo, mentre i bambini non hanno ancora gli strumenti per arrivarci, essi hanno bisogno di riconoscere, un bisogno legato alla sopravvivenza, anche se lo fanno più per esperienza di forze, di simboli, di vissuti, che per il tramite dell'osservazione obiettiva, fotografica della realtà.
Non è allora strano che una vera disponibilità verso un'arte composta di soli ritmi possa per molti essere filogeneticamente difficile. Chi riconosce nell'astratto figure che il pittore non ci ha messo, si tiene legato alla sua condizione di uomo in pericolo, obbligato a riconoscere di quali pericoli si tratti.
E' dunque necessaria una strana qualità per godere di un'opera non figurativa. Si tratta della fiducia, dovuta al fatto di non voler dare sempre un volto ai pericoli veri o presunti che ci attorniano.
Mi torna in mente la mia esperienza in Somalia. Vi erano dei bravi artigiani che realizzavano borse in pelle. Ho un'idea, ne faccio il disegno a matita, poi lo mostro a uno di loro e gli dico di fare una borsa così.
- Così come?
- Come nel disegno.
- Ma dov'è la borsa?
Così mi resi conto che loro sapevano rifare bene una borsa reale, potevano copiare l'oggetto, ma non erano in grado di leggere un disegno, un progetto della stessa.![]()
In pratica, scopersi che anche il disegno è un linguaggio non universale. I nativi non lo capivano proprio. E noi diamo per scontato, invece, che lo sia. Come balorda conseguenza, il mio disegno di una borsa, per loro era un disegno ... astratto.
Anche per i sostenitori dell'universalità della musica vi è materia di riflessione. Narra l'aneddoto, che corrisponde ad una storia reale, di alcuni dignitari cinesi che assistettero alla rappresentazione di un'opera a Napoli. Dapprima l'orchestra provò gli strumenti, li accordò ecc., come si usa ancora adesso; poi si fece silenzio e l'opera incominciò, con una piccola ouverture.
Ma nella relazione che essi fecero al sovrano al loro ritorno in patria, stava invece scritto qualcosa del genere: "Entrammo in una grande sala e subito venimmo accolti da un insieme di musiche e melodie meravigliose, dolci, soavi. Poi il direttore chiese il silenzio, subito dopo si mise a gesticolare come un pazzo e cominciò un fracasso mai udito cui partecipavano praticamente tutti gli strumentisti: altri urlavano ecc ... "![]()
Quanto al concetto di opera aperta, di cui alcuni han parlato.
Ho già scritto che anch'io ritengo non sia lecito andare in cerca di quanto l'autore non ci ha messo.
Peraltro, occorre riconoscere che non poche volte gli stessi autori credono di aver espresso complicati o profondi concetti, e pretendono che tutto il pubblico arrivi a vederli in opera. E invece l'opera vale al di là di tutti questi pseudo significati.
Che però un senso lo hanno: aiutano in privato l'artista, che può appoggiarsi ad essi per sostenere nel tempo l'ispirazione. Hanno cioè una funzione simile a quella, per esempio, delle forme musicali, quali la fuga, la sinfonia ecc.: aiutano a strutturare il lavoro.
Capire questi aspetti particolari può comunque aiutare l'ascoltatore, ma non dovrebbe essere indispensabile per apprezzare il lavoro musicale, o pittorico. Così una donna nel bagno di Bonnard ce la possiamo godere anche senza sapere che si tratta di sua moglie.
Quanto all'attività del riconoscere.
Non si è ancora ricordato quanto essa sia biologicamente importante. Ci si riconosce da piccolini essere della stessa specie della mamma ... (viceversa, esistono i casi del ragazzo-lupo, che si è riconosciuto come facente parte di un branco di lupi) ... nella foresta occorre riconoscere l'animale pericoloso e l'erba velenosa ... capire l'espressione dolce e quella aggressiva ... insomma biologicamente siamo determinati al destreggiarci tra le forme (certo, usando i vari altri sensi, odori, suoni, ma, appunto, anche la vista).
In quel linguaggio visivo in progressione che è l'arte l'uomo ha perfezionato vari dialetti, in diverse regioni, con cui "indicare" all'altro i contenuti del mondo concreto.
Ma come a un certo punto un uomo smise di camminare e si chiese come diavolo facesse a camminare, quali attività muscolari fossero implicate;
così un giorno un grande pittore spostò l'attenzione dall'oggetto rappresentato all'attività di colui che guardava, comprendendo che questa attività era molto più libera se slegata dal risultato, cioè dal riconoscere qualcosa.
Esiste un termine per descrivere un'attività di questo tipo, e il termine è "gioco". Nelle lingue anglosassoni si gioca la musica. Ora si può giocare anche la pittura.
Lo strano gioco dell'arte astratta è dunque un gioco per adulti non più in pericolo, mentre i bambini non hanno ancora gli strumenti per arrivarci, essi hanno bisogno di riconoscere, un bisogno legato alla sopravvivenza, anche se lo fanno più per esperienza di forze, di simboli, di vissuti, che per il tramite dell'osservazione obiettiva, fotografica della realtà.
Non è allora strano che una vera disponibilità verso un'arte composta di soli ritmi possa per molti essere filogeneticamente difficile. Chi riconosce nell'astratto figure che il pittore non ci ha messo, si tiene legato alla sua condizione di uomo in pericolo, obbligato a riconoscere di quali pericoli si tratti.
E' dunque necessaria una strana qualità per godere di un'opera non figurativa. Si tratta della fiducia, dovuta al fatto di non voler dare sempre un volto ai pericoli veri o presunti che ci attorniano.
Si è visto che nel XX secolo l'arte ha comunque risentito dell'aumentata velocità nella vita quotidiana, intendendo proprio i plurimi aspetti della velocità, dal viaggiare in aereo al compiere azioni più velocemente in casa, magari con l'aiuto di "supporti" tecnici..
Ho notato come l'esecuzione "sommaria" delle opere moderne, in paragone con quelle dell'antichità, abbia una relazione stretta con questo aspetto. Ugualmente, anche i tempi di osservazione del pubblico si sono velocizzati.
In effetti, in stretto rapporto con tale velocizzazione sta il fatto che, non dovendo il pittore rappresentare un quid, né l'osservatore riconoscerlo, una grossa parte (metà?) del "lavoro" viene riparmiata. Si tratta di quello che avevo definito come "rinuncia all'uso dei neuroni-specchio". E il tutto diviene più veloce di conseguenza.
Gli impacci che notiamo nello spettatore "sprovveduto" (cui sembra sempre di riconoscere qualcosa dove proprio non è questione) non si pensi che non abbiano fatto capolino anche nell'artista: qui e altrove abbiamo citato molti nomi di pittori che crearono astratto o figurativo in alternanza, ovvero inserirono nelle loro opere contemporaneamente i due aspetti.
Se però si immagina di entrare in una sala di quadri del 6/700, e poi in una identica sala, ma con appese solo opere astratte, si noterà che mediamente, se soprattutto si vuole vedere ciò che l'artista ci ha messo, il percorso della seconda verrà compiuto in minor tempo. Perché l'artista figurativo ci chiede ogni volta di resuscitare in noi, rappresentandocela come un fantasma o come uno stampo cavo, la realtà originaria che egli riprodusse. Questa è attività che chiede tempo.
Eppure, si è anche notato che già molti secoli addietro, se pur la somiglianza e la resa del reale venivano apprezzati, vi era comunque coscienza del fatto che l'aspetto della qualità artistica fosse altra cosa.
Tutto si spiega meglio pensando alla nascita della fotografia, che permise di adempiere velocemente ed economicamente ad un compito che prima la pittura si sobbarcava in toto (vabbè, l'arte: c'è anche la scultura). Sottolineo quell'economicamente: finché la stampa di fotografie non divenne un processo molto più economico, nei cataloghi (di vendite, per esempio) le opere pittoriche furono ancora illustrate facendo uso di acqueforti di riproduzione![]()
Bene: personalmente mi rendo conto che spesso osservo e valuto velocemente molti quadri figurativi (per es. nei mercatini), ma poi, se uno mi chiedesse quali fossero i soggetti rappresentati, balbetterei. Non lo so, o quasi. Capisco, cioè, che applico un modo di vedere che separa la rappresentazione-causa-accidentale dall'aspetto puramente artistico, ed è proprio per questo che riesco a farlo più velocemente. E' una questione di scelte: è più importante che cosa viene rappresentato oppure la qualità della rappresentazione? Per me buona la seconda: e mi concentro su quella, magari perdendo certi altri aspetti legati al soggetto, cui riservo sempre un secondo tempo eventuale (una volta presi una litografia non so di chi per certe sue qualità, solo dopo mesi accorgendomi che ritraeva un angolo assai noto di Venezia: cosa che invece fu la prima ad essere notata da chi quel pezzo ce l'ha ancora).![]()
Queste osservazioni sulla velocità ci fanno, spero, vedere perché il 900 sia stata epoca di pluralità stilistica mai vista. Se poi si considera che contemporaneamente o quasi la tecnica ha messo a disposizione "perfette" riproduzioni fotografiche (e filmiche!) e disponibilità di pigmenti (in tubetto) per tutti (mentre prima la cosa era molto più laboriosa), dalle logiche deduzioni, simili a quelle fatte osservando l'influenza di aspetti sociali ecc. sull'arte, arriviamo anche ad ottenere qualche strumento che ci permetta di leggere il contemporaneo.