A un certo punto il famoso clinico, nella camera del malato, fece un minuscolo cenno alla moglie del malato e con un dolce sorriso si avviò alla porta. La signora intuì.
Come furono nel corridoio, il clinico assunse un volto di assoluta circostanza, profondamente umano e comprensivo. Si schiarì la voce: «Signora», disse «è mio imprescindibile dovere, ahimè, farle presente… suo marito…»
«È grave?»
«Signora», disse lui «purtroppo… la situazione è tale… conviene rendersi conto che…»
«No, non mi dica!… Lei vuole intendere che…»
«Affatto, signora… Non bisogna, non bisogna assolutamente precipitare le cose… ma diciamo… diciamo… entro tre mesi… sì, sì, possiamo dire tre mesi… »
«Condannato?»
«Limiti alla provvidenza non ci sono, cara signora. Ma per quello che la nostra povera scienza può dirci… le ripeto… tre mesi al massimo… tre mesi…»
Un groppo violentissimo la colse. Parve accartocciarsi su se stessa. Si nascose la faccia tra le mani. Selvaggi singhiozzi la scuotevano: «Dio, Dio, il mio povero Giulio!».
Quand'ecco il luminare, che stava al capezzale del marito, con un minuscolo ammicco invitò la moglie del degente a uscire. E lei capì.
Una volta usciti, il medico chiuse lentamente la porta della camera. Poi si rivolse alla donna con la voce vellutata delle grandi occasioni: «Signora», disse «per un medico questi sono compiti estremamente ingrati. Tuttavia devo essere franco… suo marito…»
«Sta molto male?»
«Signora», fece l'altro abbassando ancora più il tono «è motivo per me di profondo disagio… ma è pure indispensabile che lei…»
«Allora, mi sembra di dover capire…» «Intendiamoci: sarebbe assolutamente fuori luogo anticipare gli eventi… ci rimane, suppongo, un certo respiro… ecco…un anno… un anno almeno…»
«Inguaribile, dunque?»
«Non c'è nulla di impossibile, signora, neanche i miracoli. Ma per quello che la scienza mi consente di capire… direi proprio un anno…»
La poveretta ebbe un sussulto, piegò la testa, si coperse gli occhi con le mani scoppiando in un pianto disperato: «Oh, il mio povero cocco!».
Ma ci fu momento che gli sguardi del grande clinico e quelli della moglie del malato si incontrarono. Lei capì che l'uomo la invitava uscire. Lasciarono così il malato solo. Di fuori, dopo avere chiuso la porta, il professore, con l'accento grave e insieme denso di partecipazione affettiva, mormorò:
«Triste, mi creda, è per un medico assolvere certi indesiderabili doveri… Ecco, signora, sono costretto a farle sapere che… suo marito…»
«È in pericolo?»
Rispose il dotto terapeuta:
«Una menzogna in questi casi, signora, sarebbe una cattiva azione… non posso nasconderle che…»
«Professore, professore, mi parli pure con il cuore in mano, mi dica tutto…» «Qui bisogna intenderci, signora… guai a mettere il carro davanti ai buoi… Non è imminente… non posso neppure essere preciso… però come minimo… ancora una tregua di tre anni…»
«Così, non c'è più niente da sperare?»
«Sarebbe leggerezza da parte mia offrirle inutili illusioni… malauguratamente la situazione è chiara… entro tre anni…»
La sciagurata non seppe dominarsi. Mandò un penoso gemito, quindi si sciolse in lacrime gridando:
«Ah, mio marito… il mio povero marito!»
Senonché nella camera dell'infermo si fece un silenzio. E allora, quasi per trasmissione telepatica, la moglie seppe che il celebre medico desiderava uscire dalla stanza insieme con lei.
Uscirono infatti. E quando fu certo che il malato non poteva udirlo, il patologo, chinatosi verso la signora, le sussurrò in un orecchio:
«Ahimè, signora, è questo per me un momento assai penoso… non posso fare a meno di avvertirla… suo marito…»
«Non ci sono più speranze?»
«Signora», disse l'uomo «sarebbe sciocco e disonesto se io con eufemismi tentassi di…»
«Povera me… e dire che mi ero illusa… povera me!»
«Eh no, signora, proprio perché io non intendo tacerle nulla, non voglio neppure che adesso lei faccia tragedie premature… Vedo avvicinarsi sì il termine fatale… ma non prima… non prima di vent'anni…»
«Dannato senza remissione?»
«In un certo senso sì… Non posso dissimularle, signora, l'amara verità, al massimo vent'anni… più di vent'anni non posso garantire…»
Fu più forte di lei. Per non cadere dovette appoggiarsi a una parete, singhiozzando. E mugolava: «No, no, non posso crederci, il mio povero Giulio!».
Tossicchiò allora con diplomazia il dottore guardando in un certo modo la moglie del cliente, che stava a lui di fronte, di là del letto: era evidentemente un invito a uscire con lui.
Appena nel vestibolo, la signora afferrò per un braccio il famoso oracolo, chiedendogli, apprensiva:
«E allora?».
Al che lui rispose con voce da giudizio universale: «Allora è mio dovere essere franco… signora, suo marito….»
«Mi devo rassegnare?»
Fece il medico:
«Le do la mia parola che se appena si prospettasse una vaga possibilità… ma invece…»
«Mio Dio, è terribile… Mio Dio!»
«La capisco signora… e mi creda partecipe al suo dolore… D'altra parte non si tratta di una forma galoppante. Penso che, a compiersi, la funesta parabola impiegherà… impiegherà circa cinquant'anni.»
«Come? Non c'è più scampo?»
«No, signora, no… e glielo dico col cuore stretto, mi creda… C'è un margine, ma non più di cinquant'anni…»
Ci fu una pausa. Poi il grido straziante di lei, come se un carbone acceso le fosse penetrato nelle viscere: «Uhhhh! uhhhh! No e poi no!… il mio uomo! il mio tesoro benedetto!»
All'improvviso si riscosse. Guardò fisso il luminare negli occhi. Gli strinse un polso.
«Professore, dico, ma allora… Ho saputo da lei una cosa terribile. Ma, dico, tra cinquant'anni, dico… mezzo secolo… tra cinquant'anni anch'io… anche lei… In fondo, allora è una condanna di tutti, no?»
«Proprio così, signora. Tra cinquant'anni noi tutti saremo sotto terra, perlomeno è probabile. Ma c'è una differenza, la differenza che ci salva, noi due, e invece condanna suo marito… Per noi due, almeno che si sappia, nulla ancora è stabilito… Noi possiamo vivere ancora, in beata stoltezza forse, come quando avevamo dieci anni dodici anni. Noi potremmo morire tra un'ora, tra dieci giorni, tra un mese, non ha importanza, è un'altra cosa. Lui no. Per lui la sentenza esiste già. La morte, in sé, non è poi una cosa così orribile, forse. Tutti la avremo. Guai però se sappiamo, fosse anche tra un secolo, due secoli, il tempo preciso che verrà.»
Dino Buzzati