Se confermata e' non un'ottima notizia , di piu'
La situazione macro dell’eurozona peggiora. Molto più rapidamente e seriamente di quanto la stessa Bce avesse messo in preventivo. Non a caso,
Christine Lagarde – in collegamento all’annuale Forum di Sintra, forzatamente in versione virtuale – ha ribadito come l’Eurotower non solo sia pronta a ricalibrare gli strumenti messi in campo finora per contrastare gli effetti della pandemia, ma che
la politica di supporto all’economia dell’eurozona
proseguirà anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria. Di fatto, un apparente sconfessione della linea più volte invocata dai cosiddetti
falchi del Nord Europa, ferrei nel ribadire il carattere di emergenzialità del Pepp e quindi la sua limitazione temporale. La quale, paradossalmente, avrebbe dovuto patire un ulteriore ridimensionamento alla luce dell’annuncio di Pfizer rispetto all’efficacia del vaccino. E il fatto che ieri fonti Bce abbiano sentito il bisogno di ribadire la prontezza di intervento spiega come i timori economici siano ancora ampiamente prevalenti sulla speranza scientifica. Ma a mostrare cosa starebbe accedando dietro le quinte, in vista del board del 10 dicembre, ci pensano queste due immagini
di fatto due
strappi contrapposti di un medesimo articolo della legge di bilancio federale tedesca. Il primo relativo allo scorso anno, il secondo facente riferimento alla bozza di quella per il 2021 e in via di approvazione. Di fatto, viene innalzata dal 10% al 20% sull’
outstanding totale
la quota di debito federale che il governo può detenere a bilancio. Una cifra enorme. Per mettere in prospettiva la quale, basta dare un’occhiata a questi due grafici
i quali segnalano l’aumento esponenziale di detenzioni interne di Bund alla voce
General government in atto in Germania già nel corso del 2020. Cosa significa tutto questo? Da un lato,
il Tesoro tedesco ha emesso Bund per circa 140 miliardi di euro che non sono transitati sul mercato secondario ma terminati direttamente nel bilancio del governo, di fatto creando un cuscinetto di sicurezza, utilizzato quasi certamente per finanziare alcune delle misure di sostegno
monstre messe in campo a livello nazionale. Una pratica ampiamente distorisiva e, di fatto, contraria alle regole europee. Poiché quei Bund se dovessero rimanere a bilancio e non essere monetizzati attraverso la loro vendita, non risulterebbero come voce di
liability. Ovvero, non andrebbero a incidere sul debito pubblico.
E questo grafico
mostra come già nell’arco di quest’anno lo sforamento del limite del 10% contemplato nella scorsa finanziaria si sia ampiamente concretizzato, obbligando quindi i legislatori a
intervenire con una deroga senza precedenti per evitare una palese violazione di legge.
Operando in questo modo, la Germania non aumenta il flottante di Bund disponibili sul mercato secondario ma garantisce comunque un aumento delle disponibilità di titoli di Stato in seno al controvalore totale del Qe. Insomma, gonfia artificialmente la disponibilità, drenando offerta che finisce nel bilancio statale invece che a disposizione degli investitori. E questo abbassa le quote per emittente, favorendo la politica di deroga alla
capital key e di limite massimo del 33% per singola Banca centrale nazionale che sta garantendo al Pepp l’unico successo che sta ottenendo: spread sotto controllo ovunque nei Paesi a più alto rischio da indebitamento strutturale.
E questo grafico
ne è la conferma: in quello che appare un paradosso quasi kafkiano o da teatro di Ionesco, in perfetta contemporanea con l’allarme della Bce, il rendimento del titolo a 2 anni della Grecia è passato in territorio negativo. Insomma, l’onore di avere in portfolio carta ellenica a 2 anni va pagato. Una compressione artificiale dovuta tutta e unicamente all’operativa
front-load sul mercato proprio del Pepp. Senza il quale, già oggi, saremmo dentro un altro 2011. Ma con magnitudo di stock debitorio dei vari Stati raddoppiate e strumenti di contrasto monetario da parte della Bce in gran parte già dispiegate,
prive quindi dell’effetto sorpresa da Whatever it takes. E una crisi sovrana all’interno di una crisi pandemica, nemmeno la Germania e la sua economia potrebbero reggerle. In nessun modo.
Ecco quindi che Angela Merkel e Jens Weidmann hanno giocato in tandem, recitando pressoché alla perfezione una parodia hollywoodiana da poliziotto cattivo e poliziotto buono. Il primo agitando in maniera sempre più palese e diretta la minaccia di rivolta in seno al board Bce, in caso si proseguisse con questa politica di finanziamento diretto dei deficit sovrani, la seconda giocando la carta della mediazione perenne, forte del suo ruolo di presidente di turno dell’Unione. E una volta ottenuto l’effetto sperato – ovvero,
la presa d’atto urbi et orbi della contrarietà “frugale” verso quei Paesi che non attivino i programmi di aiuto europei ma godano solo degli acquisti derogati della Bce e degli aiuti a fondo perduto -, ecco arrivare il punto di equilibrio. Di fatto, al tempo stesso declinabile come compromesso percorribile o ultima, disperata risorsa.
Perché compromesso? Per un motivo semplice: con questa mossa sul bilancio statale, la Germania garantisce alla Bce
la possibilità di raddoppio netto dell’ammontare a disposizione dell’APP, ovvero il programma di Qe originario varato da Mario Draghi e divenuto veicolo di intervento fisso e sistemico dell’Eurotower. Cioé, quello a cui Christine Lagarde dovrà giocoforza ricorrere per rendere credibile la sua promessa di sostegno diretto alle economie anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria. Di più, oltre al controvalore si va a incidere anche sulla durata, poiché il livello di “liberazione” dello spazio di intervento sugli acquisti e il gap a disposizione a livello di limite per emittente permette un prolungamento fino al 2023.
Insomma, la Germania ha appena servito su un piatto d’argento a Christine Lagarde la possibilità di operare davvero in modalità bazooka il 10 dicembre prossimo, quantomeno a livello di deterrenza immediata. Ovviamente, una dinamica simile ha un costo. Le pressioni su Spagna, Portogallo e soprattutto Italia affinché mettano da parte i propri ego ipertrofici da autarchia sul debito e
accedano al Mes si faranno facilmente non più sopportabili. E sarà proprio Christine Lagarde, con ogni probablità, ad alzare il telefono in tal senso, al fine di ottenere il classico risultato del
due piccioni con una fava: non deludere le aspettative di mercato da qui a meno di un mese e contemporaneamente portare sul piatto d’argento ai Paesi del Nord le condizionalità richieste per firmare e staccare l’ennesimo assegno, garantendosi una tregua in seno al Consiglio.
E i regimi di lockdown ormai in atto con varie sfumature in tutta l’eurozona, paiono offrire altrettanti alibi ai relativi governi per giustificare di fronte alle opinioni pubbliche la propria inversione a U rispetto al Fondo salva-Stati. Insomma, una soluzione forse c’è davvero per evitare una crisi sistemica dell’eurozona. Onorevole per tutti. E, piaccia o meno, l’ha garantita Angela Merkel