Tutto sommato condivisibile.....
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Ha ragione Michel Barnier, commissario europeo ai servizi finanziari, nel dire che bisogna agire subito sulle regole finanziarie europee. Non basta aspettare le riforme americane, serve un’azione autonoma europea che metta sotto controllo anche le agenzie di rating oltre al mercato dei derivati. L’impianto Ue andrà senz’altro coordinato con le norme statunintesi e internazionali, ma il sistema finanziario europeo deve dimostrare la propria autonomia. Non perché Moody’s abbia appena messo sotto osservazione il debito del Portogallo o perché Standard & Poor’s abbia appena tracciato le linee di un “contagio” europeo della crisi greca, ma perché troppo spesso le agenzie di rating hanno sbagliato e perché alcuni dogmi come il rating da tripla A della Gran Bretagna e degli Stati Uniti oggi non sono più accettabili. A Washington si discute infatti da tempo della trasparenza di questi giudici privati dei bilanci di colossi finanziari e di nazioni e fra le proposte in campo c’è quella di sottoporre il loro operato alla vigilanza della Sec, la Consob americana.
Il premio Nobel dell’Economia Paul Krugmann ha ricordato recentemente sulle colonne del New York Times che il 93% delle Mbs (titoli che avevano come sottostante dei mutui cartolarizzati) che avevano ricevuto un bel AAA dalle agenzie di rating nel 2006 oggi sono ridotte a titoli spazzatura.
Il senatore statunitense Carl Levin, che guida una commissione d’inchiesta in merito, ha portato delle mail interne di molti operatori delle agenzie che secondo lui confermano “i peggiori sospetti” sia sui conflitti di interessi con le banche che sulla superficialità di molti rating. Levin, per condannare un sistema nel quale le agenzie di rating sono pagate da coloro che devono valutare (a partire dalle banche da cui deriva gran parte del loro fatturato) ha detto che è come se un giudice fosse pagato dall’imputato.
Nessuno mette in dubbio l’utilità e la necessità dei rating sui debiti delle aziende e delle nazioni, né dei report dei revisori sui bilanci delle società e sull’andamento dei vari titoli finanziari, tuttavia è chiaro che qualcosa nel meccanismo è andato fuori controllo. Se i controllori non pagano per i propri errori, ma rimangono in grado di mettere in ginocchio paesi come la Grecia o il Portogallo anche dopo aver sbagliato clamorosamente in passato come nel caso Enron o Parmalat qualcosa chiaramente non va. Servono nuove regole.
I giudizi delle agenzie di rating hanno fallito anche con numerosi stati americani che hanno comprato strumenti poi rivelatisi assolutamente meno sicuri di quanto certificato. Risultato? Una pioggia di cause si addensa contro queste agenzie. Oltretutto negli anni passati la crescita del fatturato delle agenzie di rating è stata fenomenale e il contributo dei prodotti di finanza strutturata che poi erano alla base della sanguinosa bolla appena scoppiata (almeno in parte) non è stato indifferente. Fra il 2002 e il 2007 i ricavi delle agenzie di rating dai strumenti come i titoli salsiccia o gli mbs di cui sopra si sono triplicati sia per Standard & Poor’s che per Moody’s.
Al contempo i mercati di riferimento di queste montagne di miliardi diventavano sempre meno trasparenti fino a far chiedere a qualcuno nel mezzo della crisi in corso: ma dove era nascosto tutto questo debito? L’esempio è facile facile. Il mercato dei cds, ossia delle assicurazioni contro il default di un emittente come la Grecia o la Goldman Sachs, sono uno strumento legittimo ma poco liquido e poco trasparente. Gruppi come JP Morgan e altri colossi finanziari spadroneggiano su queste piattaforme, tuttavia la regolamentazione di questi mercati è ancora per lo meno primitiva. Si dirà: cose da tecnici... e invece no. Sui cds la Grecia si sta giocando il suo futuro, sull’andamento dei credit default swap Standard & Poor’s ha basato le proprie azioni sul rating del Portogallo. Ma, se alla fine si considera che banche come JP Morgan pagano gran parte delle fatture di agenzie come Standard & Poor’s per giudicare i prodotti che loro stesse devono vendere, si capisce che la possibilità di affari diventa davvero eccessiva. Se poi il meccanismo finisce per intaccare la sovranità degli stati e per mettere a repentaglio il futuro di milioni di persone il problema delle regole diventa di primo piano..
(GD)