Quel che si sa fin d’ora è che i Cds continuano a essere una  mina esplosiva sulle sorti del mercato, per ora non disinnescata,  nonostante i buoni propositi enunciati dal G20, fin dal vertice  del 2009. Entro la fine del  2012 , era stato deciso dal summit dei  ministri finanziari, gli scambi  dei Cds avrebbero dovuto essere  concentrati  in mercati organizzati. In particolare, i Cds sugli Stati  sovrani avrebbero dovuto essere gestiti dalla società di clearing  controllata dalla Financial Securities Authority britannica. Ma, a  undici mesi dalla scadenza prevista, solo il 9,4%  delle operazioni di  uno sterminato mercato da 29.600 miliardi di contratti (dato della Bri  di Basilea) risulta avvenire in  una stanza di compensazione ufficiale.
 Eppure, gli avvenimenti del 2008/09, culminati con il salvataggio di  Aig, che rischiava di esser sommersa da valanghe di Cds che non era in  grado di onorare, e delle sue controparti (in primis Goldman Sachs)  hanno dimostrato che i Cds, efficaci nella gestione di contratti  sulle società private, non sono in grado di garantire alcuna protezione  in occasione di una crisi sistemica come quella che potrebbe innescarsi  con un default selvaggio della Grecia.  I 50 miliardi di Cds rivelati dal New York Times, dunque, rischiano di essere la punta di un iceberg che, in assenza di nuove regole, potrebbe innescare una crisi di sistema.
 Ai Cds ha dedicato una parte della sua relazione nel  corso del recente convegno Aiaf Emilio Girino, professionista e docente  del dipartimento Fince del Cuoa, dal titolo illuminante “Come  disinquinare il mercato degli oscuri pseudo-derivati”.
 Secondo Girino è sbagliato considerare il Cds alla stregua di un  derivato finanziario, invece che un contratto di copertura assicurativa.  In questo modo è stato possibile che il derivato potesse stipularsi  senza alcuna limitazione o preclusione. “In questo modo – dice Girino –  il mercato si è rapidamente riempito di Cds multipli, cioè la  stipulazione di più Cds sullo stesso credito, e di Cds nudi, stipulati  anche in assenza di un credito da proteggere”. Ovvero “ad esser un po’  rozzi, il Cds multiplo equivale ad assicurare cinque volte o più la  propria casa contro l’incendio, il  Cds nudo vuol dire assicurare la  casa del vicino”.
 Le conseguenze? Il Cds è diventato un’arma speculativa per eccellenza. “Chi ha stipulato un Cds multiplo – spiega Girino – ha paradossalmente l'interesse che il debitore non adempia,  cioè che la casa propria bruci, perché dal default ricaverebbe assai di  più che dall’adempimento (nell’esempio, cinque volte il valore della  casa). Chi ha stipulato un Cds nudo ha solo interesse che il debitore  non adempia, cioè che la casa del vicino bruci, perché solo così si  procurerà un profitto”.  E’ questo l’obiettivo di buona parte dei  detentori di Cds, che non hanno alcuna necessità di proteggersi contro  titoli che non possiedono. “Chi ha fatto schizzare il valore dei Cds  sull’Italia ancor prima del declassamento del rating non possedeva  nemmeno l’ombra di un Btp”.
 Tutto questo è possibile perché il valore del Cds, trasformato in uno strumento negoziabile, è  influenzato dal volume degli scambi assai di più che dalla solvibilità del debitore.  Scambi, del resto, più opachi che mai, perché avvengono senza alcun  controllo né alcuna trasparenza. Il mercato over the counter è  concentrato nelle mani di di cinque colossi bancari internazionali che  hanno facile gioco ad influenzare i prezzi in assenza di qualsiasi  tracciabilità degli scambi che, in certi casi, avvengono in busta  chiusa.
 Contro questo mercato si sono espressi Warren Buffett, che ha parlato  di “strumenti di distruzione di massa finanziari” (ma pure ne ha  largamente usufruito), e Jean-Claude Trichet. Ogni tentativo di  regolazione è per ora approdato a ben poco.
 Le conseguenze sono inquietanti. “Se fosse in vigore un sistema di  regole in questa parte rilevante del sistema – argomenta il New York  Times – non ci sarebbe incertezza sulla capacità delle controparti di  tener fede ai propri impegni anche in epoche di crisi. Sarebbe  sufficiente imporre il passaggio attraverso le clearing house, il cui  compito è proprio di verificare la consistenza delle garanzie dei  soggetti dei contratti. Solo loro potrebbero imporre misure  standard e verificare la consistenza delle garanzie, magari aumentandole   nel caso che le circostanze lo richiedano”.
 Al contrario, per usare l’esempio del quotidiano Usa, “se la  congiuntura italiana peggiorasse, il costo della protezione di un Cds  sul default Italia potrebbe schizzare in alto rispetto ai 401.000  dollari per 10 milioni pagati in questi giorni. Ma in tal caso il  venditore del Cds, spesso una banca italiana, avrebbe difficoltà a far  fronte all’impegno. Si creerebbe una crisi di liquidità che, a catena,  potrebbe far esplodere una crisi di sistema”. Difficile che capiti, anzi  molto difficile dopo la rete di protezione stesa dalla Bce. Ma  la sola eventualità è un’arma formidabile in mano a pochi speculatori,  che si arricchiscono con poco rischio. In assenza di una vera risposta  dei regolatori.