...VERS0 UN AUMENTO DI CAPITALE. Il cash flow garantisce continuità aziendale nell’immediato, ma il gruppo ha poche alternative per far fronte alla montagna di debiti: un aumento di capitale dopo quello da 200 milioni andato a buon fine nel 2009. Oppure la conversione dei bond in azioni di cui parla lo stesso Cappellini, o magari la dismissione di alcuni asset, a cominciare da quelli esteri.
UN SALVAGENTE DA 1 MILIARDI. Servirebbe un salvagente da 1 miliardo e sarebbe una ricapitalizzazione da primato. Ma i fondi che controllano il gruppo da quell’orecchio sono del tutto sordi.
Ecco, i fondi, il tasto dolente di tutta la vicenda Seat. La lussemburghese Cvc (29,41%), l’italiana Investitori Associati (7,01%), le britanniche Bc Partners e Permira. Una pesante quota del debito emesso è servita a coprire i costi della loro scalata e adesso non hanno proprio voglia di sborsare ancora dopo aver ristrutturato i passivi con le banche.
L'IMPASSE DEI FONDI. È una storia che parte da lontano quella degli attuali investitori di private equity in Seat. Dalle privatizzazioni sbagliate degli anni ’90, con l’entrata e poi l’uscita di Telecom Italia, fino all’irruzione sulla scena dei soggetti attuali, che nel 2003 investirono 3 miliardi dopo aver già beneficiato della privatizzazione e successivamente estrassero valore per 4,4 miliardi grazie a una maxicedola e a una cessione di Borsa pari al 12,4%.
Ora, però, la festa è finita e i fondi progettano il way out. Si sa che di solito il private equity mantiene l’investimento usolo per qualche anno. E quando passa come Attila, lasciando macerie alle sue spalle, non è facile trovare un compratore che sposi la causa.
TITOLO, PERFORMANCE NEGATIVA. Il capitale sociale del gruppo è di 450 milioni, ma il titolo ha performato malissimo nell’ultimo anno, perdendo oltre il 50% del valore (oggi calato di oltre 8 punti).
Inoltre, Standard&Poor’s ha tagliato per ben due volte il rating di Seat, a dicembre e a marzo, definendo «le misure diluitive sul fronte del debito» come «equivalenti a una situazione di default».
UNA PARTITA DIFFICILE. Un analista che ha chiesto l’anonimato ha detto a Lettera43.it: «Malgrado buoni margini, sarà difficile trovare un salvatore della patria. I ricavi pubblicitari sull’online erano migliorati fino al 2008, poi c’è stata la crisi e ora non sembra che buttarsi a capofitto su internet possa essere la panacea di tutti i mali per Seat».
Eppure il coraggioso Cappellini continua a scommettere molto sul web. In Italia i ricavi telematici del gruppo hanno accelerato fino a un +70% nel 2010 e rappresentano ormai il 41% dei ricavi core. In più, la società ha annunciato il lancio delle pagine gialle e bianche su Ipad. Basterà abbandonare la carta e tuffarsi in rete per salvare la nave dal naufragio? Venerdì, 15 Aprile 2011