Idee e grafici. - Cap. 2

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siamo un paese da recintare: terza riforma delle pensioni in 20 anni e la facciamo incostituzionale
e meno male che il governo era costituito da eminenti cattedratici
per mantenere in piedi la macchina statale ci chiedono il 60% di imposte tra dirette e indirette e ne riceviamo servizi da paese del terzo mondo, anzi quarto

Pensioni, per Corte Conti la legge Fornero è incostituzionale: quali saranno le conseguenze di una pronuncia della Consulta?
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Di Redazione IBTimes Italia | 29.07.2014 12:06 CEST
24 ore dopo l'intervista sul Fatto in cui l'ex ministro del Lavoro Elsa Fornero tornava a farsi viva, difendendo le sue riforme ("Io ho modificato l'articolo 18 per livellare il rapporto tra le generazioni, per ridurre le cause di lavoro. Non l'ho ucciso", "sugli esodati sono stata ferita per un uso strumentale di un problema che va seguito negli anni"), ecco giungere notizia che la riforma delle pensioni (dicembre 2011) arriverà alla Corte Costituzionale per un giudizio di legittimità.


La decisione è stata presa ieri dalla Corte dei Conti ligure a seguito di un ricorso presentato da una pensionata che chiedeva all'INPS l'adeguamento del trattamento per gli anni 2012-2013. La riforma del governo Monti, votata tanto dal PD che dall'allora PDL, stabilisce proprio "il blocco della perequazione automatica delle pensioni di importo superiore a tre volte il minimo INPS" per gli anni 2012-2013. La Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti della Liguria ha quindi deciso di sollevare la questione di legittimità davanti alla Corte Costituzionale.

Secondo i magistrati contabili la normativa "mina il sistema di adeguamento di tali trattamenti pensionistici sganciandoli, per un tempo considerevole, dalle variazioni derivanti dal costo della vita, con conseguente violazione dei principi di sufficienza e adeguatezza", causando "effetti sul patrimonio dei destinatari, dal momento che i mancati aumenti sono perduti per sempre".

In poche parole, secondo i magistrati contabili la riforma Fornero delle pensioni comporta per il pensionato una perdita di potere d'acquisto, poiché, mentre l'assegno resta congelato, il costo della vita aumenta (seppur di poco, negli ultimi anni), producendo una perdita in termini reali per il pensionato. Si tratta, inoltre, di una perdita che difficilmente sarà compensata, visto che occorrerebbero in futuro adeguamenti superiori al costo della vita, che il sistema pensionistico non può permettersi.

La decisione della Consulta non arriverà prima di diversi mesi, e se dovesse essere accettata la questione sollevata dalla Corte dei Conti c'è il rischio che la riforma delle pensioni Fornero venga incrinata, ripristinando almeno in parte l'insostenibile situazione precedente: dopo due decenni di riforme rimandate e annacquate, infatti, il sistema pensionistico aveva iniziato a scricchiolare sinistramente all'inizio del decennio, a causa della pressione di problemi rimasti irrisolti per troppo tempo, come del resto l'intero sistema Italia, in quel tetro autunno del 2011 in cui lo spettro del default era tangibile.

Ciò ha costretto il governo Monti a intervenire con una riforma che, per evitare il collasso del sistema, ha implementato in un colpo solo soluzioni che si sarebbero potute applicare gradualmente sin dall'inizio degli anni Novanta, se politica e sindacati si fossero mossi per tempo e con adeguato giudizio.

In caso di giudizio positivo da parte della Consulta, l'Italia rischia di dover ricominciare da capo: le alternative sono continuare a togliere risorse alle sempre minori coorti lavoratrici (di solito giovani) per passarle agli anziani (che saranno sempre più numerosi), oppure accettare il collasso di un sistema lasciato a marcire per troppo tempo.

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Buona giornata a tutti
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Pensioni, ecco come sono cambiati gli assegni a due anni dalla riforma Fornero

di Rossella Cadeo30 luglio 2014
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Argomenti: Previdenza complementare | Montecitorio | Italia | Vittorio Conti | Inps





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Sulle pensioni il dibattito è sempre aperto, così come sulle misure necessarie per completare il percorso – avviato con la riforma Fornero di fine 2011 – per la messa in sicurezza del sistema previdenziale. Si torna a ventilare l'ipotesi di un contributo di solidarietà sugli assegni più alti (3,5-4mila euro) da inserire nella prossima legge di Stabilità, si lavora sull'opportunità di includere anche i pensionati tra i beneficiari del bonus Irpef di 80 euro (sempre che si trovi la dote finanziaria che permetta di renderlo strutturale), si cercano nuove strade per allargare la platea dei salvaguardati e reinserire categorie di lavoratori esclusi, allentando i requisiti fissati con il primo intervento del 2011.

Il quadro
E se la spesa pensionistica oggi si attesta al 16,3% del Pil (avendo scongiurato il rischio che si superasse il 18%) per un importo complessivo Ivs di 170 miliardi (190 incluse le prestazioni assistenziali), è anche vero che le prestazioni vigenti sono circa 14,5 milioni (oltre 18 compresi autonomi e altre gestioni) e che il rapporto tra contribuenti e pensioni si è ridotto da 129,1 a 126,4 dal 2012 al 2013.
Intanto si prevedono assegni meno ricchi con un costante calo dei tassi di sostituzione (effetto dell'innalzamento del requisito anagrafico, del passaggio al sistema contributivo ma anche della congiuntura economica) e da più parti – tra le ultime voci che si sono levate, quella del commissario straordinario dell'Inps Vittorio Conti, in occasione della Relazione annuale a Montecitorio – si sottolinea la necessità di un rilancio delle adesioni alla previdenza complementare.

Bilancio
A fronte di questa situazione in continua evoluzione e da tenere sotto controllo è comunque possibile fare un primo bilancio sull'andamento e la distribuzione territoriale degli assegni pensionistici da prima a dopo la riforma.
Secondo le elaborazioni effettuate dal Sole 24 Ore sugli ultimi dati Inps, le anzianità (ora sostituite dalla "anticipata") sono passate dai 2,7 milioni del 2003 ai circa 4 milioni attuali, quasi raddoppiando in poco più di dieci anni, ma salendo solo del il 4,4% nell'ultimo triennio. Gli assegni di vecchiaia (i più numerosi) si mantengono da anni intorno ai 5 milioni, con un incremento inferiore al 2% dal 2003 ad oggi, ma segnando addirittura un calo dell'1,1% dal 2011 al 2013. In ridimensionamento anche i prepensionamenti: oggi sono circa 295mila mentre nel 2003 sfioravano quota 400mila (-25%), con una diminuzione del 7% nell'ultimo triennio.
Quanto agli importi, i più elevati si individuano nel segmento anzianità/anticipata e nei prepensionamenti (1.500 euro al mese la media segnalata dall'Osservatorio Inps) mentre la vecchiaia si aggira sui 670 euro, per una media totale di circa 1.100 euro.
Sul territorio
Più articolato il quadro territoriale delle pensioni (che, si ricorda, non corrispondono ai soggetti percettori, ma al numero di assegni erogati dell'Inps).
A livello complessivo (si veda la tabella «Pensioni totali» a fianco che include vecchiaia, anzianità e prepensionamenti) si nota che nelle province del Nord e del Centro Nord le prestazioni "coprono" da un quarto a un quinto della popolazione, a fronte di una media pari al 16%: ai massimi si trovano realtà di media grandezza, come Biella, Ancona, Ferrara (con un rapporto assegni/residenti intorno al 25%) e nella top ten si contano cinque piemontesi. Ben posizionate le realtà di maggiori dimensioni, come Torino, Bologna e Milano (sul 21%).
Tutta appannaggio delle province meridionali la coda della graduatoria, dove Napoli è ultima con il 7,6% mentre altre dieci realtà del Sud (tra cui sette siciliane) non arrivano al 10% nell'incidenza delle pensioni sulla popolazione. Un divario, quello dello scenario post-lavorativo, che non poteva non rispecchiare quello economico-occupazionale.
Anche nelle classifiche che danno lo spaccato territoriale della «Vecchiaia» e della «Anzianità» (a pagina 3) si osserva un'analoga ripartizione: le pensioni di vecchiaia sono diffuse nel 9% della popolazione italiana, ma la percentuale supera il 15% ad Ancona (seguita da Imperia, Trieste, Savona e Alessandria) e scende intorno al 5% a Napoli e in tre siciliane (Siracusa, Catania, Caltanissetta).
Biella, con il 15,4%, seguita da Ferrara e tre piemontesi spicca nelle anzianità, mentre qui è Crotone a scivolare all'ultimo posto preceduta da Napoli, entrambe sul 2,2%, indice pari a un terzo rispetto alla media Italia (6,7%).
Roma – che per "densità" si colloca sotto la media in tutte le tre classifiche – per gli importi occupa invece il primo posto, seguita da Milano: entrambe con circa 1.400 euro al mese nella classifica «Pensioni totali» e oltre 2.000 nelle «Anzianità». Napoli si prende una rivincita salendo sul podio nella categoria «Vecchiaia», dopo la solita coppia. Ma anche negli importi resta ampio il divario tra Nord e Sud, con Catanzaro fanalino di coda nelle classifiche «Totale» e «Anzianità» e la sorpresa di Ancona ultima nella «Vecchiaia».
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Notizie Americhe

Argentina verso un default da 29 miliardi

di Marco Valsania, con un articolo di Enrico Marro30 luglio 2014Commenti (12)

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Argomenti: Risparmio personale | Buenos Aires | Corte Suprema degli Stati Uniti | Cristina Kirchner | NML | Bank of New York Mellon | Paul Singer | Elliott Management | Daniel Pollack






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Il ministro dell'Economia argentino Kicillof (Ap)


New York - Il conto alla rovescia verso una nuova crisi del debito è ormai agli sgoccioli per l'Argentina. Se nel nuovo round negoziale oggi e domani a New York con i creditori ribelli non verrà trovato un accordo, Buenos Aires finirà automaticamente in default, per la seconda volta in 13 anni. Un record. Perché la giustizia statunitense, davanti alla quale il caso è stato dibattuto, ha deciso che il governo di Cristina Kirchner potrà effettuare i pagamenti dovuti entro domani notte su titoli ristrutturati del debito sovrano soltanto se pagherà contemporaneamente gli hedge fund che non hanno invece accettato la ristrutturazione, una sentenza finora respinta da Buenos Aires. E, potenzialmente, l'apertura della crisi potrebbe dar vita a un'irrefrenabile valanga di richieste di pagamenti da parte di un esercito di creditori, stimati fino a 29 miliardi di dollari, pari al totale delle obbligazioni che ha emesso in valuta internazionale e in grado di svuotare le casse del Paese di valuta pregiata.
Le cifre della disputa
Il governo argentino deve versare 539 milioni di dollari in interessi su 13 miliardi di dollari in titoli al 2033 del debito ristrutturato, dopo il default su cento miliardi di obbligazioni in valuta estera dichiarato nel 2001. La scadenza è il 30 luglio, al termine di un periodo di grazia. Buenos Aires ha trasferito in realtà i fondi necessari presso la Bank of New York Mellon, ma questi sono stati congelati dal giudice Thomas Griesa finché non sia stato risolto anche il contenzioso con gli investitori che hanno rifiutato gli accordi di ristrutturazione. Una cordata di hedge fund americani chiede il pagamento integrale di vecchi bond per 1,3 miliardi di dollari, una cifra che sale a 1,5 miliardi con gli interessi.
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La saga giudiziaria
I bond argentini denominati in dollari sono soggetti alla giurisdizione americana. Qui il tribunale del giudice Griesa ha dato ragione ai fondi statunitensi, che hanno accusato il governo argentino di violare i suoi obblighi mentre Buenos Aires ha contrattaccato denunciando i fondi come spregiudicati speculatori, o «avvoltoi». Il caso è arrivato nei mesi scorsi fino alla Corte Suprema degli Stati Uniti che ha confermato la sentenza di Griesa. Le parti sono così tornate davanti al magistrato, che ha ordinato negoziati a oltranza con un mediatore di sua nomina, Daniel Pollack, finora senza esito. Griesa ha tuttavia respinto finora le richieste dell'Argentina di ulteriori rinvii per dare maggior tempo al negoziato.
Chi sono i fondi ribelli
Gli hedge fund che hanno rifiutato l'offerta di concambio dei vecchi titoli in default con nuovi bond, che comportava perdite fino al 70%, sono guidati da NML Capital, una controllata di Elliott Management di Paul Singer, miliardario specializzato negli investimenti in distressed debt, obbligazioni in crisi. Singer e i suoi alleati hanno indicato di volere pagamenti integrali ma di essere disposti ad accettare una formula con un mix composto di contanti e nuovi titoli. Il concambio dei bond argentini era avvenuto in due fasi, nel 2005 e nel 2010, accettato da oltre il 90% dei creditori con il 7% di dissidenti.
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L'argentina nel default del 2001 ha rovinato i risparmiatori di mezzo mondo, bruciando il 75% del loro credito.
Oggi i giudici di New York bloccano i pochi spiccioli che l'Argentina mette a disposizione per pagare gli interesse sui titoli attribuiti con le ristrutturazioni del 2005 e 2010.
I giudici hanno dato ragione a fondi speculativi (hedge fund) americani, alla faccia di migliaia di risparmiatori senza protezione che pagano per la seconda volta la sfortunata scelta di investimento. Gli hedge fund ricorrenti hanno comprato a prezzi stracciati le obbligazioni argentine per le quali chiedono il rimborso al 100% del valore nominale.
Questo non scagiona la Repubblica Argentina dal suo comportamento del 2001, a dir poco scorretto, verso i risparmiatori di tutto il mondo. L’Argentina poteva sospendere i pagamenti, allungare le scadenze, ridurre l’interesse, ma non doveva intaccare il debito nominale.
Brutta storia, replicata nel modo peggiore possibile nella recente vicenda greca.
 
questa e la nuova piattaforma Sella o iniziato sollo ieri a settarla ,non immagini il numero di indicatori che e posibile impostare ..Io purtroppo non sonno molto bravo con la teoria uno spreco
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