Idee e grafici. - Cap. 2

Buona giornata a tutti


oggi vediamo se rimbalza o inizi la discesa ,gli stoc orari sonno scarichi ma un po può scendere ancora .
Non mi piace la violazione del 20,500 questo e un preludio che puo sfondare i vari supporti da qui a 19,900

Sembra tanto ma la situazione e molto seria ,
La politica e da CIRCO MASSIMO Il pagliaccio migliore e RENZI .......


che tristezza. al di la dei commenti, quelli riportati in questo articolo sono numeri devastanti


http://www.libreidee.org/2014/07/missio ... -in-cifre/

Missione compiuta, l’Italia muore: la catastrofe in cifre
Scritto il 31/7/14 • nella Categoria: segnalazioni
Un paese in ginocchio, mutilato, raso al suolo dalla crisi inasprita dall’euro e dal regime di austerity imposto da Bruxelles per mantenere in vita la moneta unica. L’Italia sta letteralmente andando a pezzi: tutti se ne accorgono ogni giorno, mentre la disoccupazione dilaga, i consumi crollano, i negozi chiudono e le aziende licenziano. Ma il panorama si fa ancora più impressionante se si osservano, tutti insieme, i numeri della catastrofe. E’ quello che ha fatto il blog “Sollevazione”, pescando tutte le cifre ufficiali degli indicatori-chiave. Un bollettino di guerra, voce per voce. Produzione e ricchezza, industria e redditi, debito e risparmi. L’Italia in rosso, che sta precipando lontano dalla sua storia, senza neppure capire perché. Ognuno combatte, da solo, contro continui rovesci: non ci sono spiragli, non c’è alcuna “ripresa” nemmeno all’orizzonte. Ma nessuno racconta davvero l’assedio del panico, la paura sciorinata dai “crudi numeri”, che forse non fotograno «le dimensioni effettive del disastro economico e sociale che vive l’Italia», però «ci aiutano a comprenderlo».Secondo gli analisti di “Sollevazione”, la resa matematica dell’Italia rivelata dai conti – la lingua spietata del pallottoliere – permette anche di «capire come le politiche austeritarie per tenere in piedi l’euro, il sistema bancocratico e il capitalismo-casinò, abbiano affossato il nostro paese», il cui Pil ha perso 8,7 punti percentuali a partire dal 2007, inclusa la manipolazione dello spread che ha “armato” la gigantesca manomissione operata da Monti e Fornero, con la loro “spending review” e la riforma-suicidio delle pensioni. Un’agenda peraltro proseguita da Letta: tagliare la spesa, ben sapendo che il “risparmio” dello Stato manda in crisi il settore privato, facendo calare il gettito fiscale e quindi esplodere il debito pubblico. Matteo Renzi? Niente di nuovo: neoliberismo puro, a cominciare dal Jobs Act per precarizzare ulteriormente il lavoro. Aggravanti: la neutralizzazione delle ultime difese sociali garantite dalla Costituzione, come vuole l’élite finanziaria, e l’eliminazione fisica dell’opposizione attraverso una legge elettorale come l’Italicum, definita peggiore – per le sue restrizioni – di quella che permise a Mussolini di consolidare il neonato regime fascista.Tutto questo, mentre il paese soccombe ogni giorno: in sei anni, il Pil pro capite è calato di 9 punti (di 10, invece, il reddito reale disponibile per le famiglie). Stesse percentuali per la frana della ricchezza nazionale: -9% dal 2007 al 2013, pari a 843 miliardi di euro. C’era una volta l’Italia: nello stesso periodo, la produzione industriale è crollata addirittura del 25,5%. Sta andando in frantumi, grazie alla politica imposta da Berlino, il maggior competitore europeo della Germania. Tra il 2001 e in 2013, l’Italia ha perso 120.000 fabbriche. Sono cifre da scenario bellico, e non sono riguardano solo l’industria: ci sono anche le 75.000 imprese artigiane costrette a chiudere. Anno record per il fallimenti, l’infame 2013 delle “larghe intese”: qualcosa come 111.000 fallimenti, in appena dodici mesi. Contraccolpo catastrofico, la disoccupazione: dal 2001, con l’ingresso nell’Eurozona, l’industria italiana ha perso un milione e 160.000 posti di lavoro. Colpa anche dell’assenza di credito: nonostante ricevano denaro dalla Bce a tassi «prossimi allo zero», le banche continuano a finanziare le imprese con prestiti al 4,49%, mentre negli altri paesi dell’Eurozona l’interesse medio è al 3,8%.Anche così il lavoro si estingue alla velocità della luce. Dal 2007, la piaga della disoccupazione è più che raddoppiata: dal 6,1% al 12,7 attuale. «I disoccupati ufficiali sono 3 milioni e 300.000», rileva “Sollevazione”, ai quali vanno però aggiunti «altri 3 milioni di persone», che ormai non si rivolgono neppure più ai centri per l’impiego: i cosiddetti “sfiduciati” fanno salire a quasi 6 milioni e mezzo il totale dei disoccupati italiani, proprio mentre la Germania del super-export vede salire ai massimi storici la quota degli occupati. C’è anche il trucco, naturalmente: un tedesco su quattro accetta i mini-job da 450 euro al mese. E’ la strada aperta in Italia dal Jobs Act di Renzi, di fronte a una platea oceanica di giovani senza lavoro: il 43%, più del doppio dei ragazzi disoccupati nel 2007. Sta male, comunque, la stragrande maggioranza dei salari italiani: «Con uno stipendio netto di 21.374 dollari l’anno, l’Italia si colloca al 23esimo posto nella classifica Ocse: se la passano peggio solo i portoghesi e gli abitanti dei paesi dell’Europa orientale». A valanga, la mancanza di impiego si traduce in forte calo dei consumi familiari, tagliati di quasi il 10% solo negli ultimi due anni. A farne le spese è anche il risparmio, continuamente eroso per far fronte all’emergenza economica, mentre la super-tassazione disposta dall’Ue ha raggiunto per l’Italia il 44% del Pil.«Se si considera il periodo tra il 2011 e il 2012 – precisa “Sollevazione” – soltanto l’Ungheria, in Unione Europea, ha conosciuto un aumento delle tasse rispetto al Pil superiore a quello dell’Italia». E’ un circolo vizioso: imporre più tasse a chi già le paga, per tentare (inutilmente) di arginare il calo delle entrate, comunque – già oggi – superiori alla somma delle uscite: situazione che sarà ulteriormente aggravata dal Fiscal Compact e cronicizzata dall’inserimento del pareggio di bilancio nella Costituzione. In pratica, la fine dello Stato sociale e delle garanzie sui servizi vitali – scuola e sanità in primis, peraltro minacciate di privatizzazione forzata dal Ttip e dal Tisa, i trattati segreti euro-atlantici imposti dagli Usa, che Renzi preme per approvare in fretta. Cartina di tornasole di questa autentica catastrofe, il debito pubblico: era pari al 103,3% del Pil nel 2007, ma ha raggiunto il 132,9% nel 2013. «L’ultimo rilevamento di Bankitalia ci dice che il debito pubblico ha toccato a maggio 2014 un nuovo record storico: quota 2.166,3 miliardi, con un aumento di 20 miliardi sul mese precedente».Va in rosso il conto delle famiglie, nel paese che prima dell’avvento dell’euro era il più risparmiatore d’Europa: rispetto al Pil, dal 1998 al 2012 il debito privato delle imprese è passato dall’85 al 120%, quello delle banche dal 40 al 110%, quello delle famiglie dal 30 al 50%. Paradossalmente, osserva “Sollevazione”, «in questo periodo quello che è cresciuto meno è stato proprio il debito pubblico», mentre il debito aggregato – pubblico e privato – è letteralmente esploso, dal 275% ad oltre il 400%. Spaventose pure le sofferenze bancarie, cresciute di 100 miliardi dal 2007 al 2013, per un totale di 147,3 miliardi di euro. Ed ecco l’ultimo gradino della tragedia: la povertà. Un fantasma che mette paura: l’esercito dei nuovi poveri e il timore che crescano furti e rapine ha aumentato del 5,7% i denari lasciati in custodia alle banche, oltre 1,2 miliardi di euro. Secondo Eurostat, gli «individui a rischio povertà o esclusione sociale» nel 2008 erano in Italia il 25,3%, e sono diventati il 29,9% nel 2012. L’ Istat è ancora più preciso: «Un italiano su dieci è in povertà assoluta».Tra il 2012 e il 2013, spiega l’istituto di statistica, l’incidenza della povertà assoluta è aumentata dal 6,8 al 7,9%, coinvolgendo oltre 300.000 famiglie e 1 milione 206.000 persone in più rispetto all’anno precedente. «E’ povera, o quasi povera, una famiglia su cinque». Poi c’è la “povertà relativa”, quelle delle famiglie (sono quasi 3 milioni e mezzo) il cui portafoglio mensile è inferiore alla spesa media nazionale, 972 euro al mese. Sono famiglie che cercano di sopravvivere con meno di 800 euro al mese, che si riducono a meno di 750 nel Mezzogiorno, dove più evidenti sono le diseguaglianze che la “crisi” ha fatto esplodere. Nel 1992, l’Italia era un paese relativamente equilibrato: non c’era un abisso tra ricchi e poveri e la classe media era in ottima salute. Oggi, praticamente, è in via di estinzione e teme di sprofondare giorno per giorno verso la povertà. Nel 2013, l’Italia è risultato «il paese più diseguale dell’Unione Europea, dopo la Gran Bretagna». Solo che il Regno Unito non è ingabbiato dall’euro. Infatti, a Londra, economia e occupazione stanno decisamente meglio rispetto alla media dell’atroce Eurozona, di cui l’Italia – dopo la Grecia – è la vittima principale.
Un paese in ginocchio, mutilato, raso al suolo dalla crisi inasprita dall’euro e dal regime di austerity imposto da Bruxelles per mantenere in vita la moneta unica. L’Italia sta letteralmente andando a pezzi: tutti se ne accorgono ogni giorno, mentre la disoccupazione dilaga, i consumi crollano, i negozi chiudono e le aziende licenziano. Ma il panorama si fa ancora più impressionante se si osservano, tutti insieme, i numeri della catastrofe. E’ quello che ha fatto il blog “Sollevazione”, pescando tutte le cifre ufficiali degli indicatori-chiave. Un bollettino di guerra, voce per voce. Produzione e ricchezza, industria e redditi, debito e risparmi. L’Italia in rosso, che sta precipando lontano dalla sua storia, senza neppure capire perché. Ognuno combatte, da solo, contro continui rovesci: non ci sono spiragli, non c’è alcuna “ripresa” nemmeno all’orizzonte. Ma nessuno racconta davvero l’assedio del panico, la paura sciorinata dai “crudi numeri”, che forse non fotografano «le dimensioni effettive del disastro economico e sociale che vive l’Italia», però «ci aiutano a comprenderlo».

Secondo gli analisti di “Sollevazione”, la resa matematica dell’Italia rivelata dai conti – la lingua spietata del pallottoliere – permette anche di «capire Elsa Fornero e Mario Monticome le politiche austeritarie per tenere in piedi l’euro, il sistema bancocratico e il capitalismo-casinò, abbiano affossato il nostro paese», il cui Pil ha perso 8,7 punti percentuali a partire dal 2007, inclusa la manipolazione dello spread che ha “armato” la gigantesca manomissione operata da Monti e Fornero, con la loro “spending review” e la riforma-suicidio delle pensioni. Un’agenda peraltro proseguita da Letta: tagliare la spesa, ben sapendo che il “risparmio” dello Stato manda in crisi il settore privato, facendo calare il gettito fiscale e quindi esplodere il debito pubblico. Matteo Renzi? Niente di nuovo: neoliberismo puro, a cominciare dal Jobs Act per precarizzare ulteriormente il lavoro. Aggravanti: la neutralizzazione delle ultime difese sociali garantite dalla Costituzione, come vuole l’élite finanziaria, e l’eliminazione fisica dell’opposizione attraverso una legge elettorale come l’Italicum, definita peggiore – per le sue restrizioni – di quella che permise a Mussolini di consolidare il neonato regime fascista.

Tutto questo, mentre il paese soccombe ogni giorno: in sei anni, il Pil pro capite è calato di 9 punti (di 10, invece, il reddito reale disponibile per le famiglie). Stesse percentuali per la frana della ricchezza nazionale: -9% dal 2007 al 2013, pari a 843 miliardi di euro. C’era una volta l’Italia: nello stesso periodo, la produzione industriale è crollata addirittura del 25,5%. Sta andando in frantumi, grazie alla politica imposta da Berlino, il maggior competitore europeo della Germania. Tra il 2001 e in 2013, l’Italia ha perso 120.000 fabbriche. Sono cifre da scenario bellico, e non sono riguardano solo l’industria: ci sono anche le 75.000 imprese artigiane costrette a chiudere. Anno record per il fallimenti, l’infame 2013 delle “larghe intese”: qualcosa come 111.000 fallimenti, in appena dodici mesi. Contraccolpo catastrofico, la disoccupazione: dal 2001, con l’ingresso nell’Eurozona, l’industria italiana ha perso un milione e 160.000 posti di lavoro. Colpa anche dell’assenza di credito: nonostante ricevano denaro dalla Bce a tassi «prossimi allo zero», le banche continuano a finanziare le imprese con Renziprestiti al 4,49%, mentre negli altri paesi dell’Eurozona l’interesse medio è al 3,8%.

Anche così il lavoro si estingue alla velocità della luce. Dal 2007, la piaga della disoccupazione è più che raddoppiata: dal 6,1% al 12,7 attuale. «I disoccupati ufficiali sono 3 milioni e 300.000», rileva “Sollevazione”, ai quali vanno però aggiunti «altri 3 milioni di persone», che ormai non si rivolgono neppure più ai centri per l’impiego: i cosiddetti “sfiduciati” fanno salire a quasi 6 milioni e mezzo il totale dei disoccupati italiani, proprio mentre la Germania del super-export vede salire ai massimi storici la quota degli occupati. C’è anche il trucco, naturalmente: un tedesco su quattro accetta i mini-job da 450 euro al mese. E’ la strada aperta in Italia dal Jobs Act di Renzi, di fronte a una platea oceanica di giovani senza lavoro: il 43%, più del doppio dei ragazzi disoccupati nel 2007. Sta male, comunque, la stragrande maggioranza dei salari italiani: «Con uno stipendio netto di 21.374 dollari l’anno, l’Italia si colloca al 23esimo posto nella classifica Ocse: se la passano peggio solo i portoghesi e gli abitanti dei paesi dell’Europa orientale». A valanga, la mancanza di impiego si traduce in forte calo dei consumi familiari, tagliati di quasi il 10% solo negli ultimi due anni. A farne le spese è anche il risparmio, continuamente eroso per far fronte all’emergenza economica, mentre la super-tassazione disposta dall’Ue ha raggiunto per l’Italia il 44% del Pil.

«Se si considera il periodo tra il 2011 e il 2012 – precisa “Sollevazione” – soltanto l’Ungheria, in Unione Europea, ha conosciuto un aumento delle tasse rispetto al Pil superiore a quello dell’Italia». E’ un circolo vizioso: imporre più tasse a chi già le paga, per tentare (inutilmente) di arginare il calo delle entrate, comunque – già oggi – superiori alla somma delle uscite: situazione che sarà ulteriormente aggravata dal Fiscal Compact e cronicizzata dall’inserimento del pareggio di bilancio nella Costituzione. In pratica, la fine dello Stato sociale e delle garanzie sui servizi vitali – scuola e sanità in primis, peraltro minacciate di privatizzazione forzata dal Ttip e dal Tisa, i trattati segreti euro-atlantici imposti dagli Usa, che Renzi preme per approvare in fretta. Cartina di tornasole di questa autentica catastrofe, il debito pubblico: era pari al 103,3% del Pil nel 2007, ma ha raggiunto il 132,9% nel 2013. «L’ultimo rilevamento di Bankitalia ci dice che il debito pubblico ha toccato a Visco, governatore di Bankitaliamaggio 2014 un nuovo record storico: quota 2.166,3 miliardi, con un aumento di 20 miliardi sul mese precedente».

Va in rosso il conto delle famiglie, nel paese che prima dell’avvento dell’euro era il più risparmiatore d’Europa: rispetto al Pil, dal 1998 al 2012 il debito privato delle imprese è passato dall’85 al 120%, quello delle banche dal 40 al 110%, quello delle famiglie dal 30 al 50%. Paradossalmente, osserva “Sollevazione”, «in questo periodo quello che è cresciuto meno è stato proprio il debito pubblico», mentre il debito aggregato – pubblico e privato – è letteralmente esploso, dal 275% ad oltre il 400%. Spaventose pure le sofferenze bancarie, cresciute di 100 miliardi dal 2007 al 2013, per un totale di 147,3 miliardi di euro. Ed ecco l’ultimo gradino della tragedia: la povertà. Un fantasma che mette paura: l’esercito dei nuovi poveri e il timore che crescano furti e rapine ha aumentato del 5,7% i denari lasciati in custodia alle banche, oltre 1,2 miliardi di euro. Secondo Eurostat, gli «individui a rischio povertà o esclusione sociale» nel 2008 erano in Italia il 25,3%, e sono diventati il 29,9% nel 2012. L’ Istat è ancora più preciso: «Un italiano su dieci è in povertà assoluta».

Tra il 2012 e il 2013, spiega l’istituto di statistica, l’incidenza della povertà assoluta è aumentata dal 6,8 al 7,9%, coinvolgendo oltre 300.000 famiglie e 1 milione 206.000 persone in più rispetto all’anno precedente. «E’ povera, o quasi povera, una famiglia su cinque». Poi c’è la “povertà relativa”, quelle delle famiglie (sono quasi 3 milioni e mezzo) il cui portafoglio mensile è inferiore alla spesa media nazionale, 972 euro al mese. Sono famiglie che cercano di sopravvivere con meno di 800 euro al mese, che si riducono a meno di 750 nel Mezzogiorno, dove più evidenti sono le diseguaglianze che la “crisi” ha fatto esplodere. Nel 1992, l’Italia era un paese relativamente equilibrato: non c’era un abisso tra ricchi e poveri e la classe media era in ottima salute. Oggi, praticamente, è in via di estinzione e teme di sprofondare giorno per giorno verso la povertà. Nel 2013, l’Italia è risultato «il paese più diseguale dell’Unione Europea, dopo la Gran Bretagna». Solo che il Regno Unito non è ingabbiato dall’euro. Infatti, a Londra, economia e occupazione stanno decisamente meglio rispetto alla media dell’atroce Eurozona, di cui l’Italia – dopo la Grecia – è la vittima principale.
 
buongiorno Don, buongiorno a tutti

aggiornamento MIB mensile

sembra a un punto di svolta
 

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News

01/08/2014 11:19
Verso un ribasso strutturale delle Borse? Occhio a Piazza Affari
Davide Pantaleo
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Con la seduta odierna si avvia alla conclusione una settimana piuttosto difficile per i mercati azionari internazionali che sono tornati a fare i conti con un'iimpennata della volatilità e con un duro intervento da parte dei ribassisti. Cosa sta alimentando i ribassi in Borsa? A dare la stura alle vendite ha contirbuito un mix di fattori, in primis delle fislologiche prese di beneficio dopo i forti rialzi messi a segno di recente, basti pensare ai record storici messi a segno a Wall Street dall'S&P500 e dal Dow Jones. A ciò si aggiunga il default tecnico dell'Argentina e le cattive notizie che arrivano dal Portogallo con una situazione sempre più difficile per Banco Espirito Santo, costretto a ricorrere ad un aumento di capitale dopo la maxi perdita del primo semestre. Restano sullo sfondo le tensioni geopolitiche con riferimenti alle tensioni tra Russia e Ucraina e agli scontri tra Israele e Hamas, senza dimenticare l'uteriore riduzione del piano di acquisti di titoli di Stato deciso dalla Federal Reserve. La view e le attese degli analisti Secondo gli analisti di Fxcm, questo mix di fattori basta a spiegare l'andamento dei mercati azionari nelle ultime giornate, segnalando che la domanda che ci si pone ora è se questi ribassi possano essere strutturali e portare quindi ad un vero ridimensionamento dei prezzi nel medio periodo. Non è facile rispondere a questo interrogativo, ma a detta degli esperti la migliore risposta è probabilmente no, visto che la liquidità dei mercati è ancora presente e i tassi di interesse sono prossimi allo zero. Inoltre nonj è la prima volta che i mercati si trovano a dover fare i conti con tensioni geopolitiche e con default di Paesi e istituti di credito. Alla luce di ciò gli analisti, che già nei giorni scorsi avevano messo in guardai dal rischio di una discesa dei listini azionari, invitano a prestare attenzione ai supporti dei vari indici, in corrispondenza dei quali sarà osservare il comportamento degli stessi per valutarne o meno la tenuta. Riflettori su Piazza Affari Quel che è certo è che dobbiamo prepararci ad impennate della volatilità come quelle sperimentate nei giorni scorsi e in Europa in particolare si guarderà ai Paesi periferici che sono messi sotto pressione dal settore bancario, sulla scia del cattivo andamento del comparto bancario. Uno sguardo particolare va rivolto a Piazza Affari dove il Ftse Mib sta scendendo a poca distanza dai recenti minimi di periodo, la rottura dei quali potrebbe aprire le porte a nuove vendite. Secondo alcuni addetti ai lavori, l'impressione è che qualche investitore estero stia riducendo la sua esposizione sul mercato azionario italiano, complice l'andamento del cambio euro-dollaro che da un po' di tempo a questa parte continua a scendere e diversi fattori, quali un quadro di bassa inflazione e la minaccia di un rialzo dei tassi di interesse prima del tempo in America, inducono a far pensare che la moneta unica possa ulteriormente indebolirsi nei confronti del biglietto verde. A parlare dell'Italia è stato quest'oggi anche il co-fondatore e CEO di BlackRock, il quale ha dichiarato di aver trovato entusiasmo in primavera verso il nostro Paese, ma ora non è più sicuro che oggi si percepisca la stessa fiducia. La sua idea è che il premier Renzi debba avere più coraggio per riformare il Belpaese, anche se il CEO di BlackRock aggiunge che il gruppo da lui guidato ha piani a lungo termine e continua ad avere progetti ambiziosi in Europa, Italia inclusa. Fonte: News Trend Online
 
News

01/08/2014 17:00
Vola il Pil Usa, schianta l'oro
IG
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Torna sotto pressione l'oro dopo i dati sulla crescita arrivati dagli Stati Uniti. I recenti movimenti stanno creando dubbi tra gli investitori sulla direzione che potrebbe prendere il metallo prezioso nei prossimi mesi, in un contesto di mercato che è tornato ad essere incerto e volatile. Il dato impressionante sul Pil del secondo trimestre in Usa (+4% annualizzato) sembra risuonare ancora nelle sale operative e neanche le rassicurazioni arrivate dalla Fed mercoledì sera sembrano averne assopito il rumore. I dati super sulla crescita della prima economia del mondo spingono gli operatori a puntare a un rialzo anticipato dei tassi d'interesse della Banca centrale Usa. Nel comunicato rilasciato dal Fomc, i governatori hanno cercato di allontanare questi timori, puntualizzando che, nonostante i numeri positivi, il mercato del lavoro non è ancora in salute. L'accento è stato posto ancora una volta sul tasso di crescita dei salari (ora vicino al 2%) ancora troppo basso per modificare le aspettative inflattive di medio termine e ben lontano dal target del 4% desiderato dalla Fed. Gli operatori non sembrano essere stati pienamente convinti. Il continuo apprezzamento del dollaro statunitense, la discesa delle borse e il violento rialzo dei tassi d'interesse dei Treasury confermano questa nostra impressione. A farne le spese è stato anche l'oro, precipitato ai minimi dal 19 giugno scorso (precedente meeting del FOMC). Il calo è una conseguenza: * diretta della crescita delle aspettative di un rialzo dei tassi della Fed; * indiretta del forte apprezzamento biglietto verde (il Dollar Index schizzato ai massimi da quasi un anno). Cosa aspettarsi ora? La nostra sensazione è che fino a settembre il metallo giallo potrebbe continuare a oscillare con una certa volatilità intorno ai 1.300 dollari. Ogni dato macro Usa deludente e/o un riaccendersi delle tensioni geopolitiche potrebbero alimentare tentativi di recupero e ricoperture da parte dei ribassisti. In autunno, quando le aspettative della Fed diventeranno più chiare, l'oro potrebbe intraprendere un percorso di discesa importante e più duraturo. Dal punto di vista tecnico, il metallo si è ripresentato al test del supporto chiave collocato in area 1.280-1.275 dollari/oncia. Un tentativo di rimbalzo potrebbe far salire l'oro verso i massimi di inizio mese a 1.345 dollari. Il superamento di questo livello potrebbe aprire a un allungo verso la resistenza importante rappresentata dai picchi annuali a 1.380 dollari, dove passa ora anche la media mobile a 200 settimane. Proprio l'importanza strategica di questa media mobile (che ha già ostacolato il recupero ad agosto 2013 e a marzo scorso) e sulla base di quanto esposto sopra, ci aspettiamo che l'oro non sarà in grado di superare questo target e le vendite torneranno a predominare. Contrariamente, se i prezzi dovessero scendere sotto 1.275 dollari, è lecito attendersi un affondo verso i minimi di inizio giugno, a quota 1.240 dollari. Solo il cedimento di questo supporto aprirebbe a un ritorno verso i bottom assoluti del 2013, a 1.180 dollari. Autore: IG Fonte: News Trend Online
 

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