IL DETTO "DALLA PADELLA ALLA BRACE" VERRA' SOSTITUITO CON: "DAL 2021 AL 2022" (1 Viewer)

Val

Torniamo alla LIRA
Strónzo (Treccani): massa fecale solida.

Quello che ieri disse: se non ti inietti quella roba, muori.

Non solo: fai anche morire chi ti è accanto.


Strónzo (Treccani, ibidem), quello che oggi dice:
se abbiamo problemi è colpa loro, di quelli che non si sono iniettati quella roba.


Si schianta a terra uno dei tanti, il calciatore Ousmane Coulibaly: tre dosi di felicità cardiaca.


Treccani: massa fecale solida.

Correlazioni? Sì. Massa fecale solida. Cuore che trema e crolla.
Menzogna clinica, ceffoni sulla verità.
Ceffoni a cena, a casa, al bar, ovunque.
Palestra, discoteca, Olimpo.
Non ascoltarle, dice il buffone, quelle lingue tronche:
il disco rotto, le rette spezzate, la gommalacca che vi avvolge
e vi distoglie da quello che siete veramente.

Siete capelli e vento, canta il poeta.

Ma dite che il poeta è pazzo, giustamente.

Lo dite “voi che siete uomini, sotto il vento e le vele” (“Rimini”, De André).


Ebbene, abbiamo qui uno strónzo (Treccani: massa fecale solida),
però è il Nostro Strónzo, er mejo der bigoncio: e poi, li avete visti, gli altri?

Li abbiamo visti, sì.

Ma il biglietto l’avevamo pagato per intero, sperando che la scelta non fosse tra lo strónzo e gli altri strónzi,
magari meno acconci e meno presentabili, meno prestigiosissimi nonché graziosamente oracolari.

E’ che le supercazzole han fatto il loro tempo, non hanno retto di fronte agli schiaffoni:
che fioccano spietati, come se fosse antàni, senza misericordia per nessun diritto.

Fioccano a muso duro, rompendo il guscio delle convenzioni e dell’ipocrisia.

Scassano le vestigia di quel ch’è stato il Novecento,
diroccato nei tremila morti delle Torri, nei diecimila infermi di Ground Zero cucinati a fuoco lento dall’amianto.


Chi siete voi, reggenti?

Cosa volete, ancora?

Quale alchimia mefitica, dietro la vostra disgustosa macroeconomia?

E quali squallidi pagliacci si nascondono nel vostro bisogno di nascondervi?


Voi non vi vergognate, no.

Voi siete i player, siete gli storyteller.

Siete i sapienti delatori della lezioncina.

Incubatori pitagorici, soavi aspersori di sempre nuove religioni.

Sapete, avete l’aria di essere defunti, vagamente, come defunta – inconsapevolmente –
è la platea di quanti (per pigrizia, per greve consuetudine) vi stanno ancora ad aspettare,
sul litorale ripido dove la notte si concede le sue svenevoli licenze, ben consapevole dell’alba che verrà.


Il primo a dirlo, Enki: avanti, costruisciti la barca.

Verrà il diluvio, si salveranno solo quelli come te.


Degli altri non è il caso di parlare: di lor non ti curar, ma guarda e passa.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Australia kaput


L'Australia ha cambiato idea, e dopo aver concesso il visto di ingresso nel Paese al primo tennista del mondo,
Novak Djokovic, che avrebbe cosi' potuto partecipare agli Australian Open
nonostante non sia vaccinato contro il Covid, ha deciso di revocarglielo.


"Il visto del signor DJOKOVIC è stato cancellato.
Le regole sono regole, soprattutto quando si tratta dei nostri confini. Nessuno è al di sopra di queste regole".

Lo scrive su twitter il premier australiano Scott Morrison, ricordando che l'Australia
"ha uno dei tassi di mortalità più bassi al mondo per Covid, continuiamo a essere vigili".


ED oggi ;

espulso dell'Australia, il campione punito con un verdetto unanime della Corte Federale
che ha confermato la cancellazione del visto.

Dovrà anche pagare le spese legali oltre quelle legate al vasto pool di avvocati
che lo assistono fin dal momento del suo sbarco a Melbourne ormai due settimane fa.

Addio all'Australian Open che inizia domani all'insegna del caos
dato che si dovrà riscrivere il tabellone che era stato confermato con il nome di "Nole"
fino a pochi minuti prima della sentenza.

Non sarà facile per gli organizzatori del primo Slam dell'anno conservare il loro posto
visto che il loro ruolo in questo caso internazionale è rilevante.

Addio al sogno del numero 1 del tennis di sorpassare i rivali Nadal e Federer che, come lui, hanno vinto 20 tornei dello Slam.

Il tennista serbo ha perso l'appello contro la decisione del ministro dell'Immigrazione Hawke e dovrà subito lasciare l'Australia.

Il verdetto del giudice capo James Allsop è arrivato a seguito di una decisione unanime dei tre giudici che hanno ascoltato il caso a Melbourne.

La decisione significa che il nove volte campione Djokovic non sarà in grado di difendere il suo titolo agli Australian Open, che inizieranno domani.

Come ha sottolineato il presidente della Corte Suprema James Allsop prima di annunciare la decisione,
il compito della corte era semplicemente quello di valutare se la decisione presa
dal ministro dell'Immigrazione Alex Hawke fosse illegale, irrazionale o legalmente irragionevole.

La corte ha ritenuto che i motivi delineati dagli avvocati di Novak Djokovic non lo dimostrassero.

Significa che era corretta la decisione presa dal ministro dell'Immigrazione Alex Hawke di annullare i visti di Djokovic
che sarà espulso dall'Australia e potrebbe dover affrontare un divieto di ingresso in Australia fino a tre anni.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Altro leggi razziali, altri che pensieri al periodo nazista,
qui stiamo cadendo nel peggio del peggio



Non dico un immigrato clandestino.

Ma immaginatevi cosa sarebbe successo se al posto di Novak Djokovic

ci fosse stato un’altra persona qualunque, ovviamente vaccinata.


Pensate cosa sarebbe successo se
Vladimir Putin

avesse comunicato al mondo che la presenza di un innocuo atleta avrebbe potuto

“rappresentare un rischio per la salute della comunità”

e “portare a un’impennata di disordini civili”.


Sarebbe scoppiato il finimondo:

frotte di progressisti,

difensori dei diritti umani, civili e sportivi,

fricchettoni:

tutti contro il despota.


Se invece a comportarsi così è il governo dell’Australia nei confronti di quel cattivone di No-vax Djokovic, beh: allora tutti zitti.



Il ministro dell’Immigrazione di Camberra, Alex Hawke,
ha deciso che Novak non deve giocare gli Australian Open.


Il governo australiano ha “giustificato” la sua decisione con tre incredibili motivi:

1. primo, che il non-vaccinato Djokovic potrebbe essere un “pericolo per la salute della comunità”,
quando è ormai chiaro pure ai bambini che i no-vax sono un pericolo solo per loro stessi tanto il virus si diffonde ugualmente;


2. secondo, che il tennista potrebbe scatenare “un’impennata di disordini civili“, roba incomprensibile:
semmai è vero il contrario, ovvero che le proteste potrebbero esserci ora, che verrà rispedito a casa.


3. Djokovic, sostiene infine l’esecutivo, incoraggerebbe il “sentimento anti-vaccinazione
e quindi potrebbe dissuadere gli australiani dal richiamo.


E quindi?

Per entrare in Australia bisogna essere per forza favorevoli al vaccino?

Non esiste a quelle latitudini la libertà di pensiero?


Ora, vista l’evidente insussistenza di queste tesi,
si può facilmente dedurre che in sostanza
il governo australiano si conserva il diritto di cacciare qualsiasi persona poco gradita.

Legittimo, per carità.

Ognuno è sovrano a casa sua:
se all’Australia non piacciono i biondi,
i tennisti no vax,
i giocatori di curling mancini,
che li caccino pure.


Però che nel mondo nessuno alzi il ditino parlando di “stato di diritto”, beh un po’ strano lo è.

No?
 

Val

Torniamo alla LIRA
Ahahahahahah


Martedì prossimo si voterà per eleggere il nuovo Presidente del Parlamento europeo.

Il mandato del presidente italiano era giunto al termine
essendoci stato un patto fra i due maggiori gruppi di questo parlamento
che prevedeva l’avvicendamento di un popolare a un socialista a metà legislatura.

Pacta sunt servanda, direbbero i latini.

E come i popolari fecero convergere i loro voti su Sassoli due anni e mezzo fa,
oggi i socialisti dovrebbero fare lo stesso sul nome proposto per l’alta carica dai popolari.


L’uso del condizionale è però d’obbligo
perché a quarantott’ore dal voto
si registrano molti mal di pancia non solo fra i socialisti
ma anche fra i Verdi e i “liberali” (cosiddetti).

Tanto che l’esito della votazione non è scontato,
e potrebbero ancora esserci sorprese in extremis.

Il motivo è che la prescelta dai popolari, la maltese Roberta Metsola,
si è pronunciata più volte contro l’aborto, come per un cattolico dovrebbe essere naturale.

Solo che le agenzie progressiste del pensiero unico
hanno trasformato l’aborto, da fatto di coscienza quale dovrebbe essere,
in un diritto e quindi un valore in sé che non ammette deroghe.


Che un ragionamento del genere
possa semplicemente passare come corretto,
è semplicemente un indice del degrado culturale,
sociale e istituzionale a cui giunta oggi l’Europa
.


Ciò che in sostanza scricchiola e viene meno è proprio la nostra civiltà liberale,
che antepone la libertà di espressione delle proprie idee ad ogni politica sostantiva;
e quindi il diritto alla libertà a questo e quello. Come nel caso del "vaccino".


Lo Stato di diritto si trasforma surrettiziamente nello Stato dei diritti.


E questi vengono fatti corrispondere ai dettami di un particolare visione idologica
(legittima ma che non può pretendere di essere l’unica, la Verità).


Sull’aborto soprattutto dovrebbe essere possibile avere posizioni diverse.


L’argomento tocca infatti da sempre corde profonde e sensibilità personali,
ponendosi in ultima istanza come un problema di coscienza.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Chiunque, anche chi non è contrario ad esso, credo che affronti il tema con dubbi, perplessità.


Non si abortisce a cuor leggero,
abortire non è come tirarsi via un dente.


In effetti, questo era chiaro a tutti sin dai tempi della legge 194,
la quale si proponeva di risolvere in modo pragmatico
una questione sociale rilevante e pericolosa per la donna che vi si sottoponeva,
cioè la piaga dell’aborto clandestino,
ma era talmente convinta che l’aborto dovesse essere per una donna l’ultima scelta
da prevedere politiche di prevenzione, consultori informativi, corsi di educazione sessuale e contraccettivi.


Senza contare che anche grandi laici come Norberto Bobbio avevano
e manifestavano pubblicamente e tranquillamente posizioni antiabortiste.


Poi il tema dal terreno della coscienza individuale e della politica pragmatica

è stato portato su quello bio-politico e morale,

tanto che oggi semplicemente non è più lecito dubitare.



Se, come la povera leader maltese, coltivi le tue opinioni,
e queste non coincidono con quelle “approvate”, sei semplicemente indegna.

Se vuoi salvarti, devi allineare la tua coscienza a ciò che è già stato deciso per te.

Se il fine di qualcuno era far diventare l’aborto banale
come, appunto, togliersi un dente, il risultato è stato ahimé raggiunto.


E chi lo nega non può aspirare a ricoprire cariche di rilievo.
 

Val

Torniamo alla LIRA
O mio Dio. Che giornata.
....un laureato in scienze politiche....ahahahahah



Tachipirina e vigile attesa?

La notizia infatti è di quelle che hanno un peso:

il Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato dal Comitato Cura Domiciliare Covid-19,
a firma del presidente e avvocato Erich Grimaldi e dell’avvocato Valentina Piraino,
contro le linee guida ministeriali del 26 aprile 2021, per il trattamento domiciliare dei malati Covid.



“Finalmente un punto fermo a una battaglia che portiamo avanti da due anni, è la fine della vigile attesa”, dice Grimaldi
il Governo, andando a vincolare i medici, ha di fatto privato i cittadini delle cure domiciliari precoci,
paralizzando la sanità territoriale, e portato al collasso il sistema ospedaliero,
con tutte le drammatiche conseguenze che migliaia di famiglie conoscono purtroppo molto bene”.


A finire nel mirino del Comitato era la circolare diramata dal ministero, e aggiornata il 26 aprile del 2021,
in cui viale Lungotevere Ripa 1 fornisce ai medici italiani le informazioni su come trattare i malati.

In particolare, la parte in cui “prevede unicamente una vigile attesa e somministrazione di fans e paracetamolo”,
quella in cui “pone indicazioni di non utilizzo di tutti i farmaci generalmente utilizzati dai medici di medicina generale per i pazienti affetti da Covid”.

E per il fatto che, “anziché dare indicazioni valide sulle terapie da adottare a domicilio”,
prevede solo “un lungo elenco delle terapie da non adottare, divieto che non corrisponde all’esperienza diretta maturata dai ricorrenti”.


I giudici hanno ritenuto che il ricorso fosse da accogliere per diversi motivi.

1. “È onere imprescindibile di ogni sanitario di agire secondo scienza e coscienza,
assumendosi la responsabilità circa l’esito della terapia prescritta quale conseguenza della professionalità e del titolo specialistico acquisito”.

2. “La Prescrizione dell’AIFA”, poi mutuata identica dal ministero della Salute, continua il Tar,
contrasta con la richiesta professionalità del medico e con la sua deontologia professionale,
imponendo, anzi impedendo l’utilizzo di terapie da questi ultimi eventualmente ritenute idonee ed efficaci
al contrasto della malattia Covid-19, come avviene per ogni attività terapeutica”.

3. “Il contenuto della nota ministeriale – insiste il Tar – imponendo ai medici puntuali e vincolanti scelte terapeutiche,
si pone in contrasto con l’attività professionale
così come demandata al medico
nei termini indicata dalla scienza e dalla deontologia professionale.

Per tali ragioni il ricorso deve essere accolto”.


I giudici hanno dunque annullato la circolare di Speranza sulla gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid.

È prevedibile che l’avvocatura dello Stato promuoverà un ricorso al Consiglio di Stato,
ma per ora il Comitato per le cure domiciliari ha segnato un punto a suo favore.


“Le scelte terapeutiche sono da sempre un dovere e un diritto dei medici,
eppure chi ha curato a casa è stato ingiustamente bistrattato e accusato più volte di agire in malafede”,


dice la portavoce del Comitato, Valentina Rigano.


“Invece di ascoltare e recepire le costanti richieste di collaborazione che abbiamo più volte proposto al Ministero,
per trovare una soluzione comune all’emergenza,
chi ha preso decisioni ha ignorato le capacità e l’esperienza di migliaia di medici”.



Una decisione, quella del Tar, che cristallizzerebbe il ruolo del medico di medicina generale e il suo scopo nella cura dei pazienti:

“Agire e non lasciare i malati Covid ad attendere l’evolversi della malattia”.


Checché ne dicano le linee guida ministeriali.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Caro Porro, uno che guadagna 75000 euri lordi l'anno, può pagare il 46% in tasse
Gliene restano sempre 40.000 netti , che sono molto di più del lordo che guadagna un operaio.
Il problema è semmai che quelli con un reddito superiore dovrebbero pagare di più.
Molto di più. Tutti i burocrati di stato, delle finanziarie, delle banche.


Ritorniamo ai principi di base riguardo al rapporto tra tasse e contribuenti.

Un tempo le gabelle servivano per pagare i servizi comuni, il proprio stare in società.

Poi abbiamo costruito una rete per i più deboli:
tutti paghino perché anche chi non ha si possa permettere alcuni servizi essenziali.

Infine si è innestato un terzo, il più odioso criterio: tassiamo per redistribuire il reddito.


Per la prima vota nel 1994 la coalizione di Silvio Berlusconi,
grazie ai consigli di Antonio Martino, ruppe la tradizione catto-comunista.

Le tasse non sono belle in sé, servono certo, ma si debbono dosare con cura.

Oggi questo principio è diventato pervasivo da destra a sinistra.

Nessuno si azzarderebbe più a dire che le tasse sono belle.

Eppure le cose che non si dicono, spesso si fanno.


Il caso più clamoroso è quello della recente riforma fiscale.

Il parlamento e poi il governo ha varato una manovra di riduzione delle imposte sui redditi delle persone fisiche da 7 miliardi.

Il Tesoro incassa circa 190-200 miliardi all’anno da questo tributo. I
l che vuol dire una riduzione inferiore al 4 per cento.

Meglio di niente.


Ma qui finiscono le notizie confortanti.

Se i burocrati fiscali si mettessero qualche volta nei panni dei contribuenti
e non sempre in quelli degli esattori capirebbero che siamo ancora in un inferno fiscale.


E che la pressione non si è smorzata.


Il caso più eclatante è quello delle addizionali regionali.

Alcune Regioni, colpevoli di aver fatto debiti come se non ci fosse un futuro,
hanno avuto un abbuono sui loro passivi dallo Stato centrale,
ma al contempo hanno avuto la facoltà di aumentare
la loro quota di tasse prelevate dai contribuenti del proprio territorio.

Sono percentuali che si sommano a quelle nazionali.


Il caso campano è eclatante.

Prendiamo un contribuente considerato ricco (e cioè che abbia un reddito di 75mila euro l’anno).

Ebbene al 43 per cento di aliquota marginale che gli applica lo Stato centrale,
De Luca e i suoi aggiungono un 3,3 per cento.


A ciò si aggiunga che lo Stato italiano sta facendo, in grande,
ciò che ha fatto la Regione Campania:

accumula debiti che prima o poi qualcuno, cioè noi, dovrà pagare.


I sette miliardi di riduzione fiscale non nascono infatti da tagli della spesa pubblica, ma da più deficit.


I nostri figli, o anche prima, si pagherà.


La morale di questa storia, per finire da dove siamo partiti,
è che le tasse sono diventate brutte e in pochi le vogliono aumentare,
ma abbiamo costruito una tale impalcatura pubblica,
abbiamo talmente tanti programmi di spesa,
che la Bestia statale ha una fame mostruosa: e con l’inganno si nutre.


Ps.: il governo ha già speso almeno 8 miliardi per ridurre il peso delle bollette elettriche.
Ieri Mf diceva che ne spenderà almeno altri trenta. Vedremo.
Questa gigantesca mole di risorse non è gratis.
Oggi i politici si salvano la faccia su scelte di politica energetica assurde fatte nel passato,
domani arriverà un nuovo tecnico che ci spiegherà che dovremo pagare anche questo conto.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Obbligata a vaccinarsi per volontà del governo,
che ha reso necessaria la somministrazione per tutta la popolazione italiana over 50,
una donna si è presentata al centro vaccinale di Cesa in via Alvaro, a Roma,
per sottoporsi all’inoculazione come da prassi.

Quando è arrivato il suo turno, ha aggiunto però a penna, sul modulo del consenso informato:

” Non liberando lo Stato italiano, che mi obbliga a questa vaccinazione,
da ogni eventuale avversità, malattia derivante, o qualsiasi effetto indesiderato ne derivasse”.


Una frase che ha spinto i medici a negarle l’inoculazione.


Sembrerebbe una barzelletta e invece l’episodio è realmente andato in scena in queste ore nella capitale.

I medici si sono accorti della postilla scritta a penna dalla signora e, come raccontato da Rai News,
si sono a quel punto rifiutati di procedere con la somministrazione del vaccino.

Scrivendo, a loro volta:

“Si prende visione della postilla inserita dalla paziente
e non si acconsente alla vaccinazione sulla base di quanto riportato e scritto.
Si comunica alla paziente che si potrà procedere alla vaccinazione solo previa firma del consenso informato”.


A sua volta, in una guerra di scritte e controscritte fatte su un foglio sempre più scarabocchiato,
la donna a quel punto ha concluso:

“Desidero vaccinarmi qui ed ora, ma non mi viene effettuata la vaccinazione
perché ho inserito la postilla che non esonera lo Stato Italiano”.


Una vicenda che potrebbe ora finire anche in tribunale,
visto che la signora si è rivolta al Codacons segnalando il caso e chiedendo di essere tutelata legalmente.


L’associazione sta studiando la fattibilità di un’azione legale contro lo Stato e il centro vaccinale che ha rifiutato il trattamento.

Il Codacons ha infatti avanzato l’ipotesi che in capo ai medici coinvolti vi siano gli estremi del reato di abuso d’ufficio.


Il presidente Carlo Rienzi ha dichiarato in merito all’accaduto:

“L’episodio dimostra come sia urgente e necessario modificare il consenso informato
che i cittadini devono firmare quando si sottopongono alla vaccinazione anti-Covid”.


Il governo, invece, insiste su una doppia, pericolosa linea:

da un lato obbliga gli italiani a vaccinarsi,

dall’altro si mette al riparo da ogni responsabilità per le conseguenze avverse.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Alla fine è arrivato l’atteso via libera per Fabio Messina,
l’agente di commercio diventato suo malgrado protagonista di un caso di rilevanza nazionale
dopo essersi ritrovato bloccato a Villa San Giovanni, a Reggio Calabria,
senza poter attraversare lo Stretto per poter raggiungere la Sicilia in quanto sprovvisto di Super Green pass.

L’uomo, che non si è sottoposto a vaccinazione, ha ricevuto il via libera dal Tribunale civile per imbarcarsi sul traghetto e tornare a casa.


Bloccato da lunedì 10 gennaio a Villa San Giovanni,
l’uomo si era trovato costretto a dormire in un sacco a pelo,
denunciando di poter nemmeno andare in albergo
perché anche lì gli avrebbero impedito di affittare una camera
in quanto sprovvisto della certificazione virtuale imposta dal governo.

Alla fine, era stata una famiglia calabrese a ospitarlo,
in attesa di una soluzione definitiva arrivata soltanto in queste ore.

Messina aveva presentato ricorso tramite i suoi legali, gli avvocati Grazia Cutino e Maura Galletta.


A prendere la decisione in suo favore è stato alla fine il giudice Elena Luppino,
che ha dato il via libera per “procedere all’imbarco immediato del ricorrente sul traghetto per Messina”
dopo acquisto del biglietto e “previa esibizione dell’esito di un test antigenico attestante la sua attuale negatività al virus,
con espressa esenzione dalla esibizione della certificazione verde”,
ma “con obbligo di indossare la mascherina Ffp2 per tutta la durata della traversata sin dal momento dell’imbarco e fino al compiuto sbarco”.


Una decisione storica, che è un colpo durissimo, definitivo al Super Green pass voluto e difeso dal governo Draghi:

di fatto, è stato stabilito che l’obbligo di certificazione virtuale non può schiacciare i diritti degli italiani,

impedendo nel caso specifico a un cittadino di tornare nella propria Regione di residenza.
 

Val

Torniamo alla LIRA
La scelta del governo italiano di introdurre il cosiddetto Super Green pass,
certificazione virtuale imposta alla popolazione come strumento necessario per avere accesso a una vita normale,
è una forma di discriminazione?

Secondo Amnesty International, di dubbi in merito ne restano, e parecchi.

L’organizzazione non governativa ha infatti puntato il dito contro le scelte dell’esecutivo Draghi,
chiedendo di riconsiderare la proroga dello stato di emergenza
e concentrarsi sull’aumento dell’adesione volontaria al vaccino, senza ricorrere a imposizioni dall’alto.


Come riportato dal Tempo,
Amnesty ha ricordato l’appello già lanciato e caduto nel vuoto lo scorso settembre,
quando aveva invitato gli Stati e le aziende farmaceutiche
a garantire un accesso equo ai vaccini Covid-19,
in modo che almeno il 40% delle persone nei Paesi a basso e medio reddito
potessero essere vaccinate entro la fine del 2021.

Oggi l’Ong ha ribadito:

“È necessario che gli stati adempiano ai loro obblighi in materia di diritti umani
al fine di promuovere una distribuzione equa e globale dei vaccini
per contrastare l’emergere di varianti pericolose che continuano a mettere a rischio la vita di molti”.


Per quanto riguarda l’Italia, Amnesty
ha sollecitato il governo a riconsiderare attentamente se prorogare la misura dello stato di emergenza,
in vigore ormai da quasi due anni, oltre il 31 marzo 2022,

“in quanto tutte le misure di carattere emergenziale devono rispondere ai principi di necessità, temporaneità e proporzionalità”.


Poi l’invito alle autorità a promuovere forme di comunicazione chiare e inclusive
“per garantire alla popolazione l’adozione di comportamenti responsabili per la tutela dell’incolumità collettiva e seguire le linee guida di salute pubblica”.


Sulla vaccinazione obbligatoria, introdotta in Italia per tutta la popolazione over 50, Amnesty ha sì riconosciuto
“la legittima preoccupazione degli Stati di aumentare i tassi di vaccinazione
come parte di un’efficace risposta di salute pubblica al Covid-19”,
ma ha ribadito di non supportare obblighi di questo tipo,
esortando piuttosto i governi a considerare l’obbligatorietà soltanto come ultima risorsa possibile
qualora l’obiettivo non possa essere raggiunto con misure meno restrittive”.


Nel mirino di Amnesty anche il Green pass,

“che deve essere un dispositivo limitato nel tempo.

Il governo deve continuare a garantire che l’intera popolazione possa godere dei suoi diritti fondamentali.

Chiediamo che vengano prese misure alternative per permettere anche alla popolazione non vaccinata

di continuare a svolgere il proprio lavoro e di utilizzare i mezzi di trasporto, senza discriminazioni”.
 

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