IL DETTO "DALLA PADELLA ALLA BRACE" VERRA' SOSTITUITO CON: "DAL 2021 AL 2022"

I flussi finanziari determinano il futuro delle grandi economie mondiali.

Fabio Venditti
, 50enne, originario di Sora (Frosinone) romano d’adozione,
operatore finanziario che si occupa del mercato da venticinque anni, promotore del “Take profit”.


Quando è nata la sua passione per i mercati valutari?

Dopo la Ragioneria, mi sono iscritto alla Facoltà di Economia e Commercio.
Durante gli anni universitari sono rimasto affascinato da un mondo complesso come quello valutario.
Un mondo che può stritolarti, se non hai accanto un consulente rigoroso.
Per questi motivi, occorre studiarne il sistema.
Ricordo distintamente quando esplose la mia passione.
Avevo appena superato brillantemente l’esame di Analisi matematica 1.
Presi un bel 28. Fu allora che iniziai a sognare ingenti guadagni in Borsa.


E naturalmente non fu facile.

Erano gli anni Novanta.
E Il Sole 24 ore pubblicava una serie di volumi sul mercato valutario.
In particolare, lessi, anzi, divorai in pochi giorni, Come guadagnare in borsa di Renato Di Lorenzo.
All’interno del testo venivano enunciate una serie di formule logaritmiche.
Fu una folgorazione. Da allora, ho letto volumi su volumi sull’universo borsistico.
Ma dalla teoria alla pratica, ovviamente c’è un abisso.
Infatti, inizialmente perdevo soldi in Borsa. Sistematicamente.
Cercavo di mettere in pratica quelle idee.
Ma non c’era verso di guadagnare. Ho continuato a studiare i sistemi borsistici.
E ho iniziato a lavorare come promotore finanziario di una banca.


Quali sono le tecniche vincenti nel mondo del trading?

Come ho sempre sostenuto, non esiste una formula magica.
Ma tutto quanto appare evidente nei mercati finanziari, in realtà è frutto di dinamiche, solo in apparenza, illogiche.


Lei ha messo in pratica un vero e proprio sistema per ottenere risultati sul mercato valutario?


Si tratta delle tecnica del Take profit” che riesco a calcolare, grazie al brevetto ereditato da un ingegnere di Sora.
Era a capo del settore investimenti di un importante istituto finanziario.
Così, una teoria è diventata tecnica.
Uno studio che mi ha cambiato la vita.
Ma, quel che più conta, ha cambiato la vita dei miei numerosi clienti.


Cos’è il “Take profit”?

È un “momento”.
Il “trader” deve essere capace di assumere decisioni esatte al momento opportuno.
Sto parlando del cosiddetto timing d’ingresso e dei livelli d’uscita dall’operazione finanziaria.


È su questo equilibrio che si basa il metodo della cosiddetta “marginazione” di cui lei parla spesso?

Esattamente. È l’effetto della proporzione su un conto trading.


E tecnicamente, cosa sono i pips?

Misurano gli spostamenti o i movimenti che una valuta può vantare rispetto a un’altra.
La “marginazione” vuol dire che bisogna calibrare le entrate in proporzione alla disponibilità del proprio conto.


La partita tra euro e dollaro continua?

Naturalmente.
Non a caso, la coppia euro-dollaro è definita la “major”.
Ma è tempo di cambiamenti.


In che senso?

Fino a giugno la coppia euro-dollaro rappresentava la “formula magica” per il trading.
Ora una nuova coppia valutaria si staglia all’orizzonte.

Parlo del Cad (dollaro canadese) e del Jpy (yen giapponese).


È una novità. Qual è la situazione attuale del mercato valutario?


In questa fase, l’attenzione degli investitori resta catalizzata dai dati relativi all’inflazione americana.
Ma, dopo un lungo periodo determinato dal primato della coppia euro-dollaro, avanzano le valute del Canada e del Giappone.

L’economia canadese è una delle più importanti al mondo, vive tuttora una fase di forte sviluppo.
D’altro canto, l’andamento dell’economia nipponica è fortemente ciclica
e dovrebbe beneficiare della ripresa economica mondiale post-Covid.
Inoltre, il Paese asiatico può vantare un settore tecnologico molto forte,
le cui specializzazioni spaziano dall’automazione industriale al 5G.


In prospettiva, c’è un arretramento della coppia euro-dollaro?

Tra alti e bassi, si configura un’altissima probabilità di un ribasso di questa coppia valutaria.
È anche vero che si registra il rafforzamento dello jpy giapponese sul dollaro canadese.


Quali sono i numeri attuali?

La coppia euro-dollaro a luglio era ferma al cambio 1,1850.
Ai primi di dicembre era scesa a 1,1180.
Era quello che prevedevo. Il target era di 1,10.
C’è stato un rimbalzo. Scenderà molto più giù.
Tra alti e bassi dovrà arrivare sotto la soglia psicologica di 1,10.


E a che punto si trova la coppia valutaria Cad (dollaro canadese)-Jpy (yen giapponese)?

Oggi il cad-jpy si aggira sul cambio 91,80. Tra alti e bassi.
Deve arrivare intorno a 80-81. Il vero “Take profit” è 80,00/81,00.

Il Canada è una nazione importante.

Ma il Giappone, nel prossimo futuro, avrà la meglio sulla divisa canadese.

Ma è un ragionamento di prospettiva.

Per il momento è più forte il dollaro canadese.
 
Il vaso si sta scoperchiando, ma "loro" cercano di tenerlo su.
Con una scusa assurda ........



Il bollettino Covid, che quotidianamente segnala

i nuovi contagi,

il numero degli attualmente positivi,

i decessi,

i ricoveri,

le guarigioni

e i tamponi effettuati in Italia, non si tocca.


È questo l’orientamento che sarebbe emerso dall’ultima riunione del Comitato tecnico scientifico,
che si è riunito il 14 gennaio per valutare la richiesta delle Regioni
di modificare le modalità con cui vengono conteggiati i pazienti Covid negli ospedali.


Attualmente, infatti, viene inserito nel bollettino Covid giornaliero

CHIUNQUE

venga ricoverato per altri motivi diversi dall’infezione da Sars-Cov-2

poi viene tamponato e con un tampone positivo - anche senza sintomi -

diventa "malato covid".


Muore perchè ha fatto un incidente ......"loro" lo segnano come decesso covid.



Dal 1° febbraio dovrebbe cambiare tutto per volere del ministero della Salute.


Gli esperti del Cts, però, avrebbero ribadito, secondo quanto si apprende da fonti vicine,
la necessità di continuare a conteggiare anche questo gruppo di pazienti
al fine di monitorare adeguatamente l’andamento della pandemia, identificare le varianti e tracciare dove possibile i nuovi focolai.


 
Le scuse che accampano questi due sono paradossali.
Oltretutto due che non hanno la minima idea di come funziona un ospedale.

Il primo è un burocrate, che è stato un "assistente medico" sino al 1987
in un centro privato di nefrologia e dialisi ed ora è - ufficialmente - un
medico di medicina generale (l'ho rilevato dal suo curriculum pubblicato e firmato)

Il secondo è un altro burocrate - gastroenterologo - che NON HA MAI LAVORATO
in un ospedale e forse manco l'ha visto. (anche questo rilevato dal curriculum vitae ufficiale).

E questi sarebbero "gli esperti". "gli scienziati" ???????? Come quello che studia le zanzare.



Cambiare i criteri del conteggio dei ricoverati positivi al Covid “non funziona”, ha riferito all’Ansa.
È di questo parere Filippo Anelli, presidente della Federazione degli Ordini dei medici (Fnomceo).


“I numeri dei contagiati, il trend dei positivi ricoverati in area medica e nelle terapie intensive,
comunque li si conteggi, sovraccaricano gli ospedali e portano allo stremo i professionisti”,
considerando che chi è stato contagiato dal virus richiede comunque attenzioni particolari
e l’isolamento dalle altre persone ospedalizzate.

I pazienti positivi “anche se entrano in ospedale per altre patologie,
richiedono comunque procedure di isolamento, personale dedicato, obbligato,
a lunghe procedure di vestizione e svestizione”, ha aggiunto.

“Sottraggono risorse umane ed economiche a un sistema che deve farsi carico anche di tutte le altre patologie.
Assistiamo in questi giorni, a causa dell’elevato numero di contagi, alla riconversione di interi reparti,
al dirottamento del personale sui pazienti positivi”, ha dichiarato ancora Filippo Anelli.

“Di conseguenza, vengono rimandati i ricoveri e gli interventi non urgenti,
con il rischio che si aggravino le condizioni cliniche dei pazienti,
l’allungamento delle liste d’attesa e il relativo sovraccarico del territorio.
Tutti, alla fine, ne pagheremo il prezzo, medici e cittadini”.

Ha poi spiegato che “i medici si sentono soli nel difendere il diritto alla salute dei cittadini,
prima ancora che non compresi nel loro disagio professionale, lavorativo e di mancato riconoscimento del ruolo sociale”.


Questo “mentre anche le istituzioni pubbliche perseguono il pur comprensibile obiettivo di evitare nuove misure restrittive.
Obiettivo che non può essere raggiunto né a scapito della sicurezza e delle condizioni di lavoro degli operatori né della salute dei cittadini”.


Al ministro Roberto Speranza, numero uno del dicastero della Salute,
Filippo Anelli chiede di valutare “attentamente e con la giusta prudenza le richieste delle Regioni.

Chiediamo misure di controllo dell’epidemia, non operazioni di maquillage che camuffino la tragicità e la portata della pandemia”.


Con una voce separata per i pazienti positivi ricoverati per motivi diversi dal Covid,
come previsto dalla bozza della circolare del ministero della Salute,
questi dati permetterebbero di valutare diversamente la saturazione degli ospedali,
evitando l’ingresso in zona gialla e zona arancione dei territori più colpiti dal coronavirus, con molti asintomatici.



La proposta è considerata “inadeguata e rischiosa per ragioni cliniche, e inapplicabile per ragioni organizzative”
anche da Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe.

“Serve solo a evitare restrizioni. Tanto vale togliere il sistema delle regioni a colori”, ha sottolineato l’esperto in una nota.
Porterebbe inoltre a “sottostimare il reale sovraccarico degli ospedali”.


Dal 1° febbraio, come riporta il documento ministeriale, dovrebbe cambiare tutto.

Ma non è detta l’ultima parola, considerando la levata di scudi degli specialisti,

contrari alle modifiche della voce che riguarda i ricoveri dei pazienti positivi.
 
Dall’incontro si attende un primo passo per una storica “normalizzazione”.

A Mosca è previsto il summit delegati di Armenia e Turchia.

Le relazioni tra i due Paesi, dall’indipendenza di Erevan nel 1991,
hanno vissuto pericolosi alti e bassi.

Sull’esito del confronto regna ottimismo.

La nomina di Serdar Kilic da parte di Ankara, diplomatico di altissimo livello,
ambasciatore negli Stati Uniti, è un segnale positivo.

La delegazione armena sarà invece guidata da Ruben Rubinyan, vicepresidente del Parlamento.

Il dialogo tra i due Paesi fino a oggi riguarda la diversa posizione sui drammatici eventi del 1915
e il massacro degli armeni da parte delle truppe ottomane.

Erevan chiede che i tragici fatti che segnarono il collasso dell’impero ottomano
vengano riconosciuti come “genocidio”, termine da sempre “inaccettabile e contrario alla realtà della storia” per Ankara,
che sottolinea come in quei terribili giorni alla frontiera nord est della Turchia perirono anche tantissimi soldati turchi.


A complicare ulteriormente la missione dei delegati è stato il conflitto riesploso a fine 2020
nel Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbaigian,
durante il quale Ankara ha fornito sostegno non solo politico e diplomatico a Baku,
ma anche militare e operativo attraverso l’invio di droni da guerra.


Queste le premesse che hanno tenuto per decenni chiusi i confini dei due Paesi e congelate le relazioni diplomatiche.

Ankara ha riconosciuto l’Armenia all’indomani dell’indipendenza ottenuta nel 1991
e ha subito provato ad avvicinarsi a Erevan invitando delegati armeni
a prendere parte al Forum per la cooperazione economica dei Paesi del Mar Nero.

Una mossa esplorativa da parte di Ankara, per testare quanto fosse rimasto vivo il dolore del passato,
alla luce della fine dell’impero ottomano e della diversa epoca storica.

A far saltare un avvicinamento allora facilitato dalle disastrose condizioni economiche dell’Armenia all’indomani dell’indipendenza
fu l’occupazione da parte di milizie legate a Erevan di alcune aree del Nagorno-Karabakh nel 1993, fino ad allora appartenenti all’Azerbaigian.


In seguito all’occupazione Ankara, da sempre al fianco di Baku, sospese le relazioni commerciali,
il confine venne chiuso e tra i due Paesi per anni vi furono solo provocazioni, gelo e silenzio.

Un segnale di dialogo arriva nel 2005, quando il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan,
premier all’epoca dei fatti, inviò una lettera al presidente armeno Robert Kocharyan,
contenente la proposta di formare una commissione di storici provenienti da entrambi i Paesi
e aprire gli archivi ottomani per far luce una volta per tutte sui fatti del 2015.

Kocharyan rifiutò e propose di instaurare un dialogo politico di alto livello.

Risultato: i due Paesi rimasero fermi sulle rispettive posizioni.

Trascorsi tre anni, l’allora presidente turco, Abdullah Gul,
chiamò Serzh Sargsyan appena eletto presidente della Repubblica in Armenia.

Si trattò della prima telefonata tra capi di Stato dei due Paesi, ma non solo.

Sargsyan infatti invitò pochi mesi dopo Gul a Erevan per la partita tra le due nazionali di calcio,
impegnate nelle qualificazioni per le fasi finali dei mondiali.

Passarono altri sei mesi e l’invito venne ricambiato da Gul,
che ospitò Sargsyan per il match di ritorno in Turchia.

Gul diviene il primo presidente turco a visitare l’Armenia dall’indipendenza,
Sargsyan il primo presidente armeno a mettere piede in Turchia.


Ultimo capitolo delle travagliate relazioni tra i due Paesi è stato il conflitto in Nagorno-Karabakh,
irrisolto per anni e riesploso a fine settembre 2020 e proseguito fino al 10 Novembre,
quando Mosca si fece garante di un accordo che impose il ritiro delle forze filo armene
in territori internazionalmente riconosciuti come appartenenti all’Azerbaigian.

Ankara ha sempre sostenuto Baku con ogni mezzo e all’indomani della fine del conflitto nel Caucaso Erdogan,
soddisfatto di un esito che ha segnato una sostanziale vittoria per l’Azerbaigian,
è tornato a tendere la mano a Erevan offrendo di riaprire i confini “per il bene di entrambi i Paesi”.

Il premier armeno Nikol Pasinyan ha definito ‘positivi’ i segnali provenienti da Erdogan
e annunciato che in questo stesso mese sarà abolito l’embargo nei confronti delle importazioni turche.


Il patriarca armeno Sahak Mashalyan, in un discorso tenuto alla vigilia dell’anniversario dello sterminio degli armeni lo scorso anno,
si è detto “profondamente rattristato dall’utilizzo politico del dolore del popolo armeno e dei nostri padri da parte di alcuni Paesi”.
 
Nel mese di luglio del 2020,
cioè quasi un anno e mezzo fa conoscevamo già, in modo dettagliato,
i possibili interventi infrastrutturali che avrebbero trovato collocazione nel redigendo
Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr);

addirittura l’allora presidente Giuseppe Conte aveva assicurato che entro il 2020
avremmo avuto la prima tranche di 20 miliardi di euro e, avevamo ritenuto talmente sicura tale previsione,
da garantire la intera copertura finanziaria della Legge di Stabilità 2021 con le risorse garantite dal Next Generation Eu.

Alla fine di ottobre, sempre del 2020, avevamo l’elenco di tutte le opere infrastrutturali; elenco che è rimasto valido fino ad oggi.


Quindi quando alcuni Ministri del Governo denunciano l’avvenuto trasferimento degli interventi

ai vari soggetti attuatori dimenticano che in fondo la loro è stata una banale comunicazione,

una banale conferma di ciò che i vari soggetti attuatori conoscevano già da almeno un anno.



Quello che preoccupa di più è la incoscienza dell’organo centrale nel misurare davvero la limitata disponibilità dei tempi:
nel luglio del 2020, per la scadenza del 31 dicembre 2026, avevamo in fondo disponibili quasi sei anni e mezzo,
oggi ci rimangono solo cinque anni.


In realtà in un anno e mezzo non siamo riusciti a cantierare ancora nessuna nuova opera

e, cosa ancor più grave, continuiamo a istituire Commissioni,

continuiamo a formare Comitati per esaminare le opere,

continuiamo a istituire Governance,

continuiamo a nominare commissari e super-commissari.



Sicuramente la mia è una previsione sbagliata,
è forse una ipotesi pessimistica perché qualora si avverasse
crollerebbe automaticamente la ricca serie di auto apprezzamenti formulati dai Ministri Enrico Giovannini o Roberto Cingolani,
crollerebbe la serie di assicurazioni fornite da una serie di cronoprogrammi forniti dai vari soggetti attuatori.


Tuttavia basta leggere attentamente, solo a titolo di esempio, il quadro programmatico prodotto da Rete Ferroviaria Italiana
per convincersi che un soggetto attuatore come Rfi, sin dal mese di luglio 2021,
in occasione del Contratto di Programma approvato dal Parlamento,
aveva in modo trasparente ed inequivocabile denunciato apertamente
che - nel migliore dei casi - le prime opere inserite nel Recovery Plan sarebbero state cantierate non prima del 2024

e, sempre le Ferrovie dello Stato, avevano, in modo corretto, ipotizzato il ricorso ad un Piano B
qualora fosse venuta meno una coerenza temporale a quanto fissato dalla Unione europea.



Eppure, mi chiedo, perché abbiamo invocato tante procedure
per annullare l’assurdo Codice degli Appalti istituito dall’ex ministro Graziano Delrio,

eppure perché abbiamo ipotizzato possibili snellimenti procedurali capaci di consentire procedure più veloci
nella fase di approvazione dei progetti e nel contestuale processo autorizzativo degli stessi,

eppure perché abbiamo posto anche condizioni innovative nell’affidamento delle opere;

perché tutto questo impegno normativo per poi non trovare, dopo un anno e mezzo, aperto neppure un cantiere.


Tra l’altro oltre alle risorse del Pnrr,
ci sono i 30 miliardi delle opere del Piano complementare,
ci sono le risorse del Fondo Sviluppo e Coesione da spendere entro il 31 dicembre del 2023
e, quindi, per la prima volta i soggetti attuatori
(Grandi aziende come Anas, Ferrovie dello Stato, ecc. o Enti locali come Regioni ed Aree Metropolitane)
non hanno assolutamente carenze di risorse.


Allora se c’è questa immotivata stasi
c’è da chiedersi dove abbiamo o stiamo ancora sbagliando;

sicuramente come ho ricordato prima
forse abbiamo ecceduto nella ricerca di metodi organizzativi
e nella identificazione di momenti di grande coinvolgimento
nella definizione e nell’attuazione delle scelte
e abbiamo sottovalutato la importanza di lavorare da subito per singole tessere del mosaico Paese.


Cerco di essere più chiaro:

per quale motivo non abbiamo preso una singola Regione o una macro Regione

e sulla base dei progetti già definiti

non abbiamo subito dato concreto avvio alla famiglia di opere che ricadevano in tale realtà territoriale ?



Autorizzando i soggetti attuatori, competenti nella realizzazione delle opere di tale ambito,
a bandire le gare ricorrendo all’appalto integrato, cioè all’affidamento congiunto della progettazione esecutiva
e dell’esecuzione dei lavori sulla base del progetto definitivo.

Inizialmente vietato, l’appalto integrato è stato consentito prima fino al 31 dicembre 2020
e di recente, invece, il Decreto Semplificazioni (D.L. n. 76/2020 convertito con modificazioni dalla legge 120/2020)
ha prorogato la possibilità di appalto integrato fino al 31 dicembre 2021.


Come detto prima pur in presenza di tali provvedimenti
si è continuato ad affrontare i grandi sistemi,
ad elencare l’elenco degli obiettivi da raggiungere entro il 2021
e poi di quelli da raggiungere entro il 2022
ed a dimostrare di aver adempiuto al raggiungimento degli stessi;

per alcuni ministri questa esperienza è sembrata molto simile
alla vecchia abitudine delle nostra infanzia, quella di completare un album delle figurine;

la finalità era aver incollato tutte le figurine;

oggi, purtroppo, l’obiettivo è raccontare l’avvenuto completamento di passaggi
senza verificare quando quelle proposte progettuali, ubicate fisicamente in un ben definito spazio territoriale,

daranno vita ad espropri,

daranno vita a posti di lavoro,

daranno vita a misurabili cantieri

e come cambieranno, in un arco temporale ben preciso,
l’assetto socio economico di una realtà metropolitana,
di una Regione, di una macro Regione.



Questo non è esasperato pragmatismo ma è solo una presa d’atto che il ritmo finora seguito,
nella definizione e nel tentativo di attuazione del Pnrr,
è completamente estraneo da una obbligata coscienza del fattore tempo
e questa negatività diventa ancor più patologica per quelle opere ubicate nel Mezzogiorno d’Italia,
di quelle opere cioè di cui, allo stato attuale, sono disponibili solo “studi di fattibilità”
e quindi praticamente nulla che possa generare, in tempi brevi, cantieri operativi.



Questa mia affannosa denuncia persegue solo una finalità:

evitare che, ad un primo tagliando sulla attuazione del Pnrr,
esplodano tutte queste incongruenze,
queste criticità e crolli in un attimo l’encomiabile lavoro fatto
nel riverificare integralmente la proposta di Recovery Plan indifendibile
prodotta dall’ex presidente Conte e garantirne finora l’avanzamento delle riforme.


Voglio cioè evitare che un possibile fallimento sia causato dai sostenitori dei Governi del passato

a cui comincia a "non" dar fastidio che si sia passati dal vuoto di governo al governo del vuoto.
 
Nelle Chiese Ortodosse, il Battesimo del Signore è festeggiato il 6 gennaio,
dalle chiese che seguono il nuovo calendario ortodosso,

il 19 gennaio da quelle che seguono il calendario giuliano.


Nelle Chiese protestanti che celebrano questa festa, come ad esempio la chiesa luterana,
essa cade generalmente la domenica dopo l’Epifania.


Nella Chiesa anglicana il Battesimo del Signore cade la domenica dopo l’Epifania
quando questa è il 6 gennaio (la maggioranza dei casi)
oppure una domenica non oltre il 6 gennaio;

dove l’Epifania si celebra in domenica e questa cade il 7 o l’8 gennaio,
il Battesimo del Signore si celebra il lunedì seguente.
 
Stanno vaneggiando su un futuro impossibile e nessuno li ferma....mah.


La più grande economia europea, la Germania,
dovrebbe diventare un importatore netto di elettricità nel 2023 per la prima volta dal 2002,
a causa del ritiro delle centrali a carbone e del phase-out nucleare,
ha affermato venerdì l’Agenzia internazionale per l’energia (AIE).


La Germania prevede di spegnere tutti i suoi restanti impianti a energia nucleare entro la fine del 2022,

mentre dismetterà la propria capacità di generazione a carbone tra il 2022 e il 2024.



Di recente, il paese ha affermato che mirerà a eliminare gradualmente il carbone entro il 2030, otto anni prima dei piani precedenti.

L’uscita dal carbone per la Germania potrebbe essere più difficile che in altre economie europee,
perché il paese prevede di eliminare gradualmente la produzione di energia nucleare entro la fine di quest’anno.

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L’accordo della nuova coalizione in Germania include, ad esempio, l’eliminazione graduale del carbone,
se possibile entro il 2030, e la più rapida espansione delle energie rinnovabili,
ha affermato l’IEA nel suo Rapporto sul mercato elettrico – gennaio 2022 pubblicato oggi.

La restante capacità nucleare della Germania, che ha fornito circa il 12% della produzione totale nel 2021,
dovrebbe essere gradualmente eliminata entro la fine del 2022.

Allo stesso tempo, una parte della capacità di carbone dovrebbe essere ritirata secondo i piani di eliminazione graduale del carbone .

La capacità del carbone è destinata a diminuire da 35 GW alla fine del 2020 a 30 GW nel 2022 ea meno di 26 GW nel 2024, ha osservato l’IEA.


I tempi dell’eliminazione graduale del nucleare e dell’eliminazione accelerata del carbone da parte della Germania
coincidono con la crisi energetica in corso in Europa, dove i prezzi del gas naturale e dell’energia elettrica
sono balzati ai record a causa dell’insufficiente fornitura di gas
e della generazione irregolare di energia eolica nell’Europa nord-occidentale, compresa la Germania .



Il rimbalzo della generazione da carbone nel 2021 e l’eliminazione graduale della capacità nucleare
significano che le emissioni del settore elettrico sono aumentate lo scorso anno per la prima volta dal 2013 (+17%)
e potrebbero scendere di nuovo al di sotto del livello del 2020 solo nel 2024.


Il paradosso di una politica “verde” che invece è sempre più “Nera”,

perché basata sull’approssimazione e sulla demagogia.



Alla fine non si può.

La produzione da carbone in Germania è destinata a diminuire nel 2023
e nel 2024 a causa del ritiro delle centrali a carbone, dell’eliminazione graduale del nucleare,
dello status di importatore netto della Germania e della prevista maggiore produzione a gas
a causa del continuo aumento della competitività del gas rispetto al carbone, secondo l’AIE.


Una banale domanda: chi fornirà l’energia elettrica alla Germania?

La Francia ha una parte dei propri impianti nucleari in manutenzione,

la Svizzera no,

il Belgio sta per chiudere i propri impianti nucleari…


non avete qualche sospetto che qualcuno verrà a battere cassa in Italia ?
 
Ormai è ufficiale: niente Tesla Cybertruck fino, per lo meno, al primo trimestre 2023.

Quello che era sino a ora un sospetto è diventata una realtà con un comunicato ufficiale.


Gia ieri era stato notato che la Tesla aveva rimosso la data di produzione del 2022 per il Cybertruck dal sito Web dell’azienda.

Il sito internet dell’azienda di auto elettriche prima diceva che

“Sarai in grado di completare la tua configurazione all’avvicinarsi della produzione nel 2022”
e ora afferma: “Sarai in grado di completare la tua configurazione all’avvicinarsi della produzione”.


Già nel 2021 si era capito che qualcosa non andava perché ormai Tesla stava ritardando il Cybertruck alla “fine del 2022”.

Ora sembra che quel programma possa essere ancora troppo aggressivo.


In realtà non bisognerebbe essere troppo stupiti per il ritardo nelle consegne del Cybertruck
dato che le notizie del genere si rincorrevano sul web già da tempo.

Se ne era parlato per la prima volta l’anno scorso dal blog Tesla Electrek,
che è stato persino costretto a notare che anche se il mezzo,
“una volta era considerato potenzialmente il primo sul mercato”, è “ora in ritardo”.


Nel frattempo, concorrenti come l’F-150 Lightning di Ford
continuano a raccogliere un’attenzione significativa e, cosa più importante, stanno effettivamente per esistere.

Non solo, a marzo dovrebbero iniziare le consegne del pick up della concorrente diretta di Tesla, Rivian,
per il quale, nonostante tutto, non sono ancora giunte notizie di rinvio.


Tesla “solo di recente” ha completato il progetto dettagliato e industrializzato del mezzo, afferma un rapporto di settembre 2021.

Il rapporto rilevava anche che nell’agosto 2021 Tesla aveva confermato
che avrebbe iniziato la produzione ad Austin dopo la partenza della linea del Model Y.
 
Secondo un nuovo rapporto di Transport & Environment (T&E)
intitolato “Climate Impacts of Exemptions to EU’s Shipping Proposals”
le esenzioni minano l’integrità delle leggi navali”,
più della metà delle navi europee verranno esentate dalla tassazione
per l’utilizzo di combustibili a base di carbonio applicato dalla Commissione Europea
per il settore del trasporto navale.



La cosa scandalosa è che a essere esentati saranno… gli Yacht dei super ricchi. .


Secondo il rapporto, nel luglio 2021 la Commissione europea
ha pubblicato una serie di proposte per decarbonizzare il settore marittimo.

Tuttavia, ciò che non viene menzionato in silenzio,
è che il proposto sistema di tariffazione del carbonio (ETS)
e lo standard per combustibili a basse emissioni di gas a effetto serra (FuelEU Maritime)
si applicheranno solo alle navi di stazza superiore a 5.000 GT.

Quindi a essere esentati sarebbero, giustamente, i pescherecci
e… gli yacht per ricchi e super ricchi, quelle magnifiche navi che vengono a sostare in Costa Smeralda o a Montecarlo.

Eppure il loro apporto a livello carbonico non è assolutamente basso.


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L’estate scorsa la Commissione Europea,

cioè l’associazione massima della burocrazia destinata all’oppressione della gente,

ha proposto di esentare i jet privati, il mezzo di trasporto più inquinante,

dalla prevista tassa europea sul carburante degli aerei.



Una bozza indicava che la tassa sarebbe stata introdotta gradualmente per i voli passeggeri, compresi quelli che trasportano merci.

I jet privati godranno di un’esenzione attraverso la classificazione di “aviazione d’affari”
come l’utilizzo di aeromobili da parte di imprese per il trasporto di passeggeri o merci
come “aiuto allo svolgimento della propria attività”, se generalmente considerati non di pubblico noleggio.


C’è di meglio: un’ulteriore esenzione è concessa per i voli “di piacere”
in cui un aeromobile è utilizzato per scopi “personali o ricreativi”
non associati a un uso aziendale o professionale.

Quindi i super ricchi, quelli che usano il Jet per andare a Davos, non pagheranno nessuna tassa sul carburante.


Questo è strano perché un recente rapporto

ha rilevato che le emissioni di CO2 dei jet privati in Europa

sono aumentate del 31% tra il 2005 e il 2019,

con voli verso destinazioni popolari notevolmente aumentati durante le stagioni delle vacanze estive.



Quindi, se l’Europa fosse veramente preoccupata di ridurre le emissioni di CO2, non applicherebbe queste esenzioni.

Sono per lo più miliardari e ultra ricchi che volano in privato,
e questi sono riusciti a essere esentati dalle normative
(che di solito sono scritte da politici che gli ultra ricchi hanno precedentemente corrotto o acquistato)
che invece si applicano agli altri.


Siamo tornati al periodo prima della Rivoluzione Francese,

dove la Nobiltà Ricchissima era esentata dai tributi, pagati dal Terzo Stato.


Però, all’epoca, poi ci fu una rivoluzione.
 
Il noto economista e premio Nobel Robert Shiller
ha concesso un’intervista al giornale tedesco Handelsblatt
piuttosto interessante perché presenta le sue visioni sulle aspettative di mercato e l’economia in generale.

Prima di darvi un estratto del suo pensiero voglio avvisarvi che Robert Schiller ha sempre avuto un realismo al limite del pessimismo.


MERCATI:
Robert Shiller è un esperto di mercati, soprattutto, per la verità , immobiliari.
Due anni fa affermò che il mercato azionario era sopravvalutato del 40%,
ma successivamente i valori non sono crollati, nonostante il covid-19.

Questo lo ha lasciato un po’ stupito da questa resistenza, dovuta, soprattutto, all’intervento delle banche centrali.

Comunque secondo Shiller il valore attuale è il più alto degli ultimi 100 anni,
raggiunto solo brevemente durante la bolla delle Dot-Com.

Quindi una forte correzione è inevitabile, e Shiller lo vede della dimensione fra il 33% e il 50%.

E come nel 1929 , ora si inizia a parlare di sopravvalutazione e questo rende il momento di rottura più vicino.



MERCATI “COMPLICATI” :
Un problema ulteriore nel valutare i mercati odierni proviene però dal fatto
che non ci sono più investitori istituzionali che hanno la funzione di guidare il mercato.

Come dimostra Robinhood e GameStop, ormai ci sono una marea di investitori privati guidati dall’avidità
e che sfruttano mezzi di comunicazione moderni.

Questo cambia profondamente la percezione dei valori e dei prezzi.


CRIPTOVALUTE:
Shiller ci rivela che ha perfino pensato di acquistare Bitcoin,
impressionato dalla tecnologia, ma ci ha rinunciato per la volatilità.


INFLAZIONE:
L’inflazione potrebbe diventare il cuore della narrativa economica, come in tempo di guerra,
ma qui l’inflazione è causata non dalle bombe, ma dalle rotture delle catene logistiche.

Noi diremmo che l’accumulo della deflazione legato alla decentralizzazione della produzione
e da supply chain lunghe e rischiose si è improvvisamente arrestato.

Semplicemente i prezzi stanno tornando a livelli più coerenti con un livello normale di globalizzazione.



DEBITO DEGLI STATI:
Shiller vede un’oscura dalla crisi con debiti pubblici molto elevati, sia nei paesi avanzati sia in via di sviluppo.

Non vede in ciò un elemento negativo, se si utilizzano i tassi di interessi limitati per aumentare gli investimenti produttivi.


ECONOMIA DEL FUTURO :
Shiller non esclude un futuro in cui i consumi verranno a calare anche a causa della tecnologia e della AI.

Ad esempio la possibilità di lavorare a distanza ridurrà la necessità di muoversi.

Nello stesso tempo però questo provocherà sconvolgimenti economici
che verranno imputati alla AI stessa e alla situazione economica attuale.

Shiller vede più probabile una spinta protezionistica e nazionalistica più forti.

CINA Vs USA :
Shiller vede un pericolo ben maggiore rispetto all’inflazione nel confronto fra occidente e Cina.


TRUMP vs BIDEN:
Shiller non vede impossibile il ritorno di Trump alla presidenza,
dopo il fallimento del tentativo di Biden di pacificare la società.

Shiller ha una visione coerente con la generale politica progressista accademica USA,
ma presenta, almeno dal punto di vista economico, alcuni spunti interessanti.


Se non altro non vede un disastro da debito o da inflazione, ma da bolla finanziaria.
 

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