IL MIO CORPO DICE "DIETA", MA IL MIO CUORE CANTA "A NATALE PUOI"

Fedele al suo grossolano giustizialismo il capo politico del Movimento Cinque Stelle Luigi Di Maio
non sa far altro che affrontare il problema della Banca Popolare di Bari pretendendo di sapere i nomi dei responsabili del dissesto.

A lui non interessa come risolvere una questione da cui può dipendere il futuro economico e civile di una parte consistente del Mezzogiorno d’Italia.

A lui importa solo comminare delle pene, e, soprattutto, rendere noto all’opinione pubblica
che la vendetta sociale nei confronti dei colpevoli del fallimento bancario è stata compiuta nel più rigoroso dei modi.

La sua è una giustizia di tipo primordiale.

Non chiede il taglio delle mani di chi ha firmato bilanci fasulli o sbagliati ma, se potesse, lo farebbe ben volentieri per fornire agli italiani ed ai suoi elettori
il segno che lo stato ha punito chi ha infranto o non rispettato le regole nella maniera più inflessibile ed esemplare.

Per definizione i giustizialisti, grossolani o raffinati che siano, si considerano esenti da ogni tipo di responsabilità penale, civile o semplicemente morale.

Ma la loro certezza di impunità è fondata sul nulla.

Perché esiste una colpa gigantesca che grava sulla classe politica che ha governato il paese negli ultimi dieci anni.
 
In auto, da sola, per 220 chilometri, per tutelare 440 mila euro di risparmi.

Giovanna Scialdone, 60 anni, insegnante di Scienze motorie al Liceo Garofano di Santa Maria Capua Vetere,
si è presentata ieri all’ora di pranzo agli Uffici giudiziari penali di Bari:
«Sono arrivata da Vitulazio, in provincia di Caserta, per incontrare il procuratore aggiunto Roberto Rossi, l’unico che ha acceso un faro sulla vicenda della Popolare di Bari».

Rossi, che coordina le indagini della Procura sull’istituto di credito commissariato dal 13 dicembre, ieri, però, non c’era.
E Giovanna è pronta ad aspettare il procuratore aggiunto, anche rimanendo la notte fuori, finché non sarà ricevuta.
Per chiedergli quello che ha già messo nero su bianco sui cartelloni che si è portata da casa:

«Sapere a chi sono stati regalati i miei soldi e quelli dei miei figli».

La professoressa si lamenta di aver investito nella Popolare di Bari 440 mila euro —300 mila in azioni e 140 mila in obbligazioni —
"di cui consapevolmente solo 60 mila euro in azioni. Per il resto, tutto è successo a mia insaputa:
il direttore della filiale ha avuto gioco facile con me che sono finanziariamente analfabeta."
 
Sartori è giovane, eppure non mostra emozioni nel suo argomentare come se avesse preso un lassativo o la cosa più semplice,
gli hanno infuso gli argomenti e le risposte come in una recita teatrale.

Ritengo che nonostante il lavaggio cerebrale, sa benissimo che tra le tante cose dette ci sono delle assurdità,
ma è preso in un vortice da cui non può più uscire confortato dalla acclamazione di tanti "gretini".

Risulta perfettamente conscio di avere alle spalle la parte più rossa della sinistra, dei sindacati tra cui la Fiomm CGIL e lo dice espressamente.

Le solite bugie della sinistra la quale non vuole esporsi negli atteggiamenti forti, reazionari e rivoluzionari evidenziati da Sartori.

Pretendere non è proporre democraticamente, è la bandiera della dittatura.

Le sardine sono quella parte politica dittatoriale che loro stessi combattono eppure tanti "gretini" applaudono decadendo miseramente.
Non hanno neanche letto la storia e conoscono solo quella parte infusa dalla sinistra.

Certamente certi elementi applaudono sicuri di trarne un vantaggio come pensano gli occupanti abusivi e i nostalgici di Lenin-Stalin-Marx,
dottrine che gli stessi comunisti hanno relegato nel passato per gli errori commessi nel suo nome.

Tuttavia il loro scopo è raggiunto, spostare l'attenzione del popolo bue dalla inutile presenza rossa al governo
e dei tanti episodi maleodoranti che li terminano, come dal caso Bibbiano ecc.
 
La Commissione europea e le Regioni lanciano l’allarme sul grande progetto Bul,
la rete pubblica di tlc a banda ultralarga, oltre i 30 Megabit al secondo in download,
destinata a coprire le aree a fallimento di mercato (le cosiddette aree bianche),
che nel 2015 il Governo Renzi decise di finanziare con risorse nazionali del Fondo sviluppo e coesione
e con fondi europei per lo sviluppo regionale (Fesr) e per lo sviluppo rurale (Feasr).

Una rete che rimarrà pubblica, ma in concessione ventennale.

Ad aggiudicarsi i bandi, nel 2017, fu Open Fiber, controllata alla pari da Enel e Cdp.

Per avere contezza dei timori, la strada più immediata sono i numeri, pubblicati da Infratel
(la Spa a cui il ministero dello Sviluppo, che la controlla attraverso Invitalia, ha affidato la missione di realizzare il progetto) e sono aggiornati al 4 novembre.

Spulciando i dati si legge quindi che solo in cinque Comuni i lavori sono «terminati», cioè la rete è collaudata e operativa.
In tutto i comuni interessati sono circa 7.450, compresi in due dei tre progetti Bul, escludendo l’ultimo
che riguarda Calabria, Puglia e Sardegna assegnato a metà del 2018 e ancora non entrato nel vivo ma relativo ad un numero esiguo di comuni.

Dei 7.450 in realtà i piccoli centri da considerare 5.554, visto che in fase di progettazione definitiva si è scoperto che quasi 1.200 non erano considerabili aree bianche.
Il risultato finale non cambia: i comuni in cui il servizio è collaudato si contano sulle dita di una mano:
Attigliano, Castel Giorgio e Penna in Teverina in provincia di Terni; Ampezzo in provincia di Udine; Vertova nella Bergamasca

In altri 310 i lavori sono stati ultimati, ma manca il collaudo e dunque la spesa non può essere certificata alle autorità europee.

Stando sempre ai numeri Infratel, i lavori sono in corso solo in 1.614 comuni;
per 220 si attende l’approvazione del progetto esecutivo;
in 474 il concessionario (Open Fiber) ha avviato la richiesta di autorizzazione e si attende la decisione.

Tutti gli altri sono ancora più indietro in questo defatigante percorso a ostacoli ei dui quello più semplice a conti fatti sembra la posa dei cavi.

Progetto con fortissime fragilità
«Sul progetto Bul ci sono fortissime fragilità» ha detto Nicola De Michelis, direttore generale della Dg Regio alla Commissione europea,
alle autorità di gestione delle Regioni e ai vertici del Dipartimento della presidenza del Consiglio per le politiche di coesione, a Trieste venerdì scorso per la riunione annuale sui fondi europei.

«È necessario un incontro in tempi rapidissimi per discutere di questa operazione» ha aggiunto preannunciando una convocazione.
«Stiamo marcando stretto Infratel – ha assicurato Antonio Caponetto, dg dell’Agenzia per la coesione – perché spenda le risorse prelevate dai programmi regionali».

Perché le Regioni, con il sostegno dell’Agenzia per la Coesione, sono preoccupate?


Rischio disimpegno automatico
È una questione di tempi: entro fine anno devono certificare a Bruxelles determinati livelli di spesa dei rispettivi Programmi operativi 2014-2020
per non incorrere nel disimpegno automatico, cioè la perdita dei fondi comunitari.

Ogni autorità ha fatto i suoi conti e nella spesa ha considerato anche la quota annuale destinata alla Bul, che però è ormai fuori dal controllo delle Regioni.
In breve, se non si procede con i lavori e dunque con la spesa (cosa che chiama in causa su differenti livelli Open Fiber e Infratel), le Regioni non possono rendicontare alla Commissione e perdono i soldi.

Non tutte le Regioni, però, sono senza responsabilità.
A ciò, infatti, bisogna aggiungere almeno altre due complicazioni.
La prima è che alcune probabilmente hanno sovrastimato le necessità di finanziamento della Bul, destinando troppe risorse (forse nella speranza di accelerare la spesa dei fondi Ue).

La seconda, che aggrava le conseguenze della prima, è quella già citata degli oltre mille comuni che non rientano più nelle aree bianche perché si è scoperto che una rete esisteva già ma non era censita.

La parola a Infratel e OpenFiber
«Quello che posso garantire, numeri e fatti alla mano è che c’è un’accelerazione», è il commento di Stefano Paggi, direttore Network & Operations di Open Fiber.

«Abbiamo forse avuto ritardi iniziali, dovuti a una serie di fattori fra cui ricordo i ricorsi dei competitor».
Quello su cui Paggi invita però a fare attenzione è proprio il giudizio sui numeri, in un progetto «monumentale per l’Italia» da 1,4 miliardi di euro
su 2,4 miliardi di valore della rete Infratel e all’interno di un progetto complessivo di Open Fiber da 6,5 miliardi di cui 3,5 coperti da project finance
(comprese le aree più remunerative A e B) e più di un miliardo dalle regioni con i programmi europei.

«Considerare il dato dei collaudi – replica – è in qualche modo fuorviante.
Non a caso abbiamo raggiunto un accordo con Infratel per poter commercializzare Comuni anche in cui non si stato completato il collaudo
perché magari mancano opere di ripristino non facili in periodo invernale. A oggi stiamo commercializzandoil servizio in oltre 100 comuni,
che porteremo a 400 entro fine anno. Comunque, ripeto, rispetto a soli 3 mesi fa i numeri sono in grande accelerazione».

Anche in Infratel si pone l’accento «sui ricorsi degli altri operatori».
E c’è la consapevolezza che «i lavori dovrebbero essere completati entro il 2020 ma è difficile pensare che questo avvenga».

Perché si è arrivati a questo punto?

«Ci sono tanti aspetti da considerare. Dipende in parte dalla particolarità di questo appalto: si tratta di una rete costruita per un altro proprietario, che è lo Stato.
E che deve avere tutto il quadro della rete, chiedendo quindi prescrizioni molto stringenti. Ci sono poi le difficoltà oggettive in fase di predisposizione dei permessi.
Però c’è da tenere presente anche un altro aspetto, progettuale. Un comune è collaudabile solo se c’è un punto di consegna neutro,
dove andranno gli operatori per attaccarsi alla rete e dare servizi. È previsto un numero di Pcn, ma il fatto che Open Fiber sfrutti le infrastrutture elettriche
ha portato a prevederne molto meno. Questo ha impattato negativamente vincolando la possibilità di collaudo anche alla realizzazione, appunto, dei Pcn».

Fatto sta che i nodi stanno venendo al pettine e insieme alla complessità del progetto, ora si discute anche di una governance forse inutilmente troppo complicata.
 
Nelle prossime ore investiremo un miliardo di euro per salvare dal fallimento la Banca popolare di Bari.

Probabilmente sarà utile per non spaventare i mercati e non distruggere la fiducia dei risparmiatori,
ma dal punto di vista tecnico si tratta di una tassa che pagheranno tutti gli italiani.

Quando una banca salta ci sono due strade.

La prima è farla fallire e con essa compromettere la posizione anche di coloro che hanno depositi in conto corrente superiori ai centomila euro.
La seconda è salvarla con i quattrini anche di coloro che un conto non ce l’hanno.

Il miliardino arriverà in gran parte da una banca pubblica controllata dal Tesoro.

Più o meno da quelle parti, e dunque sempre dal nostro portafoglio, giungerà un altro miliardino per tenere accesa la fabbrica di acciaio Ilva.

Sempre che i magistrati, per un favoloso paradosso che ha molto a che vedere con l’eterogenesi dei fini, non si impongano e costringano a spegnere tutto.

Banche e industria pesante non bastano. Dopo aver concesso 1,3 miliardi di prestito ponte all’Alitalia, arrivano altri 400 milioni.

Qui il corbinismo italiano si colora con la nostra straordinaria capacità mimetica.
Abbiamo chiamato prestito e per di più ponte, qualcosa che nessuno ci restituirà mai.

In sostanza si tratta di risorse a fondo perduto per alimentare una società di servizi che perde 800 mila euro al giorno.

Di fatto è il paradiso dello statalismo: i contribuenti pagano degli avvocati che cercano di gestire una perdita eterna.


Se fosse stato per alcuni componenti dell’attuale maggioranza, sulla scorta delle incredibili deficienze private, avremmo nazionalizzato anche le autostrade.
E alcuni di loro ancora ritengono che sia la strada migliore.

In questo modo è del tutto evidente che un paese non cresce: anzi affonda.

Ecco la soluzione: diamo un reddito di cittadinanza a chi non ce la fa. Altri sette miliardi gettati nel mare della nostra spesa pubblica,
che nelle intenzioni avrebbero dovuto riqualificare la nostra forza lavoro e invece hanno solo creato assistenza.

In effetti in Italia esiste un’impresa che ce la fa.
Certo i suoi dipendenti non sono molto motivati e i loro stipendi sono talvolta da fame.
Ma è l’unica organizzazione al mondo che nei prossimi tre anni si potrà permettere di assumere la bellezza di 450 mila nuovi dipendenti.

Si tratta della pubblica amministrazione, che secondo le dichiarazioni dei nostri politici potrà assumere come se non ci fosse un domani.

Toc toc
: ma i miliardi per le banche, per l’Ilva, per l’Alitalia, per il reddito di cittadinanza,
per pagare i prossimi trent’anni di lavoro ai nuovi dipendenti pubblici chi li pagherà se tutto ciò che era privato è diventato statale?
 
Comico.

"Io dovrei convincere i senatori a non andarsene con Salvini?
Io ho la villa e un'attività, Casaleggio la sua società e i suoi soldi.
Ma vi è chiaro o no che, se si rompe il giocattolo del governo,
tutta questa nostra gente che abbiamo portato in politica
ce la ritroviamo sotto casa a chiederci un lavoro?
Altro che andarsene con Salvini.
Questi vengono sotto casa nostra perché il Movimento,
un secondo dopo il voto, è già bello che morto...",
 
Giuseppi.


Il 12 gennaio 2020 la riforma che riduce di più di un terzo (345) i seggi tra Camera e Senato diventa legge:
la richiesta del referendum confermativo potrebbe far slittare l'entrata in vigore del taglio.

Aprendo una finestra sul voto anticipato con vecchia legge elettorale e senza riduzione dei seggi.

L'ipotesi è molto concreta: mancano le firme di quattro senatori per far scattare la consultazione popolare.
Nei fatti ne manca una di firma: tre senatori del Pd hanno fatto sapere di essere pronti a sottoscrivere la richiesta di referendum.

Ma sul taglio dei parlamentari si sta giocando un'altra partita.

Tutta nel campo della maggioranza giallorossa.

Tra Pd, Conte e 5 Stelle.

E dagli esiti imprevedibili.

Al Nazareno, Zingaretti e i suoi vogliono usare l'arma del referendum, che potrebbe accelerare la corsa al voto, per tenere sotto scacco Conte e i grillini.

I dem minacciano di non bloccare i quattro senatori che sono pronti a chiedere il referendum.

A quel punto, la riforma sarebbe congelata.

Un arco di tempo nel quale si potrebbe ridare la parola agli elettori per eleggere un Parlamento senza taglio.

Scenario che terrorizza Luigi Di Maio, che perderebbe leadership, e i 5 Stelle, che vedrebbero ridotta la forza parlamentare.

Incassato il via libera alla manovra, Zingaretti, Bettini, Orlando e Franceschini chiederanno una verifica di governo, mettendo sul tavolo la pistola del referendum.

Una mossa per alzare la posta nelle trattative sui vari dossier: autonomie, prescrizione, legge Fornero, decreti sicurezza.

Prendere o lasciare: Zingaretti andrà da Conte con l'ultimatum.

Su almeno due punti, il Pd minaccia lo strappo:
lo stop alla riforma Bonafede che cancella, dopo il primo grado di giudizio, la prescrizione,
e la revisione dei decreti sicurezza.

Nel M5s l'aria è tesa: l'entrata in vigore della riforma potrebbe mettere in cassaforte la legislatura, fermando la fuga di parlamentari verso il centrodestra.

Ma il pericolo è però dietro l'angolo: in caso di via libera al referendum, con lo scenario di un voto anticipato, l'emorragia potrebbe essere incontenibile.

Il Movimento rischierebbe l'estinzione.

La mossa del Pd è stata accolta a Palazzo Chigi con grande nervosismo.

L'allarme è scattato.

Il premier sta preparando le contromosse.

L'avvocato del popolo ha ripreso i colloqui con gruppi di parlamentari responsabili per puntellare la maggioranza.

E poi sempre lo staff del premier ha fatto circolare il sondaggio Ipsos sul gradimento di Conte, che supererebbe gli altri leader.

Una strategia per blindare la candidatura del capo del governo, in caso di elezioni anticipate, alla guida del centrosinistra.
 
Riforma del MES e unione bancaria: due argomenti complementari legati da una sottile linea rossa,
la stessa che fornisce una chiave di lettura dei recenti avvenimenti politici in Italia
e che, al tempo stesso, evidenzia interessi, manovre, intrecci dannosi per il nostro Paese.

Nella sua recente visita in Italia, Pierre Moscovici ha affermato che la riforma del MES rappresenta un passo avanti verso l’unione bancaria
da completare con la creazione della garanzia europea dei depositi da affiancare alla vigilanza unica e al meccanismo di risoluzione per gli istituti di credito in dissesto.

Anche Olaf Scholz ha “aperto” alla possibilità di creare un sistema comune per tutelare i risparmiatori che possiedono fino a 100.000 euro
in una banca in fallimento e molti commentatori hanno parlato di un piccolo balzo per l’unione bancaria
ma di un balzo gigantesco per un ministro delle Finanze tedesco dal momento che il governo Merkel ha sempre sostenuto
di non voler assumere obblighi di garanzia in caso di dissesti bancari per non mettere a carico dei suoi contribuenti fallimenti derivanti da situazioni di rischio che non può controllare direttamente.

Poiché i ministri delle finanze tedeschi non sono scelti né per la loro duttilità né per un sincero spirito europeista
è necessario fare molta attenzione alla proposta di Scholz che contiene molti caveat
e non è affatto da intendere come una apertura a favore di un sistema di condivisione dei rischi a tutela dei risparmiatori, anzi!

La proposta prevede, infatti, l’intervento in prima battuta dei fondi di tutela nazionali e solo in caso di incapienza
si potrà accedere ai fondi europei ma presi a prestito e questa è già di per sé una incongruenza
dal momento che le risorse per rimborsare i depositanti (fino a 100.000 euro), dovrebbero essere erogate a fondo perduto e non a titolo di prestito.

Un altro punto della proposta di Scholz è la richiesta alle banche di ridurre i crediti deteriorati al di sotto del 5% dei crediti totali
con regole più stringenti di quelle attuali che, però, implicherebbero una rapida svalutazione degli asset
e la cessione sui mercati secondari dei crediti a prezzi irrisori con effetti negativi sui conti economici e sulle quotazioni delle banche più esposte con gli NPL.

Ma il punto più critico e inaccettabile della proposta di Scholz è quello che prevede l’introduzione di requisiti di capitale
per compensare l’eccessiva esposizione delle banche sui titoli del debito sovrano, attualmente considerati a rischio zero,
dal momento che le regole di Basilea impongono alle banche requisiti patrimoniali ponderati in base al rischio delle operazioni ma non per gli acquisti di titoli di Stato.

Se si introducessero ulteriori obblighi di rafforzamento del patrimonio in relazione allo stock di titoli di Stato posseduti e al rating dell’emittente,
le banche italiane sarebbero molto danneggiate dal momento che, possedendo circa 400 miliardi di euro in BTP,
l’aumento del fabbisogno di capitale può essere stimato nell’ordine di quasi 6 miliardi di euro che determinerebbe
un ulteriore svantaggio competitivo per le nostre banche a favore delle banche nord europee e tedesche in particolare
che ancora oggi, nonostante gli accordi di Basilea, utilizzano per la determinazione dei coefficienti patrimoniali modelli interni meno severi delle regole standard utilizzate dagli istituti di credito italiani.

La proposta di Scholz è da rispedire al mittente poichè ispirata dalla convinzione che l’esposizione sul fronte del debito sovrano
costituisca un fattore di indebolimento per le banche che sarebbero così esposte ad un rischio sistemico fatale per la costruzione eurocratica.

Il successore di Schauble non arriva a comprendere che qualora fosse accolta la sua proposta ed in caso di crisi dello spread
innescata dalla speculazione le stesse banche verrebbero travolte dalla necessità di reperire capitali per far fronte alla svalutazione dei titoli e per compensare l’ulteriore aumento dei rischi.

Da buon ministro delle finanze tedesco, privo di duttilità, Scholz focalizza la propria attenzione sulla riduzione dei rischi altrui (Italia in primis)
ma non dei propri: Deutsche Bank e Commerzbank sono in agonia e altre banche tedesche sono state salvate grazie ad interventi pubblici sempre negati alle banche italiane.

Da governatore del Lander di Amburgo, Olaf Scholz ha sprecato 20 miliardi di euro nel tentativo fallito di salvare HSH Nordbank
entrata in crisi a causa di crediti deteriorati concessi per finanziare l’acquisto di navi portacontainer e per fare del porto di Amburgo il polo più importante dello shipping navale.

Diceva De Andrè che la gente dà buoni consigli quando non può dare il cattivo esempio.

Olaf Scholz, dopo aver dato il cattivo esempio ora si mette a dare pessimi consigli.

E’ la persona meno indicata per fare proposte in materia di banche!
 
Rilancio con molto piacere questo Convegno che si svolgeva mentre in P.zza San Giovanni la nuova
“Creatura acchiappa citrulli” (che dopo i girotondini, il popolo viola, il Movimento 5 Stelle, i gretini ed il sistema neoliberista, che in Italia è rappresentato dal maggiordomo PD),
sta creando dal nulla facendo credere che sia una cosa spontanea, di nome Sardine dalla base della catena alimentare marina per i pesci medi e grandi
= per “papparseli meglio e con più facilità” = chi li ha pensati infatti vede gli elettori come sardine da pescare in massa con le “reti”
(e giornaloni e social) dell’ideologia buonista e politicamente corretta = massima attenzione ai “diritti civili” – nessuna attenzione ai diritti sociali preda del NEOLIBERISMO.

Ebbene nel convegno 3 relatori spiegano come la scienza non sia più scienza
(la scienza non può avere dogmi assoluti = Galileo Galilei l’ha fondata dicendo = “mi piace ragionare e non credere”)
ma ormai una TEOLOGIA ( che brucia sul rogo mediatico dell’inquisizione mediatica chi dissente portando prove scientifiche a supporto)
docile serva del neoliberismo e della legge del profitto ad ogni costo.

Spettacolare, fra le tante, al minuto 38 e seguenti il relatore cita il Leader delle Sardine dal sorriso smagliante, da venditore di “pacchi” standard, cui viene chiesto cosa pensa del MES:

“Noi abbiamo sempre detto che la politica con la P maiuscola significa delegare qualcuno che è competente e affronta temi complessi senza slogan ne sensazionalismi”
= esattamente quello che il PD e le sue precedenti metamorfosi (meglio dire metastasi) hanno fatto con i Prodi, i Ciampi, i Monti, ecc.
che hanno preso l’Italia 5 potenza mondiale e piano piano l’hanno spolpata e deindustrializzata a favore dell’asse Franco- tedesco come docile e sottomessa colonia.

Consiglio vivamente a tutti di seguire questo convegno che apre la mente e fa capire come ci stanno fregando,
manipolando e costringendo addirittura a terapie mediche obbligatorie imposte da norme palesemente incostituzionali.

Allucinante la prospettiva della scomparsa dei vaccini singoli, così anche un adulto che deve farsi l’antitetanica si dovrà spararsi in corpo magari un bel esavalente,
magari con vaccini per malattie che da bambino ha già fatto e quindi è già immune. Tutto per incrementare il profitto delle multinazionali del farmaco!

Lo so, dura più di un’ora, ma se preferite farvi fregare dai tweet accattivanti delle sardine fate pure,
ma poi non vi lamentate quando faranno sparire i vostri risparmi con il bail in, vi imporranno patrimoniali sugli immobili
(già ora con l’IMU siamo all’1% annuo anche se la casa non rende nulla, se ormai vale la metà o ancor meno di quello che viene considerato come valore da tassare),
vi taglieranno stipendi e pensioni (in essere, non quelle future, proprio quelle che state percependo voi pensionati che credete di essere al sicuro, andate a vedere cosa è già successo in Grecia),
renderanno privata la sanità con percorso già in atto con svariate categorie (es: i ferrovieri) che hanno già un’assicurazione sanitaria nel contratto di lavoro, che in parte pagano loro ovviamente,
privatizzeranno tutti i servizi essenziali ( siamo già a buon punto su acqua, energia, telecomunicazioni, gestione rifiuti, ecc., ecc. ) ecc., ecc.

La conoscenza è il vero potere e per ottenerla bisogna dedicargli un po’ di tempo, ma vedrete che non è affatto noioso,
perché è come togliersi le catene e uscire dalla Caverna di Platone.

Appena vedrete il magnifico panorama e le opportunità che ci sono fuori della caverna – prigione in cui siete stati allevati e cresciuti come polli da macello in batteria
CI PRENDERETE GUSTO AD ESSERE LIBERI E CONSAPEVOLI ARTEFICI DEL VOSTRO FUTURO.

BUONA VITA E BUON FUTURO A TUTTI.
 
Nessuno è riuscito a capire quale sia lo scopo della missione compiuta in Libia dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio
prima a Tripoli ad incontrare Sarraj e poi in Cirenaica a parlare con il generale Haftar.

La spiegazione ufficiosa è che con la sua visita il responsabile della Farnesina abbia voluto far sapere ai suoi interlocutori
che l’Italia non è scomparsa dalla carta geografica anche se conta sempre di meno sulla sponda meridionale del Mediterraneo.

Insomma, una visita di presenza.

Che nella complicata vicenda libica è destinata a contare e pesare come il classico due di coppe della briscola
visto che il nostro paese continua a sostenere a parole Sarraj e blandire, sempre a parole, Haftar per non scontentare nessuno.

Certo, c’è il problema dell’Eni e di quel petrolio libico di cui l’Italia ha sempre più bisogno!

Ma quali garanzie può andare a chiedere Di Maio ai due signori della guerra libici dopo che il collega ministro Fioramonti
ha auspicato che l’Eni la smetta di fare ricerche petrolifere e metta la faccia della gretina al posto del cane a tre zampe?

Il mistero è fitto.

Ma mai come quello rappresentato da Di Maio alla Farnesina che suscita inquietanti interrogativi tra i potenti del mondo.

“Se questo è il rappresentante dell’Italia- si dicono- vuol dire che a Roma stanno messi proprio male”.

Nella politica internazionale con i deboli non si tratta!
 

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