Le carte dell'inchiesta di Potenza disegnano i retroscena dell'intreccio di mondi diversi che alla fine finiscono per convergere su un unico obiettivo: fare soldi con il gioco d'azzardo. E così, questa è l'accusa, il gruppo criminale capeggiato dalle famiglie dei Migliardi e dei Tancredi, da una parte sfrutta le entrature di Vittorio Emanuele ritenuto «il leader del sodalizio» e dall'altra si affida agli uomini di Alleanza Nazionale che vengono «lautamente ricompensati». Due strade parallele che alla fine, grazie al pagamento di tangenti ai dirigenti dei Monopoli di Stato, arrivano allo scopo: ottenere le licenze per piazzare in tutta Italia le slot machine truccate. Un affare miliardario che l'organizzazione ha cercato di estendere anche all'estero prendendo contatto con le autorità di Libia e Bulgaria e che ha alimentato anche con «operazioni di riciclaggio». E si scopre che alla corte del principe Savoia ci sono anche le forze dell'ordine. Le intercettazioni telefoniche svelano che numerosi carabinieri, poliziotti, finanzieri, 007 e doganieri sono stati disponibili a mettersi «a disposizione». C'è chi prendeva 5.000 euro per rinnovargli il passaporto in due ore. E chi invece sperava in un avanzamento in carriera.
ARMA E 007
Tra i collaboratori più stretti del principe c'è Achille De Luca «personaggio inquietante — lo definisce il Gip — e dal passato pieno di misteri (pluripregiudicato è già imputato per associazione a delinquere, truffa e bancarotta fraudolenta)». È lui a contattare gli uomini delle forze dell'ordine. Ma non è l'unico. Nell'ordinanza si sottolinea «l'episodio in cui il principe, tramite un amico milanese, identificato poi in Alberto Pederzani, si rivolge al capo della Digos di Asti e al caposervizio del Sisde a Milano, commissionando loro un'indagine sui trascorsi di alcuni suoi collaboratori. In seguito a tale richiesta, Vittorio Emanuele sarebbe venuto in possesso, proprio grazie ai predetti alti funzionari, di un voluminoso e dettagliato dossier. In una conversazione intercettata il suo segretario Gian Nicolino Narducci afferma: « Questi qui gli hanno fatto avere subito tutto... un malloppo di documenti... proprio dell'Arma, proprio timbrati ». Il 9 febbraio 2006 è il turno dell'ispettore Raffaele De Luca, della Dia di Torino che dice di essere stato contatto da un amico comune e poi assicura al principe di essere «a sua completa disposizione».
MAZZETTE AI DOGANIERI
«L'attività investigativa, e in particolare il monitoraggio delle linee telefoniche in uso a Vittorio Emanuele e agli uomini del suo entourage — sottolinea il Gip — ha consentito di apprendere come il principe e i membri della sua famiglia, specificamente in occasione dei loro frequenti viaggi in Italia, si sottraggano sistematicamente ai controlli transfrontalieri, corrompendo — in modo assolutamente sistematico — gli addetti ai posti di frontiera, lautamente remunerati, affinché costoro "chiudano un occhio", in occasione dei controlli effettuati sul bagaglio trasportato al seguito».
Il 3 novembre 2005 Vittorio Emanuele contatta un personaggio che chiama Pico.
Vittorio Emanuele: «Io sono a Milano, rientro oggi... è martedì... per giovedì volevo sapere se giovedì il nostro amico è alla frontiera... mi fa passare...».
Pico: «Non c'è problema! Io chiamo e lo chiedo quanto e poi ci...e poi la richiamo e glielo dico».
Si sentono dopo poco e concordano tempi e prezzo del «transito agevolato».
V.E.: «Poi le devo, quanto? Novecentomila? Mille, esatto. E... così facciamo i conti appena ci vediamo».
P.: «Quando arriva dopo... dopo... il Monte Bianco mi chiama così ci diamo appuntamento».