IL SOLO OBBLIGO CHE HO DIRITTO DI ASSUMERMI E' QUELLO DI FARE SEMPRE CIO' CHE RITENGO GIUSTO

Mario Draghi ha detto chiaro e tondo che l’Italia potrebbe andare verso l’obbligo vaccinale per tutti.

L’annuncio del premier ha scatenato molte reazioni, tra le quali segnaliamo quella – assai interessante – di Andrea Crisanti,
direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell’università di Padova:


“L’annuncio del premier mi lascia molte riserve”, ha commentato.

“Da Israele arrivano dei dati che indicano come l’efficacia dei vaccini si riduca al 70%.

Al momento sono preoccupato per questo”, ha dichiarato all’Adnkronos Salute.



Quella di Crisanti è potenzialmente una bomba.

Israele, il Paese preso a modello per la vaccinazione,
vede di giorno in giorno i contagi triplicarsi,
mentre l’intera popolazione è vaccinata con due dose
e si procede spediti con la terza.

Là, però, stando ai dati citati da Crisanti, l’efficacia dei vaccini sta diminuendo al 70%.


La domanda quindi è:

se si ha la prova provata che l’efficacia contro il blocco dei contagi è in caduta libera,

perché obbligare l’intera popolazione a vaccinarsi?

E perché procedere addirittura con una terza dose?

È chiaro la questione non è più sanitaria ma politica.



Chi pensava che l’Italia non sarebbe mai arrivata all’obbligo vaccinale è un ingenuo o un illuso.


O semplicemente ha capito poco di quanto sta succedendo fin dall’inizio della pandemia.


Il governo ha proceduto per gradi:

prima i sanitari,

poi la scuola,

ora tutti i dipendenti pubblici.

Infine, ieri, in conferenza stampa, il premier Draghi ha sostanzialmente detto
che l’obbligo vaccinale non è più un tabù per il governo.

Quindi, che si proceda pure.


Rispondendo a una domanda che mirava a chiedere se il presidente del Consiglio
ritenga che l’obbligo vaccinale possa essere introdotto,
e se si vada verso la necessità di una terza dose,


Draghi ha risposto – ribadendolo due volte -: “Sì a entrambe le domande”.

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A dare man forte a Draghi ci ha pensato poi il ministro della Salute Roberto Speranza, aggiungendo:

“L’obbligo vaccinale nel nostro Paese è già disposto da una norma primaria per quanto riguarda il personale sanitario,

quindi in realtà è già applicato ad un pezzo della nostra società”.


E sulla terza dose: “Si inizierà entro il mese di settembre”.



Avanti, dunque.

Perché ormai è evidente a tutti che non si tratta più di salute, ma di lotta politica:

Draghi e il suo governo non hanno combinato nulla finora,

non hanno mantenuto nessuna delle promesse che avevano fatto,

l’unica cosa che gli è rimasta è la campagna vaccinale.
 
Ieri il premier Draghi ha aperto all’obbligo vaccinale contro il Covid-19.

Da un lato può essere perfino un fatto positivo:
finalmente si capisce in modo chiaro chi sarà il responsabile, morale, politico, economico e penale,
per gli eventuali effetti avversi immediati e a lungo termine della vaccinazione.

Basta consensi informati estorti, a pagare i danni economici è lo stato,
a pagare quelli morali e politici sarà il capo del governo, penalmente si vedrà.




Questa eventuale scelta isola l’Italia dai paesi avanzati e dai paesi occidentali,
mettendola in linea con Turkmenistan e Tajikistan a cui si aggiunge l’Indonesia,
dove però il vaccino Sinovac, obbligatorio da febbraio, non pare abbia dato copertura adeguata.


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In rosso i paesi dove la vaccinazione è obbligatoria,

in arancione dove lo è solo per determinate categorie di persone,

in giallo dove lo è per entrare in certi luoghi.




Neppure in Cina, dove si sono utilizzati mezzi coercitivi per arrivare all’obiettivo del 1,1 miliardi di vaccinati, l’inoculazione è obbligatoria.

La scelta non è giustificata neppure dal numero elevato di obiettori vaccinali:
in realtà gli italiani si sono vaccinati al livello di Francia e Regno Unito,
molto più di Svezia, Austria e Germania, che hanno avuto meno morti,
degli USA e notevolmente di più rispetto a paesi avanzati occidentali come l’Australia.


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In Spagna e Portogallo si è vaccinato di più senza nessun bisogno di obbligo,
anzi senza neppure il Green pass, bocciato clamorosamente a livello costituzionale.


Anche la storia degli obblighi vaccinali esistenti mostra che questi non sono mai stati imposti immediatamente, ma dopo attente considerazioni.

Prendiamo il caso della vaccinazione contro la Poliomielite:
nel nostro paese il vaccino Salk venne adottato nel 1957.
Nel biennio 1959-1960 viene raccomandata, non imposta,
la vaccinazione per persone da 0 a 20 anni quando la incidenza della poliomielite raggiunge il suo picco in Italia,
con oltre 8 000 casi dichiarati, e parliamo di una malattia con conseguenze ben più gravi rispetto al Covid-19.

Il vaccino Sabin sostituisce l’IPV nella primavera del 1964,
nel momento in cui ebbe inizio una campagna di vaccinazione di massa alla popolazione dai 0 ai 20 anni.
Nel 1964 i casi dichiarati di poliomielite in Italia furono circa 3 000.
Nel 1965 il numero di casi dichiarati si limitava a 500 casi.
Nel 1966 la vaccinazione antipolio diventa obbligatoria.

Quindi vi furono anni, e non pochi, in cui la vaccinazione era solo fortemente consigliata, e praticata in massa, senza obbligo.

Quando fu verificato che questa era efficace

e che il vaccino aveva effettivamente un rischiosità limitata

si impose un obbligo generale.


Tra l’altro anche questo vaccino si rivelò non assolutamente immune da problemi:
inizialmente il vaccino IPV, il primo a essere utilizzato,
fu messo da parte perché causò decine di migliaia di casi negli USA.

Quindi si passò all’OPV (Sabin) che però fu a sua volta sostituito dopo il 2000 da un nuovo vaccino IPV molto migliorato
.


La scienza non va per verità assoluto, come la politica, prosegue per tentativi.


Del resto i casi di polio per vaccinazione

superano negli USA quelli naturali dal 2017.



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Questo naturalmente non significa essere contro la vaccinazione,
che è uno strumento preventivo quanto mai valido,
quando esercitata in modo controllato, coscienzioso e su base razionale.


Aggiungiamo un terzo punto:

non c’è ancora una coerenza internazionale sulla necessità o meno della terza dose per i vaccini mRNA,

e non è neppure detto che questi siano i vaccini definitivi contro il Covid-19.


OMS e EMA per ora non approvano la terza dose, che è generale solo in Israele.


In alcuni paesi, USA e Germania, si offre agli immunodepressi, in altri proprio non se ne parla.


Inoltre stanno uscendo nuove generazioni di vaccini:

GSK ad esempio è alla terza fase di sperimentazione con un vaccino simile, come concetto, ad Astra Zeneca, ma che promette migliore efficacia.

Sono in terza fase anche vaccini da virus attenuato.


Quale sarà il più efficace, e il meno rischioso, che lo diranno i test, ma richiedono tempo.

Vogliamo rivaccinare tutti obbligatoriamente con mix diversi?



Nello stesso tempo sono proprio i numeri a dirci che l’applicazione di un obbligo vaccinale per l’Italia, ora, non ha basi scientifiche:


  • non abbiamo una renitenza vaccinale forte;

  • non abbiamo una sperimentazione sufficiente;

  • l’obbligo non è esercitato da nessun altro paese occidentale.

Le motivazioni all’obbligo sono solo di carattere politico, ideologico e, oserei dire, psicologico:


  • politico, perché una parte politica pensa così di condizionare l’elezione del presidente della Repubblica costruendosi un governo “Ad Hoc”;

  • ideologica, perché la medesima parte politica disprezza fortemente gli italiani e non li ritiene degni di scegliere liberamente il proprio futuro;

  • psicologica, perchè è la stessa parte che poi adora l'”Uomo forte”, di qualsiasi venatura sia, da Mussolini in poi,
  • e quindi cerca sempre di ricrearselo alla prima occasione, salvo poi distruggerlo immediatamente, non appena vacilla.

L’intelligenza del governante è non cadere in queste trappole.


Purtroppo il sale umano è la merce più rara in circolazione.
 
Ecco come vogliono ridurci.
Dementi, smidollati, ebeti, malleabili, inconsistenti, senza pensieri e valori.


Non avrai nulla e sarai felice”:

è questo il messaggio lanciato da un giovane dal sorriso smagliante

sulla piattaforma istituzionale del Forum di Davos, quell’organismo internazionale

che abbiamo imparato a conoscere per la sua capacità di prevedere e indirizzare gli eventi futuri a livello globale.



Era il 2017 e nelle sue Otto previsioni per il mondo nel 2030

metteva al primo posto proprio la fine del concetto di proprietà di beni da parte dei cittadini,

per sostituirlo con quello di fruizione di servizi divenuti gratuiti

grazie al rimpiazzo del lavoro umano con le nuove intelligenze artificiali.



Era il sogno distopico raffigurato in Benvenuti nel 2030, dove la proprietà privata e la privacy non esistono dalla danese Ida Auken,
sempre sul sito del Forum di Davos
(l’articolo originale, come si può verificare dal link https://www.weforum.org/agenda/2016/11/shopping-i-can-t-really-remember-what-that-is/,
risulta stranamente rimosso, analogamente a quanto abbiamo visto con il documento della Rockefeller Foundation).


Un futuro, molto prossimo, in cui insieme al concetto di proprietà viene abolita anche la privacy,

dove non solo tutto ciò che faremo, ma anche ciò che penseremo o sogneremo verrà monitorato,

con il fine, inequivocabile per i fautori del nuovo mondo, di realizzare un bene collettivo superiore

e traghettare l’umanità verso un futuro idilliaco, rispettoso dell’ambiente e inclusivo.



Ma ora gli aedi del Grande Reset hanno deciso di compiere un ulteriore passo avanti nella riscrittura della storia dell’umanità,

con l’asserzione di una tesi alquanto rivoluzionaria: nella vita la felicità non conta!



A sostenerlo è la ricerca di due psicologi di provenienza accademica, Shige Oishi ed Erin Westgate,

pubblicata sul sito del World Economic Forum nella sezione relativa al futuro della salute e del benessere della Agenda Globale.

Secondo la tesi riportata, sarebbe giunta l’ora di superare

sia la concezione edonistica della felicità, intesa come raggiungimento di un piacere immediato,

sia quella eudaimonistica aristotelica, legata alla ricerca e al perseguimento di uno scopo di bene comune.



Il termine eudaimonìa deriva dal greco eu, bene e daimon, traducibile come “essere divino”, “genio”, “spirito guida”‘ o “coscienza”:

etimologicamente significa “essere in compagnia di un buono spirito”.

La felicità secondo Aristotele consisteva nel realizzare la propria natura
e, poiché l’essenza dell’uomo è rappresentata dalla ragione e dalla virtù, essa non potrà mai essere che nella saggezza.



Tale teoria ha ispirato e dato vita a innumerevoli correnti di pensiero
e da sempre l’uomo si interroga su cosa significhi vivere bene, essere felici,
sviluppare pienamente le proprie potenzialità e peculiarità,
tanto che diversi ordinamenti nazionali riconoscono tali ambizioni come diritti costituzionalmente sanciti.


Ma lo studio dei due accademici sembra d’un colpo demolire tutto il sapere filosofico e ontologico esistente
per proporne uno nuovo, più in linea con la società contemporanea.


Per vivere bene, sostengono, non è importante essere felici o perseguire degli obiettivi,

ma occorre condurre una vita psicologica “ricca”, laddove con questo aggettivo si intende significativa,

caratterizzata da “esperienze interessanti in cui la novità e/o la complessità sono accompagnate da profondi cambiamenti di prospettiva”.



Immancabile nella società dell’Erasmus, lo studio all’estero viene citato come esempio di una simile ricchezza,
poiché rappresenterebbe uno stimolo a riconsiderare i costumi sociali della propria cultura di provenienza.

Dunque, un’esperienza per qualificarsi come psicologicamente arricchente non deve essere positiva,
può anche consistere in una difficoltà, come vivere la guerra o un disastro naturale
o persino eventi dolorosi della propria vita, come la malattia o la disoccupazione.

L’autrice dello studio, ricordando i propri viaggi negli ostelli quando era giovane,
afferma che ci sono momenti della nostra vita in cui accettiamo il disagio e diamo la priorità all’esplorazione.

Se, come mostrano le ricerche, le persone tendano a diventare più felici con l’avanzare dell’età, è perchè

“invece di dare la priorità alle esperienze impegnative, danno la priorità alle cose familiari che le renderanno felici;

invece di incontrare nuove persone, danno la priorità alla famiglia e agli amici intimi.

Quelle cose aumentano la felicità, ma possono diminuire la ricchezza psicologica”.



Perciò la stabilità e la solidità che si raggiungono con la maturità sarebbero forieri di felicità,

ma nemici della ricchezza psicologica, che prevede invece un turbinio di esperienze,

siano esse positive o negative, e di cambiamenti di prospettiva.


È l’apologia dell’identità liquida, che fluttua da un lido a un altro senza una meta

e il cui contenuto prende ogni qualvolta la conformazione del contenitore che lo ospita.



Un vivere facendosi trasportare dagli eventi,
senza la ricerca eudaimonistica e propositiva della propria natura,
del proprio desiderio individuale capace di saldarsi con la legge morale e di elevare l’uomo.


Nessuna priorità viene concessa

all’amore,
alla famiglia,

alla dedizione per il proprio lavoro,

né tantomeno alla virtù

e al sapere socratico.


Per avere una vita psicologicamente ricca,

l’importante non è neanche vivere, ma sopravvivere,

come fa una pianta che resiste alle intemperie e si adatta all’ambiente circostante.



È il grande reset della natura umana,

che vede quel 2030 pauperista e nichilista f

antasticato a Davos sempre più vicino.
 
ger ma nia ger ma nia



Il ministro del lavoro tedesco ha affermato che le aziende non avranno il diritto

di chiedere al personale di rivelare il proprio stato di vaccinazione contro il Covid.



Parlando con l’emittente ARD mercoledì, il ministro del Lavoro tedesco Hubertus Heil
ha reso noto che non ci sarà alcun diritto generale per i datori di lavoro
di accedere alle informazioni sullo stato di vaccinazione Covid dei membri del personale,
sebbene abbia aggiunto che potrebbero essere necessarie “soluzioni pragmatiche”
per i settori ritenuti a rischio sanitario più elevato.


“Dobbiamo agire secondo lo stato di diritto.
Agire in base allo stato di diritto significa che un datore di lavoro non ha diritto alle informazioni sui dati sanitari…
[e] non è nemmeno autorizzato ad avere le notizie contenute nelle cartelle cliniche di un dipendente,
perché si tratta di dati molto personali”,


ha affermato il ministro, sottolineando qualcosa di ovvio in ogni stato di diritto, quindi non in Italia.


Heil ha aggiunto, tuttavia, di essere “favorevole a trovare soluzioni pragmatiche”
per i luoghi di lavoro a maggior rischio di trasmissione del Covid, ovvero carceri, ospedali e case di cura.

Ciò potrebbe significare richiedere ai dipendenti di dimostrare di essersi ripresi dal coronavirus,
di essere stati vaccinati o di essere risultati negativi al test.



Le osservazioni del ministro del lavoro coincidono con una decisione del governo federale tedesco
lo stesso giorno in cui le aziende devono consentire al proprio personale di assentarsi dal lavoro per ottenere i loro colpi di coronavirus, ha riferito RT.


Gli industriali tedeschi hanno recentemente esercitato pressioni sul governo
per concedere loro il potere di chiedere ai lavoratori se sono vaccinati o meno.

Thilo Brodtmann, il capo della Federazione tedesca degli ingegneri, ha dichiarato martedì che
“i dipendenti devono fare tutto il possibile per ridurre a zero il rischio di infezione”
e “questo include almeno l’obbligo di fornire queste informazioni”.


Nel frattempo, la vicina Francia è stata costellata da settimane di proteste
contro un decreto del governo che richiederà ai lavoratori di alcuni settori
– come vigili del fuoco, operatori sanitari, assistenti sanitari e alcuni soldati –
di farsi vaccinare entro il 15 settembre o rischiare sanzioni.



Il Green Pass in Italia è diventato un elemento di scontro sociale,
anche se la vaccinazione è ormai estremamente diffusa a livelli ben superiori rispetto alla Germania.



Poco più del 65% della popolazione tedesca ha ricevuto la prima dose di vaccino contro il coronavirus,
mentre circa il 60% è completamente vaccinato.
 
Il New York Times ha pubblicato un rapporto bomba

affermando che i capi del CDC e della FDA

consigliano alla Casa Bianca di ridimensionare il suo piano per il richiamo vaccinale,

la famosa terza iniezione o “Booster”, contro il covid.



Secondo le fonti del NYT, durante un incontro alla Casa Bianca,
i dirigenti dei due enti federali sanitari hanno chiesto al coordinatore della pandemia della Casa Bianca
Jeff Zients più tempo per raccogliere dati sull’efficacia di questa terapia.


La dottoressa Janet Woodcock, il commissario ad interim della Food and Drug Administration,
e la dottoressa Rochelle P. Walensky, che dirige i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie,
hanno avvertito la Casa Bianca giovedì che le loro agenzie potrebbero essere in grado di determinare
solo nelle prossime settimane se raccomandare il booster
e solo per chi ha ricevuto il vaccino Pfizer-BioNTech – e forse solo alcuni di loro.


I due leader sanitari hanno discusso in un incontro con Jeffrey D. Zients,
il coordinatore della pandemia della Casa Bianca, ma non è chiaro se Zients abbia accettato,
come spesso successo precedentemente, il consiglio degli enti federali o lo abbia rigettato.



In risposta alle domande del NYT, la Casa Bianca ha affermato che sta semplicemente cercando di “seguire la scienza”,
affermazione che appare per lo meno forzata dopo il caos sul caso mascherine, in tempi alterni tolte e imposte.


Alla fine comunque la Casa Bianca ha dovuto cedere e promettere di attendere
le indicazioni di FDA e CDC prima di ripartire alla carica con la terza dose

. “Quando l’approvazione e la raccomandazione saranno fatte”, ha detto il portavoce, Chris Meagher,
“saremo pronti ad attuare il piano sviluppato dai migliori medici della nostra nazione in modo da stare al passo con questo virus”.


Il presidente Biden ha affermato che il piano è che ogni adulto
riceva una vaccinazione di richiamo otto mesi dopo aver ricevuto la seconda,
con il presidente che afferma che porrà fine alla pandemia più velocemente.


Naturalmente, nelle ultime settimane, più medici si sono espressi contro i richiami,
affermando che sarebbe meglio mandare i vaccini nei paesi in via di sviluppo,
a persone che non hanno ricevuto alcun vaccino,
questo modo può aiutare a proteggere dall’emergere di una nuova variante più letale e più contagiosa.
 
Il Dipartimento della Salute della Florida ha emesso una circolare
nella quale afferma che inizierà a erogare $ 5.000 di multa
a imprese, scuole e agenzie governative che richiedano di mostrare della vaccinazione COVID-19.


La norma del dipartimento della salute, che entrerà in vigore il 16 settembre,
descrive in dettaglio le sanzioni che le imprese e altre entità,
comprese le organizzazioni no profit dovranno affrontare per aver violato la sezione 381.00316
degli Statuti della Florida del 2021, che vieta loro di richiedere ai clienti, o ai clienti di fornire,
qualsiasi documentazione che certifichi vaccinazione COVID-19
o di guarigione al fine di accedere ai propri locali o servizi.


Notiamo che il certificato non può neppure essere fornito su base volontaria.


“Ogni violazione della Sezione 381.00316, FS, comporterà l’imposizione di una multa di $ 5.000 per individuo
e violazione separata contro l’azienda, l’ente governativo o l’istituto scolastico.
Le multe inflitte sono dovute e pagabili al Dipartimento entro 30 giorni dall’entrata dell’ordine finale,
salvo diversa indicazione nell’ordine finale”, si legge nell’avviso del Dipartimento della Salute della Florida.


Gli operatori sanitari sono esentati dalla sanzione,
che non si applica anche ai requisiti sui vaccini che le aziende o altri enti impongono ai propri dipendenti.

Il governatore repubblicano Ron DeSantis ha firmato un ordine esecutivo ad aprile che vietava i passaporti dei vaccini.


“Nessun vaccino COVID-19 è richiesto dalla legge”, ha affermato l’ordine del governatore,
aggiungendo che “i registri delle vaccinazioni sono informazioni sanitarie private”
che non dovrebbero essere condivise tramite un mandato.

I passaporti, disse all’epoca DeSantis, violerebbero le libertà personali e danneggerebbero la privacy dei pazienti.

“L’obbligo di mostrare un pass vaccinale per prendere parte alla vita di tutti i giorni
come un evento sportivo, andare in un ristorante o andare al cinema creerebbe due classi di cittadini”,
ha affermato DeSantis.


Ovviamente i democratici hanno reagito con rabbia,
ma il repubblicano DeSantis sembra deciso ad andare avanti.


Un bel confronto con i paesi, come l’Italia, che impongono invece il Green Pass.
 
Draghi vuole il vaccino obbligatorio.

Ce lo chiede l’Europa?

No, ce lo chiedono il Turkmenistan e l’Indonesia, le uniche nazioni ad averlo prescritto.


Ma l’Italia è anche l’unico stato al mondo ad aver introdotto, per via normativa,

l’infame principio per cui, in una classe, le mascherine possono essere tolte da tutti gli studenti

solo se tutti gli studenti sono vaccinati.



Immaginiamo allora cosa potrebbe succedere a breve.

Ma facciamolo sognando che, se non tutti, almeno una parte degli alunni,
e se non una parte, almeno un manipolo, e se non un manipolo,
anche un solo allievo abbia la seguente pensata.


Dunque, primo giorno di scuola di una classe di terza media qualsiasi
di una scuola qualsiasi, di una città qualsiasi, di una regione qualsiasi, di un paese “non” qualsiasi del mondo:
e cioè, l’Italia.

Il professore di italiano fa l’appello e poi chiede quanti sono i vaccinati.

Risposta: tutti tranne cinque.

Pierino non pervenuto.

Allora il prof si rivolge a Pierino, l’unico a non aver risposto né sì né no.



Ecco il dialogo.



Professore: “Pierino perché non ti sei vaccinato?”.

Pierino: “Non ho mai detto di non essermi vaccinato, professore”.


Prof: “Ma non hai alzato la mano, quando ho chiesto chi sono i vaccinati!”.

Pierino: “Se è per questo, non ho alzato la mano neanche quando ha chiesto chi sono i non vaccinati”.


Prof.: “Allora deciditi: sei vaccinato oppure no? Perché – se non lo sei – per colpa tua e dei tuoi cinque compagni là in fondo, tutta la classe dovrà tenere la mascherina”.

Pierino: “Veramente, prof, dovremo tenere tutti la mascherina per colpa di una legge stupida, non per colpa nostra.
Non l’abbiamo scritta mica noi la legge. Semmai l’hanno scritta dei parlamentari che molto probabilmente lei ha votato. Quindi è, semmai, colpa sua, mica nostra”.


Prof. “Pierino, mi fai perdere la pazienza. Perché sarebbe una legge stupida? Tutela la vostra salute”.

Pierino: “Perché la mascherina potremmo già togliercela tutti: i vaccinati perché non hanno nulla da temere, essendo vaccinati, giusto?
I non vaccinati perché i ragazzi della nostra età non hanno praticamente nulla da temere dal Covid”.



Prof.: “E va bene. È una legge stupida, ma giusta perché vi spinge alla vaccinazione”.

Pierino: “Cioè mi sta dicendo che – secondo lei e quelli che lei ha votato – convincere i ragazzi a vaccinarsi
perché altrimenti potrebbero essere presi in giro, emarginati o addirittura bullizzati dagli altri compagni è una cosa giusta?”.


Prof.: “Pierino, mi mandi ai matti. Rispondi alla mia domanda!”.

Pierino: “Confermo la mia risposta prof. Non le dirò né si ne no.

Se io non avessi fatto il vaccino perché non posso, dipenderebbe dalle mie condizioni di salute e non vorrei che gli altri lo sapessero.

Si chiama privacy.

Se io non avessi fatto il vaccino perché non voglio, non vorrei essere giudicato per questo dai miei compagni,
né essere bombardato dalle pressioni dei prof, come lei, per tutto il resto dell’anno.

Se, invece, io avessi fatto il vaccino, non vorrei, per questo motivo, far sentire in colpa i compagni che non possono né vogliono farlo.

In ogni caso, io voglio essere amico di tutti i miei compagni.

Non voglio essere giudicato o escluso per non aver fatto il vaccino.

E non voglio essere complice di chi ha scritto una legge così idiota, solo per aver fatto il vaccino”.



Prof.: “Va bene. Allora rimettete tutti la mascherina e apriamo il libro di educazione civica a pagina quattro :

Articolo 13 della Costituzione: la libertà personale è inviolabile”.
 
«Porco di qui, porco di là…».

Già: saracchi e sfuriate erano proverbiali.
Caratteraccio, quello di Casimiro Ferrari.

Perché – diceva – «muriroo gheubb ma minga cun el goos» e cioè
«morirò gobbo dalle botte che avrò preso, ma non con qualcosa sul gozzo che non sono riuscito a dire».

Con ciò che significa in un ambiente di introversi lecchesi e di permalosi “muntagnatt”.
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Casimiro Ferrari

Alpinista tra i più forti, è stato soprattutto protagonista della grande stagione dei lecchesi in Patagonia
dove peraltro scelse di trascorrervi l’ultimo pezzo della vita: il suo nome è indissolubilmente legato al Cerro Torre,
una guglia leggendaria al centro di mille polemiche.

Sulla cui cima, i “Ragni” arrivarono nel 1973 con una spedizione guidata proprio da Ferrari.
Per primi. O forse no: c’è una sorta di mistero destinato probabilmente a restare tale.
Verrebbe da dire un giallo, se di mezzo non ci fosse davvero un morto: il bolzanino Toni Egger
che in vetta sarebbe arrivato nel 1959 con Cesare Maestri, precipitando poi durante la discesa c
on tutta la documentazione della conquista.
Un mistero, dunque. O forse no.
Ma il cui aleggiare rende ancora più mitico il luogo.
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Il Cerro Torre

E comunque, il “Miro” non morì gobbo. Era ancora tutto di un pezzo.
Non fu fermato nemmeno dal cancro allo stomaco: nel 1983, i medici gli prospettarono dai tre ai sei mesi di vita.
Ferrari decise che non fosse proprio il caso e per quasi altri vent’anni scalò l’impossibile,
pur con un fisico sempre più sofferente e consumato.

A sorprenderlo fu una polmonite che si buscò nell’inverno patagonico del 2001
per andare ad accogliere alcuni scalatori svizzeri diretti proprio al Cerro Torre:
il pick-up restò intrappolato nella neve e dovettero camminare ore per raggiungere la fattoria dove il lecchese si era stabilito:

«Perché si era spinto fin lì, camminando nella neve, con la scusa di offrire un tetto agli alpinisti svizzeri diretti al Cerro Torre?
L’ennesima sfida? Chissà se si sentiva immortale o se cercava, più o meno inconsciamente, di morire laggiù?
Forse, per una delle sue incredibili contraddizioni, le due cose in una sola…».

Riportato a Lecco, morì il 4 settembre 2001. Sono dunque trascorsi vent’anni.


A raccontarci l’alpinista ma anche l’uomo, le imprese e la vita, c’è il bellissimo libro di Alberto Benini:
“Casimiro Ferrari. L’ultimo re della Patagonia”, pubblicato da Baldini Castoldi Delai nel 2004.

Un libro «che stava nascendo in tutt’altra maniera», leggiamo nel prologo:
l’autore aveva infatti vinto le resistenze di uno schietto ma anche schivo Ferrari
e aveva cominciate a raccoglierne le memorie e i racconti:
«Ricordo, nell’apprendere la notizia dell’aggravarsi della sua malattia in Patagonia,
un condensato di due dispiaceri che prendevano forma, uniti e distinti:
uno per una persona che ero riuscita finalmente ad avvicinare che stava per svelarmi qualcosa di sé,
e l’altro per un progetto che svaniva.
Era ben presente il ricordo di un pomeriggio trascorso insieme, solo un mese prima,
il giorno del “tappone dolomitico” del Giro d’Italia, nella casa di Ballabio.

Il racconto di due episodi: la prima discesa in corda doppia e una eroicomica caccia a un passero solitario».


Il libro di Benini

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La biografia comincia, naturalmente, dalla culla, quella vera:
il rione lecchese di Rancio, dove si nasce “in salita” così come nel 1940 nasce anche Ferrari,
mentre da ragazzi si va per i bricchi perché non c’è un campo per giocare al pallone.

E’ il rione di Carlo Mauri, il “Bigio”, che per Casimiro Ferrari sarà più di un esempio.

Tanto da volergli intitolare un rifugio in Patagonia.

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La famiglia è numerosa: i genitori, sei figli e un cugino praticamente adottato.

Che vivono grazie all’unico stipendio di papà Giovanni che è operaio, trafiliere per la precisione,
secondo gloriosa tradizione lecchese: tirabagia, si dice in dialetto.

Occorre dunque ingegnarsi: i bimbi vanno a caccia di passeri solitari per venderli
e qualche volta in tavola arriva carne di gatto.

A undici anni, tirabagia lo diventerà anche Casimiro.

In seguito, i Ferrari riusciranno a mettersi in proprio, avviando una piccola officina,
quella che poi sarà trasferita a Ballabio e infine venduta per comprare il “rifugio” in Patagonia.


Il resto è montagna: a 14 anni va già su per la via Cassin al Medale,
a 17 entra nel Cai, a 21 è già accademico.

Insomma, non lo ferma proprio nessuno.

Per un periodo è anche rifugista in Val di Lei, intanto scala e va a caccia
(spesso di frodo, sarà il primo bracconiere – ironizza Benini - a diventare negli anni Ottanta assessore comunale all’ecologia: a Ballabio).

E poi l’incontro con la Patagonia, attraverso Carlo Mauri che già nel 1958 aveva tentato la conquista del Cerro Torre,
e i libri di padre Alberto Maria De Agostini, «il più grande esploratore» di quei luoghi.

«Oggi – scrive Benini – chi va a fare Capodanno in Patagonia rischia, senza esagerare,
di trovarci il suo vicino di pianerottolo, mescolato a molta altra gente che le montagne le conosce giusto in fotografia»,
ma in quegli anni era ancora una terra quasi vergine, con zone poco frequentate o addirittura tutte ancora da mappare.

Sarà la Patagonia che Casimiro Ferrari sognerà quando deciderà di andarci a vivere, ma i tempi saranno già cambiati:
il suo orologio – osserva Benini – era indietro di cinquant’anni e le cose non andavano per il verso giusto:

«E’ ostinato, ambizioso, ma con la vita non convive: combatte.
Insegue una Patagonia anacronistica, vuol vivere in un mondo superato dai tempi e dagli eventi.
E la sua esistenza è una continua lotta con persone, oggetti, animali.
Non si può nemmeno definirlo un solitario: ha bisogno di un pubblico, magari da maltrattare, a volte da sfuggire.
In fondo anche quando ha concepito delle scalate solitarie ha finito per trovarsi un compagno.
Non voglio giudicare, ma davvero, man mano che scavavo nella sua vita
appariva sempre più evidente il convivere in lui di aspetti assolutamente inconciliabili.
Era impossibile che potesse trovare pace, una persona che nutriva in sé così grandi contraddizioni.
E una volta lo ammette, mentre è a caccia di “guanacos” con un amico:

“Qui ho vinto una battaglia, ma ho perso la guerra, la guerra della mia vita”».
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Una vita, però, nella quale ha collezionato una serie di imprese alpinistiche incredibili.

Il Cerro Torre, appunto, il Fitz Roy, il Cerro Murallon che dice essere stata la sua massima impresa.

Ancora, l’Alpamayo, il Cerro Norte, il Riso Patron. E, in Himalya, l’Ama Dblam e il tantativo sullo Shisha Pangma.

Non ci mettiamo certo a fare l’elenco di tutte le imprese: sono raccontate nel libro di Benini,
quelle vittoriose e quelle fallite, quelle che si sviluppano in sintonia coi compagni di cordata
e quelli invece dove le tensioni arrivano a punti di non ritorno con liti furibonde, divorzi, saluti negati.

Ma «chi fra gli alpinisti italiani e non solo italiani, mantenendosi per di più nei limiti del dilettantismo,
poteva vantare in quegli anni una simile collezione di successi extraeuropei?

E’ vero, a casa il fratello e il padre facevano gli straordinari, mandando avanti la “Trafileria Ferrari” anche in sua assenza,
ma gli allontanamenti non andavano molto al di là di un mese».

E, raggiunta quell’età «in cui gli alpinisti tirano solitamente i remi in barca», per Casimiro «tutto sembra iniziare».

Lo scalatore argentino Martìn Cevallos dice:
«Era pura energia e tecnica. Forse una tecnica un po’ antiquata, ma una tecnica incredibilmente valida.
Era prima di tutto salire senza badare a niente, non importava ciò che c’era sopra,
era progressione permanente fin dove si può. In queste poche centinaia di metri scalati insieme,
capivo il carattere di Casimiro con tutti i suoi “porco di qui e porco di là”.
Ma in queste scariche di bestemmie seguiva un cambio d’umore che lo trasformava nella persona più generosa
che avessi mai sperato di incontrare, la persona con cui valeva la pena dividere quell’avventura, più che con qualunque altra».

Per dirla con Gianni Stefanon: «Gli ho visto fare cose che non ci sono sui manuali….».
Quasi come il passo di quel celebre film: «Ho visto cose che voi umani….».

Ma Benini si chiede: «Era un essere umano Casimiro, o un pezzo di montagna primigenia, capitato fra gli uomini per caso?».

Arrampicate con «artifici allucinanti – spiega l’autore -, una progressione millimetrica ed espostissima sempre sul filo del crollo,
nella quale si uniscono le doti di fermezza di piede e la delicatezza nel martellare.
Qui viene fuori il vero Casimiro: l’uomo che sa trasformare il campo in luogo di terrore per le sue collere improvvise e violente,
in parete si rivela armato di una pazienza certosina e di una delicatezza da intagliatore d’avorio».

E «valgono un po’ tutti i trucchi da circo» come quello di sollevare di peso un compagno di cordata
«e collocarlo direttamente al di sopra di alcuni muretti strapiombanti».

Ora che «l’anima senza pace di Casimiro» soffia «in quel vento che non lascia un attimo di tregua,
in quel vento che martella, ma senza il quale la Patagonia non sarebbe quella che è»,
Benini si diverte tra una coincidenza e l’altra («nulla più di una coincidenza, per carità») a leggere una sorta di predestinazione.

Già nel nome Casimiro, «forse più frequente in Patagonia che in Italia»
e che era il nome del padre del suo padrino di battesimo, «secondo una consuetudine allora assai diffusa».

E «se nel nome di battesimo di Casimiro sembra essere inscritto il Sud America,
non ci vuole un genio dell’onomastica per capire, in una terra come quella lombarda,
che Ferrari è un cognome che racconta di attività legate al ferro».
 
Ultima modifica:
EMA, l’Ente per la farmaco sorveglianza europea, si era rifiutato a gennaio di fornire, su richiesta,

le informazioni circa i vaccini mRNA. Ad agosto la richiesta è stata nuovamente effettuata,

ma questa volta tramite l’Ombudsman europeo, cioè il mediatore che dovrebbe intervenire prima di una causa legale nei confronti di un ente europeo.


L’Ombudsman scrive il 20 agosto all’EMA chiedendo le informazioni relative ai vaccini mRNA.

Non si tratta di domande secondarie, ma di controlli di qualità del prodotto,

fattore importantissimo, visto quello che è successo, ad esempio, in Giappone con il vaccino Moderna.


Ecco il testo:

Il Mediatore ha ricevuto una denuncia contro l’Agenzia europea per i medicinali (EMA).
La denuncia riguarda il rifiuto dell’EMA di fornire l’accesso del pubblico ai documenti relativi alla produzione di vaccini mRNA contro il COVID-19.


Nel gennaio 2021, il denunciante ha chiesto all’EMA l’accesso del pubblico[1] ai documenti
relativi alla qualità delle materie prime contenuti nel Modulo 3 del Documento tecnico comune (CTD)
per Comirnaty (Biontech/Pfizer) e Covid-19 Vaccine Moderna.
L’EMA ha risposto nel marzo 2021, rifiutando l’accesso ai documenti richiesti.


Il denunciante ha chiesto una revisione di tale decisione.

L’EMA ha affermato che, poiché la richiesta di accesso riguardava un gran numero di documenti,
l’avrebbe suddivisa e avrebbe elaborato la domanda di conferma in lotti.

Nel luglio 2021, l’EMA ha informato il denunciante della sua decisione di rifiutare l’accesso a due documenti,
vale a dire il documento “3.2.S.2.3 controllo dei materiali grezzi”[2]
e il documento “3.2.S.2.3 controllo dei materiali -starting-lonza-visp'[3] (lotti 1 e 2).

L’EMA ha basato questa decisione sulla necessità di proteggere gli interessi commerciali.


Abbiamo deciso di aprire un’inchiesta sul reclamo contro la decisione dell’EMA di rifiutare l’accesso del pubblico.

In questa fase, l’indagine del Mediatore riguarda solo il rifiuto dell’EMA
di fornire l’accesso al documento “3.2.S.2.3 control-of-materials-raw” e al documento “3.2.S.2.3 control-of-materials-starting-lonza-visp” .


Il Regolamento 1049/2001 prevede che le domande di accesso debbano essere trattate tempestivamente.
È in linea con questo principio che anche il Mediatore cerca di trattare casi come questo il più rapidamente possibile.


Come primo passo, riteniamo necessario rivedere:


io. i due documenti in questione;


ii. le consultazioni tra l’EMA e la terza parte, in fase di conferma.


Saremmo grati se l’EMA potesse fornirci copie di questi documenti,
preferibilmente in formato elettronico tramite posta elettronica crittografata,[4] entro il 27 agosto 2021. S

e fosse necessario più tempo, saremmo grati se potesse comunicarcelo.


I documenti soggetti alla richiesta di accesso del pubblico saranno trattati in modo confidenziale,
insieme a qualsiasi altro materiale che EMA sceglie di condividere con noi e che contrassegna come riservato.

Documenti di questo tipo saranno gestiti e archiviati in linea con questo stato di riservatezza
e saranno cancellati dagli archivi dell’Ombudsman poco dopo la conclusione dell’indagine.


La posizione dell’EMA è stata definita nelle sue risposte di conferma.

Tuttavia, qualora l’EMA desiderasse fornire ulteriori punti di vista,
di cui il Mediatore europeo terrà conto durante questa indagine,
saremmo grati se potessero essere forniti entro quindici giorni lavorativi dal ricevimento di questa lettera, ovvero entro 10 Settembre 2021.

Saremmo grati se l’EMA potesse anche presentare una traduzione di tali ulteriori punti di vista (se presenti) in tedesco, che è la lingua del reclamo.


In caso di domande, non esitate a contattare gli addetti alle indagini, la signora Oana Marin o la signora Michaela Gehring.


Cordiali saluti,


Rosita Hickey
Direttore delle inchieste



Cosa fa l’EMA e cosa farà in futuro?

Per ora non ha risposto al ricorrente e forse neppure lo farà all’Ombudsman .


Che c’è di tanto segreto in domande che riguardano il controllo di qualità?
 

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