Val
Torniamo alla LIRA
Da un esame dei rapporti di forza del tardo capitalismo,
affiora limpidamente come il mercato non solo non faccia rima con “democrazia”,
ma proceda, anzi, svuotandone i contenuti ed erodendone gli spazi.
L’equilibrio tra mercato e politiche democratiche nel secondo Novecento, in Europa,
appare sempre più come una parentesi effimera, peraltro avutasi non grazie al mercato, ma suo malgrado:
tale parentesi ha preso a entrare in crisi con il 1989, secondo un piano inclinato
che ci conduce alle odierne tendenze ostentatamente antidemocratiche del liberismo imperante.
Dove la democrazia stessa è svilita a marktkonforme Demokratie, parola di Angela Merkel.
Sempre più – non deve sfuggire – la governance liberale svilisce la democrazia elettorale in nome dell’expertise:
e l’esperienza a cui si richiama non è mai quella dei lavoratori e delle masse nazionali-popolari, coincidendo, invece, con
l’esperienza non condivisa dei “tecnici”, come pudicamente vengono appellati,
con termine anodino e fintamente super partes, i banchieri e i top manager.
A decidere, secondo l’ordine del discorso liberista, deve essere non il popolo sovrano (che è, poi, un altro modo per dire democrazia),
bensì il “comitato” – o la task force – degli esperti, cioè dei banchieri e dei top manager.
È anche per questo motivo che :
il neoliberismo può anche essere inteso come il “sequestro dell’esperienza comune attraverso l’expertise” (Dardot e Laval, Guerra alla democrazia):
se, in un ordine democratico, a valere è propriamente l’esperienza di tutti e di ciascuno,
nel nuovo quadro liberista sempre più si afferma il principio in accordo con il quale a valere è soltanto l’esperienza dell’esperto,
a sua volta fatto coincidere con l’esperto allineato con l’ortodossia mercatista.
Ogni esperto – economista, ad esempio – che non giuri fedeltà al verbo liberista è, ipso facto, considerato e trattato alla stregua di un non esperto.
Per converso, dal punto di vista della ragion liberista, l’esperienza dell’uomo comune e delle classi popolari non ha alcun valore.
Essa è, senza riserve, identificata con l’incompetenza e con il pregiudizio, con l’ignoranza e con il complottismo:
per questo motivo, è trattata ora come un groviglio di errori da non considerare,
ora come un coacervo di pregiudizi da emendare mediante le pratiche della catechesi politicamente corretta;
il cui fondamento ultimo sta nello spiegare al popolo rozzo e incompetente la piena e splendente razionalità di tutto ciò che lo fa quotidianamente soffrire.
affiora limpidamente come il mercato non solo non faccia rima con “democrazia”,
ma proceda, anzi, svuotandone i contenuti ed erodendone gli spazi.
L’equilibrio tra mercato e politiche democratiche nel secondo Novecento, in Europa,
appare sempre più come una parentesi effimera, peraltro avutasi non grazie al mercato, ma suo malgrado:
tale parentesi ha preso a entrare in crisi con il 1989, secondo un piano inclinato
che ci conduce alle odierne tendenze ostentatamente antidemocratiche del liberismo imperante.
Dove la democrazia stessa è svilita a marktkonforme Demokratie, parola di Angela Merkel.
Sempre più – non deve sfuggire – la governance liberale svilisce la democrazia elettorale in nome dell’expertise:
e l’esperienza a cui si richiama non è mai quella dei lavoratori e delle masse nazionali-popolari, coincidendo, invece, con
l’esperienza non condivisa dei “tecnici”, come pudicamente vengono appellati,
con termine anodino e fintamente super partes, i banchieri e i top manager.
A decidere, secondo l’ordine del discorso liberista, deve essere non il popolo sovrano (che è, poi, un altro modo per dire democrazia),
bensì il “comitato” – o la task force – degli esperti, cioè dei banchieri e dei top manager.
È anche per questo motivo che :
il neoliberismo può anche essere inteso come il “sequestro dell’esperienza comune attraverso l’expertise” (Dardot e Laval, Guerra alla democrazia):
se, in un ordine democratico, a valere è propriamente l’esperienza di tutti e di ciascuno,
nel nuovo quadro liberista sempre più si afferma il principio in accordo con il quale a valere è soltanto l’esperienza dell’esperto,
a sua volta fatto coincidere con l’esperto allineato con l’ortodossia mercatista.
Ogni esperto – economista, ad esempio – che non giuri fedeltà al verbo liberista è, ipso facto, considerato e trattato alla stregua di un non esperto.
Per converso, dal punto di vista della ragion liberista, l’esperienza dell’uomo comune e delle classi popolari non ha alcun valore.
Essa è, senza riserve, identificata con l’incompetenza e con il pregiudizio, con l’ignoranza e con il complottismo:
per questo motivo, è trattata ora come un groviglio di errori da non considerare,
ora come un coacervo di pregiudizi da emendare mediante le pratiche della catechesi politicamente corretta;
il cui fondamento ultimo sta nello spiegare al popolo rozzo e incompetente la piena e splendente razionalità di tutto ciò che lo fa quotidianamente soffrire.