IL TRADING NON E' REALTA'

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Nel caos generale che accompagna da mesi il Movimento Cinque Stelle, più agitato che mai,
gli Stati Generali di ottobre assomigliano sempre più a una resa dei conti definitiva tra le varie anime
di quella che un tempo era forza di rottura e ora è docile compagna della casta.

Uno scontro che vedrà sicuramente impegnato Luigi Di Maio, che ha già iniziato a muoversi da tempo in vista dell’appuntamento.

E nel quale avrà un ruolo chiave, ovviamente, Davide Casaleggio, il presidente dell’Associazione Rousseau,
il cui nome è tornato di colpo sulle bocche degli esponenti pentastellati.


Casaleggio ha fatto capolino, nelle scorse ore, per andare a visitare i rappresentanti dei vari gruppi.

Un gesto che non è ovviamente passato inosservato.

In molti hanno detto e scritto, in queste ore, che probabilmente tra gli obiettivi del suo spostamento c’era quello di incontrare il reggente Vito Crimo,
sempre più debole dopo le ultime bordate ricevute da Luigi Di Maio.

Non è possibile saperlo con certezza.

Fatto sta che una volta uscito, Casaleggio ha detto all’Adnkronos
“Sul voto della leadership decidono il capo politico e il comitato di garanzia”.

Aggiungendo poi: “La leadership collegiale c’è già ed è il team del futuro, che ha 200 persone”.



Casaleggio ha poi precisato che la piattaforma Rousseau è già a “disposizione del Movimento, gratis”.

Parole apparentemente innocue e che in realtà, però, sono suonate alle orecchie dei rappresentanti pentastellati in maniera ben precisa.

Con l’intento di svilire il ruolo del capo politico e dell’assemblea.

E in netta antitesi con le posizioni di altri big.

Anche perché nel frattempo Di Maio invocava una “leadership forte, non un unico uomo al comando”.



Insomma da un lato Casaleggio vorrebbe un capo con pieni poteri scelto, come da tradizione, attraverso la Rousseau.

Dall’altro Di Maio invoca invece una struttura collegiale forte.

Uno scontro a distanza che continua, a distanza.

E agita ulteriormente il Movimento, che continua a guardare con estrema preoccupazione alle prossime Regionali.

Con l’ipotesi di un rimpasto mai tramontata e con un’incertezza al vertice sempre più marcata.
 
Risparmiamo sulla "democrazia" e diamo soldi a questi


Quando si dice “l’allievo supera il maestro”.
Sembrerebbe quanto succede con Giuseppe Conte e Rocco Casalino.
Il portavoce supera il premier in… remunerazione!


Secondo quanto riferito dal Termometro politico,

“in base alla pubblicazione sul sito della Presidenza del Consiglio dei ministri, riguardante i compensi dei collaboratori,
sollecitata a più riprese dal settimanale L’Espresso, Rocco Casalino guadagna 169.556,86 euro all’anno”.


Lo stipendio base del braccio destro di Conte ammonterebbe a 91.696,86 euro,
a questi andrebbero poi aggiunti 59.500 euro di accessori
e 18.360 euro di indennità.

Mentre lo stipendio annuo del premier sarebbe di 114 mila euro.

Insomma la differenza sarebbe notevole.


Non si può dire che non sia una ricca risorsa, anche perchè, guardando il suo curriculum vitae, è facile cogliere quante esperienze abbia maturato.

Laureato in ingegneria elettronica all’Università di Bologna, affianchiamo la sua figura anche al mondo della televisione,
dove ha esordito partecipando al reality show Grande Fratello.

Dopo la partecipazione a diverse trasmissioni televisive avrebbe deciso di dedicarsi alla politica.


È stato vice di Claudio Messora, responsabile della comunicazione del gruppo parlamentare pentastellato al Senato,
poi responsabile per la comunicazione con i media e successivamente portavoce e capo comunicazione sempre dello stesso gruppo.

Oggi è il portavoce del Governo Conte.
 
I grillini si erano dimostrati trasparenti, precisi e puntuali prima delle elezioni Politiche ma
- dopo aver avviato l'esperienza di governo prima con la Lega e poi con il Pd -
hanno iniziato ad accumulare una serie di ritardi per quanto riguarda le restituzioni.

Il versamento delle quote, ovvero il marchio di fabbrica dei pentastellati, è diventato ormai un vero e proprio caos.


Nello specifico c'è un dato che fa riflettere:

su 296 parlamentari ben 79 non restituiscono più da gennaio, cioè più di uno su quattro.

Come riportato dal Corriere della Sera, la vicenda si fa complicata anche per i probiviri che hanno dato un ultimatum preciso:
entro agosto le restituzioni dei soldi o verranno presi dei provvedimenti disciplinari.

Ma bisogna fare i conti con la presenza di diversi profili altisonanti che risultano essere morosi.

Ecco perché il "tribunale interno" dei gialli avrebbe deciso di adottare una linea più morbida:
l'espulsione di altri deputati e senatori comporterebbe un notevole indebolimento per i 5 Stelle.
Eppure in piena campagna elettorale era stata tracciata una strada chiara contro i furbetti: espulsione senza appello.

Tuttavia ora, considerando che la legislatura dovrebbe proseguire fino al 2023, sempre più eletti hanno deciso di smettere di rimborsare.


Per i probiviri la faccenda diventa dura, visto che nella lista dei ritardatari spuntano molti nomi di spicco:

da Luigi Di Maio (non rendiconta da aprile)

al sottosegretario a Palazzo Chigi Riccardo Fraccaro,

passando per Vito Crimi (maggio).

Cerchiati in rosso anche Manlio Di Stefano (sottosegretario agli Esteri),

Nicola Morra (presidente dell'Antimafia),

Carlo Sibilia (sottosegretario all'Interno)

e l'aspirante leader Paola Taverna.

Consultando il sito tirendiconto.it, con ritardi più lievi si possono notare

Vincenzo Spadafora (ministro dello Sport, moroso da febbraio)

e Nunzia Catalfo (ministro del Lavoro).

Più puntuali Lucia Azzolina (ministro dell'Istruzione, ultima restituzione ad aprile)

e Sergio Battelli (tesoriere del gruppo alla Camera, a marzo);

Alfonso Bonafede e

Roberto Fico (presidente della Camera) da maggio.

Il record assoluto negativo va a Marinella Pacifico (morosa dal giugno 2019),
seguita da Paolo Nicolò Romano (settembre 2019) e Giorgio Trizzino (ottobre 2019).
 
Giusto pazienta....fino a scrutinio regionali...poi invece che salvini processeranno o vostri.....chi firmava EMERGENZA PER SEILA MESI IL 31 GENNAIO e al popolo ogni giorno diceva va tutto bene no problem.....e borsa saliva....spesso a pensar male ci si azzecca.
Davvero conte ha commesso solo....errori?
Vedremo....la PROCURA se ne staparla occupando
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Prontissimi con un piAno sanitario, datato,,,, se avessero SEMPLICEMENTE Detto dei rischi subito sarebbero morte decine migliaia di persone ?
E mentre LORO sapevano la borsa con manipolazioni dei fondi saliva per ben 21 giorni di febbraio.....loro vendevano sul max per, poi girarsi short agevolati fino al 17 marzo dai CRIMINALI della consob. Lo intuii, ma. Non mi sono salvato del tutto
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:
 
Meglio di così non poteva dirlo, Klaas Knot, 53 anni, presidente della Banca d’Olanda.

Giorni fa ha avuto l’ardire di sfidare i cliché sull’Euro e lo ha fatto in un discorso in cui ha messo in luce il legame fra diseguaglianza e sovranismo.

Oggi, intervistato da Federico Fubini sul Corriere, è tornato sull’argomento.

E alcuni passaggi sono davvero illuminanti, come quando afferma:

“Parliamo dell’Olanda, la conosco meglio. Negli ultimi 20-25 anni una parte crescente di accumulazione del Pil è andata al capitale.
La parte del lavoro nel reddito nazionale è gradualmente scesa. E se si guarda alle entrate fiscali,
c’è un costante declino della parte relativa che viene dalla tassazione delle imprese e un aumento di quella che grava sul lavoro.
L’Olanda è uno dei maggiori beneficiari del mercato intero europeo e dell’Euro, ma
i frutti sono andati più agli imprenditori e a chi detiene i capitali, mentre i lavoratori sono rimasti indietro
“.




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Aggiunge Knot: “È un tema da affrontare. Se l’Euro finisce per essere visto come benefico per gli imprenditori, ma non per i lavoratori,
allora il sostegno politico per il progetto è a rischio perché i lavoratori sono gli elettori. Penseranno che l’euro è qui per il Big Business, non per loro”.

Ecco, in questo passaggio laas Knot lo ha detto chiaro e tondo:

l’Euro ha avvantaggiato solo i ricchi. Che se ne fanno i tanti cittadini italiani di una moneta e di un’Unione così?

Nulla. Anzi, ne subiscono solo le ingiustizie.


Un altro passaggio interessante di Knot è sul debito pubblico: L’accento nelle regole dovrebbe andare sul debito.

È lì che si creano i margini di bilancio che possono servire. La grandezza fondamentale è sempre stata il debito e la sua sostenibilità.
In una fase come questa, la politica di bilancio deve agire per combattere il coronavirus, per esempio.
Ma negli anni buoni ci dovrebbe essere un piano credibile per ridurre il debito, con un’appropriata differenziazione di velocità”.


Spiega ancora Knot: “Per Paesi con livelli di debito relativamente bassi, ciò implicherebbe che non devono consolidare allo stesso passo dei Paesi con livelli più alti.
Questo fu uno dei problemi dopo l’altra crisi, quando tutti cercarono di risanare allo stesso tempo.
Nel caso dell’Italia, quando l’economia si riprende mi aspetterei un po’ più di ambizione nel cercare di ridurre i livelli di debito.
Ciò richiederebbe un deficit significativamente sotto al 3% del Pil”.
 
Ma guarda un po’, adesso anche il governo si è accorto che i soldi dell’Europa, quando mai arriveranno,
poi dovranno anche essere ridati indietro con gli interessi.

E allora come fare? Facile: basta tassare gli italiani, andando a colpire soprattutto case e consumi.

Certo, non lo dicono ad alta voce.

Perché la propaganda vuole che i soldi europei siano spesi in opere meravigliose di rilancio del Paese.

Peccato, però, che dopo il lockdown e la pandemia, i cittadini stiano con le tasche vuote e gli ci manca solo di pagare ancora più tasse…

Ed ecco dunque che la ricetta è sempre la solita: l’Italia chinerà il capo e seguirà le condizioni dell’Ue. E a pagare il conto saremo noi.


Le raccomandazioni, già da anni, propongono infatti di cercare spazi fiscali nei “consumi” e nel “patrimonio”.

Tradotto?

"L’applicazione più ovvia potrebbe dunque portare all’aumento dell’Iva
e il ritorno delle imposte sulla prima casa per alleggerire il costo del lavoro e degli altri fattori della produzione”.

Nel capitolo fiscale delle ‘politiche di supporto’ al piano, il governo non fa nessun accenno a patrimoniali sul mattone o a ritocchi dell’Iva,
ma il riferimento alle raccomandazioni-paese pre-crisi lascia aperto un varco a tutte le scelte.



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“Anche perché prima del Recovery – ricorda Signorini – il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri dovrà affrontare la Legge di Bilancio
e, con tutta probabilità, non potrà contare sulle risorse Ue.

Il Recovery plan vero e proprio arriverà a gennaio.

A ottobre potrebbe arrivare una versione intermedia, utile a ottenere il famoso anticipo del 10%”.

Senza anticipo, i fondi dell’Ue saranno erogati a partire dalla prossima primavera,
e quindi il governo si ritroverà costretto a scelte impopolari.

Come l’aumento delle tasse, appunto.


Nelle linee guida del governo per l’utilizzo dei fondi del Recovery Fund si precisa che il Piano nazionale di “ripresa e resilienza” (così l’hanno chiamato)
dovrà essere compatibile con gli obiettivi di finanza pubblica del Governo.

E dato che i prestiti – ricordiamolo: ben 127 miliardi – peseranno sul debito, il piano ribadisce l’impegno a ridurlo.

Ed ecco il solito il cane che si morde la coda.

Come ridurlo?

Ai nostri portafogli l’ardua sentenza.
 
Siccome questo governo è convinto di aver gestito benissimo l’emergenza Covid,
adesso pensa che sia normale aumentare anche le tasse indirette.

Ed è per questo che l’allarme sul fronte carburanti è già scattato.

Già, perché Conte&Co stanno pensando bene di aumentare le accise sul diesel, portandolo a costare più della benzina.

Il ricavato di queste tasse?

La scusa è che servirà per i sussidi ecologici.

A spiegare come stanno le cose è Jacopo Gilberto su Il Sole 24 Ore, il quale racconta che

“da gennaio le accise che penalizzano il gasolio dovrebbero rincarare moltissimo e alla fine il diesel costerà perfino più della benzina.
Il prezzo medio di un litro di gasolio è 1,28 euro, di cui appena 43,3 centesimi il costo industriale
e il rimanente è fisco tra accisa (61,74 centesimi al litro) e Iva.
Ma anche se il fisco italiano è il più avido del mondo, il gasolio ha un’accisa un po’ più bassa della benzina (72,84 centesimi al litro)”.




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Un’abitudine alla quale gli italiani dovranno rinunciare.


Protestano le associazioni dell’autotrasporto e della vendita di prodotti petroliferi, come l’Assopetroli-Assoenergia,
che hanno presentato una nota con Assotir, Fai Conftrasporto, Confartigianato Trasporti, Cna Fita, Fiap, Unitai.

Il disincentivo fiscale reso ancora più penalizzante

sarà una mazzata per le imprese e non darà alcun beneficio all’ambiente,
visto che sono bastonati perfino i biocarburanti i quali,
a rigor di logica, dovrebbero godere di una fiscalità agevolata”
,

scrivono in una lettera mandata al ministro dell’Ambiente Sergio Costa, il quale formalmente sostiene
che in questo modo si spingeranno i cittadini a non bruciare gasolio e a usare soprattutto veicoli elettrici
come l’auto a batterie o il monopattino, incentivati da bonus fiscali…



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In realtà, conti alla mano, il ministero sa che gli italiani continueranno a usare il diesel
e che quindi lo Stato avrà un incasso fiscale stimato in oltre 17 miliardi entro il 2032.

“In questo complicato momento storico che il Sistema Italia sta vivendo
diventa davvero difficile comprendere la decisione del ministro dell’Ambiente, Sergio Costa,
che ha lanciato una consultazione pubblica su alcune proposte di legge
che mirano a rimuovere progressivamente dei sussidi considerati ambientalmente dannosi.
Tra queste ci sarebbe anche l’intenzione di aumentare l’accisa sul gasolio per autotrazione
portandolo ad essere meno conveniente rispetto alla benzina”,

attacca il segretario di Confartigianato Imprese Grosseto Mauro Ciani.


Aggiunge lucidamente Ciani:

“Poiché l’idea del Ministro sembra motivata da scelte che nulla hanno a che fare con ideali ecologici,

la interpretiamo semplicemente come una nuova tassazione a carico di chi ha continuato a garantire,

nei mesi di emergenza sanitaria, la movimentazione di prodotti da una regione all’altra e tra il nostro Paese e l’Europa.

Battere cassa su un settore che ha il 95% dei mezzi alimentati a diesel rischia di mettere definitivamente in ginocchio un comparto strategico”.
 
Gli amici si riconoscono proprio quando ti dicono la verità, anche se scomoda,
e gli olandesi sono, in fondo degli amici, anche se magari, non bisogna seguirne i consigli.

Il govenatore della Banca Centrale Olandese, Klaas Knot, ha tenuto una lezione pubblica sulla necessità di uscire dalla crisi del Covid-19 tutti assieme .

All’interno di questa lectio, oltre ad una lode continua per l’economia dei Paesi Bassi, vi sono state alcune osservazioni ed alcuni dati molto interessanti.


Prima di tutto il nostro governatore ci mette, nero su bianco, in un bel grafico i guadagni che ogni famiglia europea avrebbe avuto dall’accesso all’euro.

Il grafico sottostante non lascia spazio a molti dubbi:



NL1.png



Ogni famiglia del Lussemburgo ha guadagnato dall’accesso all’euro 20 mila euro.

Una olandese circa 7500,

una tedesca 4.000

una italiana neanche mille.

E dobbiamo considerare che si tratta di calcoli fatti da una banca centrale che fa parte del board ella BCE.

Praticamente stiamo chiedendo all’oste quanto è buono il vino, e, nonostante questo, l’oste ci dice che è mediocre….


Del resto l’amico olandese ci spiega anche il fatto:

Purtroppo una moneta unica porta anche degli svantaggi.
Certamente per un gruppo di paesi quelli differiscono parecchio l’uno dall’altro economicamente.
Ad esempio, una valuta comune significa una comune tasso di interesse e tale tasso non è sempre adatto a ciascun paese.
Questo può contribuire all’accumulo del debito, o ai prezzi delle case alle stelle.
I tassi di cambio fissi irreversibilmente non offrono solo stabilità, ma implicano anche che i paesi non possano più utilizzare il loro tasso di cambio
come un modo per ripristinare la loro competitività.

In parte a causa di ciò, non tutti i paesi dell’area dell’euro hanno beneficiato allo stesso modo dell’euro.
Per dirla senza mezzi termini: paesi con economie più forti, come i Paesi Bassi, hanno beneficiato più dei paesi con economie più deboli.
Allora perché una moneta comune funziona a favore di economie più forti? Permettetemi di spiegare.

Per fare ciò, userò i Paesi Bassi e l’Italia come esempi.

I tassi di cambio tra i paesi dell’euro erano congelati, per così dire, quando l’euro è stato introdotto nel 1999.
Da allora, la crescita della produttività è stata maggiore nei Paesi Bassi che in Italia.
Questo è ciò a cui gli economisti si riferiscono quando parlano di economia “più forte” e economie “più deboli”.
La crescita della produttività significa che puoi realizzare più o migliori prodotti, con stessi mezzi di produzione
e quindi offrono un valore migliore in termini di prezzo alla qualità.
Per mantenere l’italiano prodotti competitivi con i prodotti olandesi, la valuta italiana avrebbe dovuto deprezzarsi rispetto alla ns moneta.
Di conseguenza, i prodotti italiani diventerebbero più economici.
Prima che il fiorino e la lira diventassero irreversibilmente legati, abbiamo assistito regolarmente a questo tipo di deprezzamento della lira.
Ma questo ovviamente non è più possibile ora. Lo si può vedere molto bene




NL2.png



In realtà l’amico olandese dimentica che , secondo la seconda legge della crescita di Kaldor,
questa dipende anche dalla crescita della produzione, per cui nel momento in cui le produzione olandesi hanno iniziato a spiazzare quelle italiane,
la loro produttività è cresciuta di più di quanto sia cresciuta la nostra. Praticamente si scambia causa ed effetto.


Il discorso poi ci lascia prevedere cosa accadrà per il futuro, e quindi cosa potremo fare:

per il governatore della banca centrale olandese una crescita forte è una crescita senza debito
per cui il suo invito è tornare alla stretta austerità che permetta di tornare al rapporto debito/PIL del 60%,
meno della metà di quanto è attualmente quello italiano.

Un modo gentile per darci due alternative: o fate la fame o sapete dove è la porta di uscita dall’euro.


Nel nostro interesse………..
 

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