A spiegare bene la tecnica di narrazione televisiva (che è però lo specchio di quella dei media mainstream occidentali a parti inverite) è Jan Egeland, del Norwegian Refugee Commetteee, impegnato in Cisgiordania ad aiutare la popolazione. Il conduttore gli pone la sua domanda preferita, sulle cause vere della crisi, sui 56 anni di occupazione militare israeliana. Insomma, perché, chiede all’ospite, anche ora nei commenti dei leader occidentali non si fa mai riferimento alle radici profonde del conflitto? Egeland risponde che oggi tutti i politici in occidente parleranno dell’attacco di Hamas e del diritto di difendersi di Israele. Poi aggiunge una riflessione che non è tanto un commento ma una lezione di giornalismo: “Noi che siamo operatori umanitari, neutrali, sul campo, al centro di questo fuoco incrociato, vediamo quel che sta accadendo: ci sono due racconti polarizziti. Da una parte si vedranno le moschee attaccate mentre in occidente vedranno i civili e i bambini israeliani attaccati dagli uomini di Hamas armati. Queste sono le due immagini opposte. Entrambi i racconti deumanizzano i protagonisti”. Forse perché poi è più facile ucciderli senza rimorso.