JOACKIN
joakin
Globalizzazione della sostenibilità
Uno degli aspetti che forse sfuggono ai più è che il dissennato sfruttamento dell'ambiente che l'umanità mette in atto, non mette a rischio il pianeta su cui viviamo.
Si può notare che sentiamo spesso parlare di "pianeta a rischio", di "fine del mondo", di "natura a rischio", ma dietro a queste parole è nascosta una sottile falsità, una mistificazione significativa, purtroppo in molti casi anche inconsapevole:
la terra e la vita su di essa, in qualche modo, sotto qualche forma, continueranno ad esistere, a prescindere dal comportamento irresponsabile dell'umanità.
A rischio è "solo" la specie umana. E' un concetto semplice quanto incompreso.
E' l'uomo che mette a rischio se stesso, o meglio la sua specie.
C'è qualcosa di perverso e terribile in questo: possibile che l'uomo non abbia a cuore nemmeno sé stesso?
Purtroppo è così, e per una semplicissima ragione: l'uomo "non spirituale" non ha ancora capito che il mondo è stato, è, e sarà, il mezzo unico e necessario alla sua anima, nelle susseguenti e molteplici vite, per evolvere.
L'uomo, materialistico e miope, vede solo il tornaconto della sua presente esperienza, e intende massimizzare l'accumulo di agi e ricchezze fini a se stessi in una sola breve vita: quale miserevole intento!
Vorrei proporre in queste pagine un breve excursus di come l'uomo metta in atto il suo –"relativamente inconsapevole"- disegno di autodistruzione, partendo da considerazioni sui principali meccanismi in atto, sul come tali automatismi siano vicini ad ognuno di noi occidentali, su quanto sarebbe possibile fare per modificare il tragico andamento, per giungere infine a considerazioni che possano dare una collocazione spirituale a tutto il tema. Un tema la cui importanza è tale da richiedere la più grande attenzione che ognuno di noi, abitanti del "primo mondo", possa dedicarvi.
Una delle espressioni più efferate dello sfruttamento che l'umanità impone al pianeta ci riguarda molto da vicino. Ma questa vicinanza ad ognuno è un fatto positivo, in quanto -come vedremo- ognuno di noi è, o meglio, sarebbe, in grado di fare qualcosa per il suo pianeta. Si tratta dell'uso di carne per l'alimentazione umana. I veri costi dell'alimento carneo
L'economista Jeremy Rifkin, scrittore, docente alla Wharton School of Finance and Commerce e presidente della Foundation on Economic Trends e della Greenhouse Crisis Foundation, uno dei più famosi "teorici" no-global, ha scritto un famoso libro: Ecocidio, ascesa e caduta della cultura della carne, (Mondadori), nel quale con mirabile acume analizza il costo che ha per l'umanità questa "attitudine", sviluppatasi esponenzialmente nell'ultimo secolo.
La tesi iniziale di Rifkin è significativa: sono due miliardi gli uomini che soffrono la fame. Il numero potrebbe decrescere ma, come al solito, l'interesse dei pochi (potenti) prevale sul destino dei molti (fragili).
Egli illustra come il "racket dell'Hamburger", assorbendo il 36 per cento della produzione mondiale di grano per l'allevamento del bestiame, impedisca di eliminare il problema nella fame nel mondo.
Centinaia di milioni di persone nel mondo lottano ogni giorno contro la fame perché gran parte del terreno arabile viene oggi utilizzato per la coltivazione di cereali ad uso zootecnico piuttosto che per cereali destinati all'alimentazione umana. I ricchi del pianeta consumano carne bovina e suina, pollame e altri di tipi di bestiame, tutti nutriti con foraggio, mentre i poveri muoiono di fame.
Negli ultimi cinquant'anni la nostra società globale ha costruito a livello mondiale una scala di proteine artificiali sul cui gradino più alto ha collocato la carne bovina e quella di altri animali nutriti a foraggio.
Oggi i popoli ricchi, specie in Europa, Nord America e Giappone, se ne stanno appollaiati in cima a questa catena alimentare divorando il patrimonio dell'intero pianeta.
Il passaggio avvenuto nel mondo agricolo dalla coltivazione di cereali per l'alimentazione umana a quella di foraggio per l'allevamento degli animali rappresenta una nuova forma di umana malvagità, le cui conseguenze potrebbero essere di gran lunga maggiori e ben più durature di qualunque sbaglio commesso in passato dall'uomo contro i suoi simili.
Oggi, oltre il 70 per cento del grano prodotto negli Stati Uniti è destinato all'allevamento del bestiame, in gran parte bovino.
Sfortunatamente, di tutti gli animali domestici, i bovini sono fra i convertitori di alimenti meno efficienti.
Sperperano energia e sono da molti considerati le "Cadillac" delle fattorie animali.
Per far ingrassare di circa mezzo chilo un manzo da allevamento, occorrono oltre 4 chili di foraggio, di cui oltre 2 chili e mezzo sono cereali e sottoprodotti di mangimi, e il restante chilo e mezzo è paglia tritata.
Questo significa che solo l'11 per cento di foraggio assunto dal manzo diventa effettivamente parte del suo corpo; il resto viene bruciato come energia nel processo di conversione, oppure assimilato per mantenere le normali funzioni corporee, oppure assorbito da parti del corpo che non sono commestibili, ad esempio la pelle o le ossa.
Quando un manzo di allevamento sarà pronto per il macello, avrà consumato 1.223 chili di grano e peserà approssimativamente 475 chilogrammi .
Attualmente, negli Stati Uniti, 157 milioni di tonnellate di cereali, legumi e proteine vegetali, potenzialmente utilizzabili dall'uomo, sono destinate alla zootecnia: è una produzione di 28 milioni di tonnellate di proteine animali che l'americano medio consuma in un anno.
Uno degli aspetti che forse sfuggono ai più è che il dissennato sfruttamento dell'ambiente che l'umanità mette in atto, non mette a rischio il pianeta su cui viviamo.
Si può notare che sentiamo spesso parlare di "pianeta a rischio", di "fine del mondo", di "natura a rischio", ma dietro a queste parole è nascosta una sottile falsità, una mistificazione significativa, purtroppo in molti casi anche inconsapevole:
la terra e la vita su di essa, in qualche modo, sotto qualche forma, continueranno ad esistere, a prescindere dal comportamento irresponsabile dell'umanità.
A rischio è "solo" la specie umana. E' un concetto semplice quanto incompreso.
E' l'uomo che mette a rischio se stesso, o meglio la sua specie.
C'è qualcosa di perverso e terribile in questo: possibile che l'uomo non abbia a cuore nemmeno sé stesso?
Purtroppo è così, e per una semplicissima ragione: l'uomo "non spirituale" non ha ancora capito che il mondo è stato, è, e sarà, il mezzo unico e necessario alla sua anima, nelle susseguenti e molteplici vite, per evolvere.
L'uomo, materialistico e miope, vede solo il tornaconto della sua presente esperienza, e intende massimizzare l'accumulo di agi e ricchezze fini a se stessi in una sola breve vita: quale miserevole intento!
Vorrei proporre in queste pagine un breve excursus di come l'uomo metta in atto il suo –"relativamente inconsapevole"- disegno di autodistruzione, partendo da considerazioni sui principali meccanismi in atto, sul come tali automatismi siano vicini ad ognuno di noi occidentali, su quanto sarebbe possibile fare per modificare il tragico andamento, per giungere infine a considerazioni che possano dare una collocazione spirituale a tutto il tema. Un tema la cui importanza è tale da richiedere la più grande attenzione che ognuno di noi, abitanti del "primo mondo", possa dedicarvi.
Una delle espressioni più efferate dello sfruttamento che l'umanità impone al pianeta ci riguarda molto da vicino. Ma questa vicinanza ad ognuno è un fatto positivo, in quanto -come vedremo- ognuno di noi è, o meglio, sarebbe, in grado di fare qualcosa per il suo pianeta. Si tratta dell'uso di carne per l'alimentazione umana. I veri costi dell'alimento carneo
L'economista Jeremy Rifkin, scrittore, docente alla Wharton School of Finance and Commerce e presidente della Foundation on Economic Trends e della Greenhouse Crisis Foundation, uno dei più famosi "teorici" no-global, ha scritto un famoso libro: Ecocidio, ascesa e caduta della cultura della carne, (Mondadori), nel quale con mirabile acume analizza il costo che ha per l'umanità questa "attitudine", sviluppatasi esponenzialmente nell'ultimo secolo.
La tesi iniziale di Rifkin è significativa: sono due miliardi gli uomini che soffrono la fame. Il numero potrebbe decrescere ma, come al solito, l'interesse dei pochi (potenti) prevale sul destino dei molti (fragili).
Egli illustra come il "racket dell'Hamburger", assorbendo il 36 per cento della produzione mondiale di grano per l'allevamento del bestiame, impedisca di eliminare il problema nella fame nel mondo.
Centinaia di milioni di persone nel mondo lottano ogni giorno contro la fame perché gran parte del terreno arabile viene oggi utilizzato per la coltivazione di cereali ad uso zootecnico piuttosto che per cereali destinati all'alimentazione umana. I ricchi del pianeta consumano carne bovina e suina, pollame e altri di tipi di bestiame, tutti nutriti con foraggio, mentre i poveri muoiono di fame.
Negli ultimi cinquant'anni la nostra società globale ha costruito a livello mondiale una scala di proteine artificiali sul cui gradino più alto ha collocato la carne bovina e quella di altri animali nutriti a foraggio.
Oggi i popoli ricchi, specie in Europa, Nord America e Giappone, se ne stanno appollaiati in cima a questa catena alimentare divorando il patrimonio dell'intero pianeta.
Il passaggio avvenuto nel mondo agricolo dalla coltivazione di cereali per l'alimentazione umana a quella di foraggio per l'allevamento degli animali rappresenta una nuova forma di umana malvagità, le cui conseguenze potrebbero essere di gran lunga maggiori e ben più durature di qualunque sbaglio commesso in passato dall'uomo contro i suoi simili.
Oggi, oltre il 70 per cento del grano prodotto negli Stati Uniti è destinato all'allevamento del bestiame, in gran parte bovino.
Sfortunatamente, di tutti gli animali domestici, i bovini sono fra i convertitori di alimenti meno efficienti.
Sperperano energia e sono da molti considerati le "Cadillac" delle fattorie animali.
Per far ingrassare di circa mezzo chilo un manzo da allevamento, occorrono oltre 4 chili di foraggio, di cui oltre 2 chili e mezzo sono cereali e sottoprodotti di mangimi, e il restante chilo e mezzo è paglia tritata.
Questo significa che solo l'11 per cento di foraggio assunto dal manzo diventa effettivamente parte del suo corpo; il resto viene bruciato come energia nel processo di conversione, oppure assimilato per mantenere le normali funzioni corporee, oppure assorbito da parti del corpo che non sono commestibili, ad esempio la pelle o le ossa.
Quando un manzo di allevamento sarà pronto per il macello, avrà consumato 1.223 chili di grano e peserà approssimativamente 475 chilogrammi .
Attualmente, negli Stati Uniti, 157 milioni di tonnellate di cereali, legumi e proteine vegetali, potenzialmente utilizzabili dall'uomo, sono destinate alla zootecnia: è una produzione di 28 milioni di tonnellate di proteine animali che l'americano medio consuma in un anno.