La staticità dell'opera d'arte allontana oggi il pubblico?

baleng

Per i tuoi meriti dovrai sempre chiedere scusa
Me lo sto chiedendo spesso.
Ho visto un periodo in cui la gente cercava e rispettava le opere d'arte, diciamo i quadri, o le incisioni ecc.
A monte di quelle opere si sapeva esservi stato un movimento, un turbinio di idee, impressioni, esperienze che veniva concentrato sull'opera. Lo spettatore, di fronte ad essa, dipanava poi tutti questi percorsi temporali attraverso un esercizio, anche breve, di concentrazione. Ci si dava all'opera, ed essa rispondeva. Nasceva così un movimento, virtuale nell'opera, reale nell'intimo dello spettatore.

Credo che oggi molte cose siano cambiate. Presi da colori in movimento ovunque (cinema, TV, smartphone, pubblicità luminose ecc) ci siamo abituati a vedere in azione quel movimento che prima si doveva immaginare, o meglio, si doveva ricercare con una "attività passiva", cioè lasciando spazio all'opera d'arte entro noi.
Gli artisti reagiscono. Come? Cercando di stupire, per esempio. Cattelan crea scenografie almeno in parte inaspettate, che provocano l'ormai sonnolento spettatore ad attivarsi. Dura poco, passato il momento di decifrazione occorre capire che cosa resta. Altri ricreano un movimento nell'opera stessa, o mettendocelo proprio, tipo Boriani e compagni, o confidando nel movimento dello spettatore perché di riflesso se ne crei un altro (tipo Alviani).

Non sto ad analizzare tutte le proposte più recenti, altri possono e sanno farlo molto meglio di me. Mi limito a ipotizzare che la caduta di interesse verso "il quadro"sia legata anche o solo al suo presentarsi immoto di fronte ad un pubblico ormai disabituato ad attivarsi. Non dico sia male o bene. Magari già dal Futurismo si era intuìto che un po' di movimento - fittizio, in quel caso - avrebbe destato un interesse che già stava assopendosi. E poiché nessuna delle opere del passato è in grado di "creare movimento", da qui la loro obsolescenza.
 
Intervengo su questo argomento postando la mia opinione. Vero quello che tu affermi Gino: siamo in un'epoca di trasformazione esponenziale dove ogni giorno si impongono immagini, suoni e dinamiche nuove. Lo smartphone è diventato un prolungamento del corpo assumendone funzioni di comunicazione isolando sempre di più le persone che credono di avere migliaia di amici...Si vive in un mondo virtuale per scappare dalla quotidianità. Tutto ciò premesso ci si può chiedere se l'opera d'arte ha ancora un senso o se appartiene ormai ad un passato che non tornerà. Io credo (forse illusoriamente) che l'opera per la sua staticità controcorrente possa innestare un processo alternativo, un momento di pausa di riflessione necessario per fermare una corsa continua verso il nulla.
 
Tecnologia e modello sociale hanno modificato radicalmente sia il modo di produrre che di fruire l'arte.
La velocità assunta come valore autonomo ed imprinting della ns. epoca, dalla decisione politica alla comunicazione porta ad un consumo rapido spesso disattento ed poco orientato ad attenzione, riflessione, concentrazione, ragionamento in cui trova spazio principalmente la provocazione; rispetto a questo mi auguro che l'arte "tradizionale" diventi come una boccata d'aria ed uno spazio/tempo dedicato a se stessi.
Nella sperimentazione artistica l'accessibilità della tecnologia come strumento di lavoro amplia enormemente la platea di chi si cimenta nell'autoproduzione ed autopromozione unita al protagonismo/esibizionismo di una società basata sull'immagine e sulla proiezione di sè.
 
Vi era un tempo nel quale l'immagine dipinta rappresentava l'unico mezzo per fermare il tempo di un ricordo, l'immagine di una persona.
Vi era un tempo nel quale l'immagine dipinta era l'unica forma produttiva possibile per attivare l'immaginazione oltre il confine del reale entrando così nella zona spirituale, interiore.
Ancora..vi era un tempo nel quale l'immagine dipinta era l'unica strata per mostrare una rappresentazione storica, religiosa, culturale.
Nella nostra cultura abbiamo sviluppato una storia, la storia dell'arte che verte nello sviluppo dell'estetica attorno alla rappresentazione della realtà.

Questa storia, in un mondo privo di strumenti di riproduzione più efficaci non può rimanere identica a quella di un mondo dove la realtà include entità prima ignote.
Da quando l'universo della produzione creativa umana si è allargato questo ha trasformato la nostra percezione verso l'opera d'arte e quindi verso il senso che diamo alla stessa storia dell'arte.

A me pare chiaro che se esiste un percorso 'fuori dal tempo' della storia dell'arte, un fuori dal tempo che ponga la produzione artistica importante in un limbo decontestualizzato dal periodo storico, questo percorso viene 'portato per mano' dalla tecnologia.
La tecnologia è pur essa un prodotto della creatività umana e offre contestualmente il mezzo e il fine.
E' infatti il mezzo naturale per introdurre novità espressive ed è purtroppo anche il fine, come citato da @Loryred.

Come si può pensare che la fotografia non cambi radicalmente il significato dell'immagine statica? Prima questo veniva prodotto dalla mano umana attraverso un processo lento, il dipingere qualitativo richiedeva tempi lunghi e impegno serio. Dopo l'introduzione e la evoluzione degli strumenti produttivi di fotografie il fermare il tempo è diventato realizzabile da tutti, in un attimo. Il senso del tempo dovuto alla concentrazione richiesta per produrre o fruire dell'immagine è trasformato.
Ma anche l'introduzione dell'energia elettrica ha trasformato il rapporto con la luce, la sensazione di una nascita dei colori tra l'ombra e la luce solare viene sostituita dalla sensazione di una nascita di colori dal mezzo artificiale. Centinaia di anni di riflessione sulla migliore rappresentazione della luce e dei colori in una immagine prodotto sono stati spazzati via dal mondo della Tecnica.

Il movimento, la velocità e la riflessione pittorica su come questi elementi possano diventare segno e linguaggio artistico è solo un effetto di un fenomeno più ampio della riflessione sul senso dell'arte, sul senso del creare linguaggi espressivi dai segni della modernità. Questa riflessione è oggi soffocata da una generale incapacità di misurare il valore di ciò che ci circonda senza una contropartita economica immediata.
Anch'io credo come @Heimat che verrà un tempo di rinata riflessione sul destino del nichilismo (la corsa verso il nulla). Credo, inoltre, che vi siano già i semi nella riflessione filosofica ma che la loro diffusione richiesta tempi lunghi e probabilmente disullusioni epocali condivise.
 
Nelle riflessioni che precedono vedo la speranza che l'arte "immobile" possa restare un valore per la riflessione.
Personalmente, di proposito ho evitato ogni "speranza" ed ogni giudizio, che pure comprendo bene, perché mi interessa capire il punto di vista dell'artista, oltre che quello dello spettatore. Sicuramente egli si chiede che cosa può interessare lo spettatore. Ciò non necessariamente per piaggeria, ma semplicemente perché l'aspetto della comunicazione prevede che vi sia chi invia e chi riceve il messaggio. L'artista isolato che crea comunque "per sé" è un fenomeno raro e legato ad aspetti religiosi, o filosofici, o patologici, e non necessariamente egli sarà più puro o più valido. La visione romantica del demone artistico ben raramente regge.
Se oggi l'arte "immobile" crea meno interesse, ecco che o ci si appropria di tecniche che sono meglio accette, come il cinema (ma allora si fa altro ...), o si ricerca con una certa disperazione di farsi notare, di trovare il nuovo ad ogni costo, e questo credo che non possa portare lontano.
Mi rendo conto tuttavia che anche cubisti futuristi ecc. apparvero come cercatori di "nuovo ad ogni costo", e che in mezzo a tanti sperimentatori più o meno seriali vi può essere il geniaccio che sembra simile a loro, ma è ben superiore (come fu, in musica, Penderecki, o in pittura Kandinskij ecc).

La fotografia ha spostato l'attenzione e l'interesse dal "che cosa" al "come". Anche prima c'era attenzione al "come", ma sempre in stretto rapporto con il "che cosa". Da qui, sappiamo, parte una certa evoluzione dell'arte. Senza dimenticare il cinema. Il problema oggi è che questo "come" interessa sempre meno, perché il mondo in mezzo al quale viviamo è cambiato. Ma se il "che cosa" è dato per scontato (da casa mia vedo tutto, anche immagini di Marte o Urano), e il "come" richiede "troppo impegno" per essere compreso e goduto, ecco che sembra che stupire sia l'unica salvezza. Salvo dedicarsi alle arti del movimento.
 
Per esperienza personale indiretta ritengo che, paradossalmente, l'opera statica abbia ancora sicuramente un futuro proprio perchè viviamo in un mondo dove tutto è dinamico. La mia esperienza riguarda persone che, estranee all'arte, mi hanno sorpreso per aver acquisito opere contemporanee che a mio avviso erano di difficile ed immediata comprensione linguistica. Alla mia domanda sulle motivazioni che avevano mosso all'acquisto mi è stato risposto che quelle opere innestavano nell'acquirente una riflessione.
 
Nelle riflessioni che precedono vedo la speranza che l'arte "immobile" possa restare un valore per la riflessione.
Personalmente, di proposito ho evitato ogni "speranza" ed ogni giudizio, che pure comprendo bene, perché mi interessa capire il punto di vista dell'artista, oltre che quello dello spettatore. Sicuramente egli si chiede che cosa può interessare lo spettatore. Ciò non necessariamente per piaggeria, ma semplicemente perché l'aspetto della comunicazione prevede che vi sia chi invia e chi riceve il messaggio. L'artista isolato che crea comunque "per sé" è un fenomeno raro e legato ad aspetti religiosi, o filosofici, o patologici, e non necessariamente egli sarà più puro o più valido. La visione romantica del demone artistico ben raramente regge.
Se oggi l'arte "immobile" crea meno interesse, ecco che o ci si appropria di tecniche che sono meglio accette, come il cinema (ma allora si fa altro ...), o si ricerca con una certa disperazione di farsi notare, di trovare il nuovo ad ogni costo, e questo credo che non possa portare lontano.
Mi rendo conto tuttavia che anche cubisti futuristi ecc. apparvero come cercatori di "nuovo ad ogni costo", e che in mezzo a tanti sperimentatori più o meno seriali vi può essere il geniaccio che sembra simile a loro, ma è ben superiore (come fu, in musica, Penderecki, o in pittura Kandinskij ecc).
Concordo, io credo che il "nuovo ad ogni costo" sia semplicemente una deformazione.
Ritengo evidente che una qualsiasi forma di evoluzione debba introdurre elementi di novità ma non è affatto detto che una qualunque novità porti elementi di evoluzione, in matematica (in realtà in logica) questo ha delle implicazioni di senso. Credo che oggi la marmellata culturale spalmi, a torto, tutto sulla stessa fetta di pane.
Non vedo una speranza nell'arte "immobile" come valore per la riflessione, perlomeno non solo in quella. L'Arte, sia come ricerca estetica, sia come ricerca di indagine dell'animo non penso debba limitarsi all'immobile, non vi è motivo perchè lo faccia e la stessa musica è arte di movimento. Nei secoli l'immobilità non era voluta, semplicemente mancavano i mezzi per operare nella mobilità. Non credo che Leonardo, potendo, si sarebbe fermato all'immagine immobile nè credo che lo avrebbe fatto Caravaggio (semplicemente non potevano operare nella mobilità perchè i mezzi per realizzare qualsiasi forma di mobilità nella rappresentazione non esistevano).
Sull'artista isolato io credo che il momento di "autismo" sia semplicemente necessario e premessa all'atto creativo e che porti il singolo alla riflessione con se stesso, con la realtà che lo circonda. Poi il momento cambia e la condivisione dell'opera è parte integrante della volontà dell'artista. Perlomeno lo è per gli artisti che ho conosciuto io.

La fotografia ha spostato l'attenzione e l'interesse dal "che cosa" al "come". Anche prima c'era attenzione al "come", ma sempre in stretto rapporto con il "che cosa". Da qui, sappiamo, parte una certa evoluzione dell'arte. Senza dimenticare il cinema. Il problema oggi è che questo "come" interessa sempre meno, perché il mondo in mezzo al quale viviamo è cambiato. Ma se il "che cosa" è dato per scontato (da casa mia vedo tutto, anche immagini di Marte o Urano), e il "come" richiede "troppo impegno" per essere compreso e goduto, ecco che sembra che stupire sia l'unica salvezza. Salvo dedicarsi alle arti del movimento.
Non credo che sia solo uno spostamento di attenzione ma qualcosa di più profondo. Prima della fotografia non esisteva un "come" diverso dalla pittura o dalla scultura, il "come" e il "che cosa" si fondevano nella ricerca di riproduzione della "verità" o della "realtà". Dopo l'introduzione della fotografia il "come" si è diversificato per alcuni aspetti del "che cosa", per altri si è ampliato. Cubismo, divisionismo, astrattismo sono tutte forme di interrogazione della "realtà" con diversi "che cosa" ma sono stati spinti dalla consapevolezza che la semplice riproduzione (oramai vista come sorella della fotografia) non dice tutta la verità sulla realtà.
Le stesse ricerche sulla percezione sono una conseguenza della stessa consapevolezza e della contemporanea nascita di conoscenza del mondo "nascosto": onde elettromagnetiche, onde radio, luce artificiale, ecc.
 
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Concordo, io credo che il "nuovo ad ogni costo" sia semplicemente una deformazione.
Ritengo evidente che una qualsiasi forma di evoluzione debba introdurre elementi di novità ma non è affatto detto che una qualunque novità porti elementi di evoluzione, in matematica (in realtà in logica) questo ha delle implicazioni di senso. Credo che oggi la marmellata culturale spalmi, a torto, tutto sulla stessa fetta di pane.
Non vedo una speranza nell'arte "immobile" come valore per la riflessione, perlomeno non solo in quella. L'Arte, sia come ricerca estetica, sia come ricerca di indagine dell'animo non penso debba limitarsi all'immobile, non vi è motivo perchè lo faccia e la stessa musica è arte di movimento. Nei secoli l'immobilità non era voluta, semplicemente mancavano i mezzi per operare nella mobilità. Non credo che Leonardo, potendo, si sarebbe fermato all'immagine immobile nè credo che lo avrebbe fatto Caravaggio (semplicemente non potevano operare nella mobilità perchè i mezzi per realizzare qualsiasi forma di mobilità nella rappresentazione non esistevano).
Sull'artista isolato io credo che il momento di "autismo" sia semplicemente necessario e premessa all'atto creativo e che porti il singolo alla riflessione con se stesso, con la realtà che lo circonda. Poi il momento cambia e la condivisione dell'opera è parte integrante della volontà dell'artista. Perlomeno lo è per gli artisti che ho conosciuto io.
D'accordo sull'ultima parte, ma pure sul resto. Con una sola differenza. Se oggi si inserisce il movimento nell'arte, si crea una categoria artistica diversa dall'arte immobile. Mentre persino la pittura gestuale richiamava il movimento dell'artista, ma alla fine si doveva apprezzare nella sua immobilità, con i primi esempi di arte cinetica , magari pure con luci colorate, si apre un "recinto" (torno sempre lì) diverso. Infatti tu citi la musica, dove l'ascoltatore apprezza e valuta nel dialogo dei puri suoni. Potevi citare il teatro, dove la funzione della scenografia è un "recinto" preciso, la pubblicità, che di per sé non è un'arte ma una forma di comunicazione che usa varie tecniche. Oppure la danza, suoni più movimento dei corpi. Anche altro, ma quello che conta è se
1) possiamo dare per certo che il "recinto" dell'arte immobile, per quanto antico e multisettoriale, esista realmente. Se cioè ci siano situazioni in cui chi osserva ha di fronte un oggetto immobile, sia esso S.Maria Novella o La Pietà di Michelangelo, da valutare con specifiche coordinate mentali, attenzionali, estetiche. E direi che questo è assolutamente scontato, il recinto c'è.
2) l'arte immobile manterrà uno spazio, magari più piccolo, nell'insieme della cultura e del mercato culturale (è un po' il problema del libro di fronte agli audiovisivi e al digitale; le mie enciclopedie giacciono ormai intoccate da anni, il Bénezit lo uso massimo dieci volte l'anno)
Poi, l'altro problema è se queste nuove discipline fondate sull'evoluzione della tecnica hanno già dei criteri evoluti di valutazione, o se invece siamo ancora in un momento di edificazione, di prova e sbaglia.
Il cinema si è liberato dal teatro abbastanza presto, ma un periodo in cui non era cinema bensì teatro riportato esistette. E comunque è ben chiaro oggi che andare al cine significa entrare in un recinto di valori differente da quello dell'andare a teatro. Per cui, esempio personale, si può essere contemporaneamente dei patiti per la pittura, tiepidi verso la scultura, assai indifferenti verso la fotografia, infastiditi dalle installazioni, furibondi avverso l'arte concettuale :jolly: . Aggiungo che il cinema mi interessa assai soltanto nelle massime vette e che la musica è pane quotidiano, ma quasi mai attraverso la riproduzione meccanica.
Penso che ognuno abbia di queste "camere stagne". Ciò significa che i recinti esistono. Pierino adora la matematica, va male in inglese, e in scienze naturali non capisce nulla.
 
Non credo che sia solo uno spostamento di attenzione ma qualcosa di più profondo. Prima della fotografia non esisteva un "come" diverso dalla pittura o dalla scultura, il "come" e il "che cosa" si fondevano nella ricerca di riproduzione della "verità" o della "realtà". Dopo l'introduzione della fotografia il "come" si è diversificato per alcuni aspetti del "che cosa", per altri si è ampliato. Cubismo, divisionismo, astrattismo sono tutte forme di interrogazione della "realtà" con diversi "che cosa" ma sono stati spinti dalla consapevolezza che la semplice riproduzione (oramai vista come sorella della fotografia) non dice tutta la verità sulla realtà.
Le stesse ricerche sulla percezione sono una conseguenza della stessa consapevolezza e della contemporanea nascita di conoscenza del mondo "nascosto": onde elettromagnetiche, onde radio, luce artificiale, ecc.
Su quanto grassettato dissento: il fatto che anche i contemporanei potessero riconoscere la grandezza di Michelangelo sta già a dimostrare che il suo "come" (cioè stile, qualità ... ) veniva percepito superiore, e quindi diverso, dal "come" di un altro artista, pur se il soggetto fosse stato lo stesso.
Ci sono le madonne del Giambellino e quelle di Raffaello, così come ci sono quelle di Spomponio Castralarte e di Felice Sbrodolando :eeh:, sempre madonne rappresentano, ma i primi sono e, soprattutto, erano visti come dei grandi e i secondi come degli imbrattatele. E si noti che dopo la nascita della fotografia mai una foto andò a sostituire sull'altare l'immagine sacra del Crocefisso o della Madonna. L'immagine sacra è oggi spesso una riproduzione fotografica, ma vedo che si preferisce riprodurre qualcosa di creato da mani umane piuttosto che figure reali, le quali darebbero un'impronta troppo materialistica, che la tradizione rinnega.
Dico anch'io che la fotografia ha permesso di concentrarsi sul come (v. un post precedente), ma non è che prima tale valutazione fosse ignota.
Dal punto di vista dell'artista, comunque, l'adattamento alla nuova situazione di libertà fu lento e progressivo. Ritengo che questa progressività sia stata dovuta alla necessità di creare nuovi valori di riferimento, cosa, evidentemente, che richiede tempo. E, soprattutto, l'avvento di grandi personalità.

Volendo osservare in modo alternativo l'evoluzione della storia dell'arte, si vede come l'Art Nouveau abbia "promosso in serie A" gli aspetti decorativi dell'opera, evidenziandone il valore artistico. Passare da questo riconoscimento all'astrattismo, cioè all'assolutizzazione degli aspetti decorativi (intendo: in quanto non riconducibili ad una imitazione di forme naturali) fu il gradino seguente. Il Liberty aveva mostrato la qualità artistica della decorazione che invade il soggetto: da questo punto di vista l'astrattismo fece il secondo passo, invase tutto il quadro. Si può anche notare che tutto ciò fu permesso dall'uso sempre minore dell'arte come illustrazione religiosa (semmai entrò nell'opera d'arte una spiritualità legata al simbolismo, ma non dedita ad illustrare una religione).

Tirando le fila del post: per lungo tempo la fotografia si affiancò alla pittura, convivendo sul palcoscenico con pari dignità. Intanto nascevano sottotraccia nuove concezioni artistiche. Ma esse consistevano sempre (e consistettero per tutto il XX secolo) in opere statiche. Magari allora si possono cercare gli elementi che hanno pian piano reso (forse) inattuale questa staticità.
Intanto, una è il cinematografo, soprattutto nelle sue produzioni più "artistiche", più riuscite. Poi vi è la velocità nello spostamento delle persone: viaggi in treno o in automobile, poi in aereo. Il sorgere di tecnologie come la TV o gli smartphones. Ma anche i vecchi radio e telefono ebbero la loro parte. E pure, credo, la riproduzione meccanica dei suoni (dischi, nastri ecc). Persino la conquista dello spazio distrasse dall'osservazione di quanto è vicino portando l'attenzione sull'infinita estensione dell'universo.
Sono tutte invenzioni che hanno (ripeto: forse) contribuito ad una certa obsolescenza della tradizionale arte immobile.
Viceversa, la riproduzione meccanica, come segnalato dal Benjamin, ha portato a valorizzare l'opera statica, in quanto, venendo a conoscenza prima della riproduzione e solo dopo ed eventualmente del quadro, si dava a questo una patina di sacralità, di intoccabilità simile a quella propria dei divi cinematografici o delle vecchie famiglie reali. O magari anche dei personaggi riprodotti nelle immagini religiose, che sono addirittura il sostituto visibile di una entità non visibile.
 
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D'accordo sull'ultima parte, ma pure sul resto. Con una sola differenza. Se oggi si inserisce il movimento nell'arte, si crea una categoria artistica diversa dall'arte immobile. Mentre persino la pittura gestuale richiamava il movimento dell'artista, ma alla fine si doveva apprezzare nella sua immobilità, con i primi esempi di arte cinetica , magari pure con luci colorate, si apre un "recinto" (torno sempre lì) diverso. Infatti tu citi la musica, dove l'ascoltatore apprezza e valuta nel dialogo dei puri suoni. Potevi citare il teatro, dove la funzione della scenografia è un "recinto" preciso, la pubblicità, che di per sé non è un'arte ma una forma di comunicazione che usa varie tecniche. Oppure la danza, suoni più movimento dei corpi. Anche altro, ma quello che conta è se
1) possiamo dare per certo che il "recinto" dell'arte immobile, per quanto antico e multisettoriale, esista realmente. Se cioè ci siano situazioni in cui chi osserva ha di fronte un oggetto immobile, sia esso S.Maria Novella o La Pietà di Michelangelo, da valutare con specifiche coordinate mentali, attenzionali, estetiche. E direi che questo è assolutamente scontato, il recinto c'è.
2) l'arte immobile manterrà uno spazio, magari più piccolo, nell'insieme della cultura e del mercato culturale (è un po' il problema del libro di fronte agli audiovisivi e al digitale; le mie enciclopedie giacciono ormai intoccate da anni, il Bénezit lo uso massimo dieci volte l'anno)
Poi, l'altro problema è se queste nuove discipline fondate sull'evoluzione della tecnica hanno già dei criteri evoluti di valutazione, o se invece siamo ancora in un momento di edificazione, di prova e sbaglia.
Il cinema si è liberato dal teatro abbastanza presto, ma un periodo in cui non era cinema bensì teatro riportato esistette. E comunque è ben chiaro oggi che andare al cine significa entrare in un recinto di valori differente da quello dell'andare a teatro. Per cui, esempio personale, si può essere contemporaneamente dei patiti per la pittura, tiepidi verso la scultura, assai indifferenti verso la fotografia, infastiditi dalle installazioni, furibondi avverso l'arte concettuale :jolly: . Aggiungo che il cinema mi interessa assai soltanto nelle massime vette e che la musica è pane quotidiano, ma quasi mai attraverso la riproduzione meccanica.
Penso che ognuno abbia di queste "camere stagne". Ciò significa che i recinti esistono. Pierino adora la matematica, va male in inglese, e in scienze naturali non capisce nulla.
Il "recinto", ovvero più precisamente la costruzione mentale di una categoria è una caratteristica dell'intelletto umano fortemente utile. La categoria mentale ci permette di concentrare l'analisi su una particolare caratteristica della realtà lasciando sullo sfondo il resto. La comprensione della comportamento e del senso della realtà passa anche attraverso questo processo di identificazione, di rappresentazione e di costruzione dei limiti. In una visione prospettica questo processo ci permette di migliorare il nostro dominio degli accadimenti, di aumentare di potenza la nostra volontà di dominio e capacità di trasformazione della realtà che ci circonda. E' un atto nobile e potente. Questo riconoscimento dell'essere è l'oggetto fondamentale della filosofia più alta (l'Ontologia) ed è il primo nodo fondamentale anche della scienza la cui comprensione dei rapporti di trasformazione passa proprio dalla definizione di cosa si trasforma. E' anche il primo nodo fondamentale della critica d'arte sebbene si possa godere dell'arte senza porsi le problematiche del recinto.
Nondimeno la costruzione intellettuale delle categorie ha anche degli aspetti negativi che occorre conoscere e considerare. E questo sopprattutto in un discorso sull'arte.
Cerco di esprimere questi aspetti negativi con degli esempi.
Mettiamoci nei panni dei curatori di un nostro "Museo dell'Arte" ed escludiamo dal museo tutto ciò che non è immobile.
Valutiamo ora se includere nel nostro museo le opere di Biasi.
Biasi è esponente del movimento cinetico, quindi lo escludiamo.
No lo includiamo perchè le sue opere sono immobili, non hanno parti in movimento. Il movimento è creato dallo spostamento del punto di osservazione del fruitore.
Diciamo allora che escludiamo dal nostro museo di opere "immobili" anche le opere che pur immobili richiedono all'osservatore un movimento.
Poniamoci ora il problema di come illuminare le opere del nostro museo.
Useremo una luce calda di 3000 o 3500 K o una luce fredda di 4000 K? Perchè le opere cambiano se viste a 3000 gradi K o a 4000 gradi K.
Usiamo una luce solare del mezzogiorno come riferimento di 5400 K o la luce del cielo di 15000 K?
Quale è la luce corretta per la fruizione delle opere del nostro museo del'immobile?
Già prevedo l'obiezione che la Gioconda vista all'alba, vista a mezzogiorno o vista al tramonto trasmette lo stesso messaggio al fruitore.
Ma la stessa cosa non si può dire di Albers, il cui lavoro sui quadrati concentrava proprio l'attenzione sulla relatività della sensazione ottica e che a cambio di temperatura di luce cambia nella fruizione.
Perfetto escludiamo dal nostro museo dell'immobile pure Albers.
Concentriamoci ora sulla fotografia, essa è immobile e quindi non si vede ragione per escluderla dal nostro museo.
E dobbiamo escludere o includere le opere di Rostini che realizza manualmente un'opera su tela, poi fotografa l'opera una volta sola e distrugge l'originale su tela?
In questi casi direi che è semplice, l'inclusione o esclusione sarà basata non sulla tecnica bensì sul messaggio artistico delle opere.
Ma se il messaggio artistico si concentra sugli aspetti della natura del movimento, quale tutti gli autori del futurismo dobbiamo includerli o escluderli?
Includiamo gli autori che trattano del movimento con mezzi immobili ed escludiamo gli autori che lo trattano con mezzi mobili?
Ecco un altro criterio per escludere Biasi: le sue opere per mostrare il movimento sono realizzate non su una supeficie piatta bensì su qualcosa di simile a 'bassorilievi', un'operazione di superamento della superficie e uno sfondamento nel tridimensionale. Escludiamo anche tutte le sculture, che fanno parte di un altro recinto, quindi possiamo escludere anche per questo motivo.
Ma come comportarci per tutti quegli autori di fine ottocento, inizio novecento che al posto del pennello hanno usato la spatola? L'uso della spatola aveva anche la caratteristica di rendere l'opera 'diversamente piatta'. Anche la fruizione piena di queste opere prevede un movimento del fruitore di fronte all'opera. Se non ti muovi non percepisci la 'materialità' e 'diversità' della superficie.
Qui però è semplice, sottolineamo la differenza tra il 'cosa' e il 'come' e valutiamo le inclusioni solo su una valutazione del 'cosa' e non sulla valutazione del 'come'.
Infatti escludiamo tutti quegli autori moderni che confondono il 'cosa' con il 'come' e si concentrano sul mostrare il comportamento dei vari mezzi. Un esempio su tutti Burri. Ma la riflessione sui confini tra 'cosa' e 'come' è presente e vitale anche nel cubismo, dove la dissoluzione della figura in oggetti pseudo geometrici diventa senza senso se togliamo la riflessione sulla libertà del 'come rappresentare' il 'cosa'.

Mi fermo qui ma potrei proseguire. Spero di aver reso almeno in parte i miei dubbi che la nostra costruzione del "recinto" di delimitazione dell'Arte immobile sia più un vincolo problematico che una soluzione nel nostro processo di riconoscimento di ciò che è significativo per il nostro museo da ciò che non lo è.
ps: Non cercate Rostini che non esiste ma se il recinto del quale stiamo parlando fosse importante ci sarebbero decine di autori noti del fotografa e distruggi.
 

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