D'accordo sull'ultima parte, ma pure sul resto. Con una sola differenza. Se oggi si inserisce il movimento nell'arte, si crea una categoria artistica diversa dall'arte immobile. Mentre persino la pittura gestuale richiamava il movimento dell'artista, ma alla fine si doveva apprezzare nella sua immobilità, con i primi esempi di arte cinetica , magari pure con luci colorate, si apre un "recinto" (torno sempre lì) diverso. Infatti tu citi la musica, dove l'ascoltatore apprezza e valuta nel dialogo dei puri suoni. Potevi citare il teatro, dove la funzione della scenografia è un "recinto" preciso, la pubblicità, che di per sé non è un'arte ma una forma di comunicazione che usa varie tecniche. Oppure la danza, suoni più movimento dei corpi. Anche altro, ma quello che conta è se
1) possiamo dare per certo che il "recinto" dell'arte immobile, per quanto antico e multisettoriale, esista realmente. Se cioè ci siano situazioni in cui chi osserva ha di fronte un oggetto immobile, sia esso S.Maria Novella o La Pietà di Michelangelo, da valutare con specifiche coordinate mentali, attenzionali, estetiche. E direi che questo è assolutamente scontato, il recinto c'è.
2) l'arte immobile manterrà uno spazio, magari più piccolo, nell'insieme della cultura e del mercato culturale (è un po' il problema del libro di fronte agli audiovisivi e al digitale; le mie enciclopedie giacciono ormai intoccate da anni, il Bénezit lo uso massimo dieci volte l'anno)
Poi, l'altro problema è se queste nuove discipline fondate sull'evoluzione della tecnica hanno già dei criteri evoluti di valutazione, o se invece siamo ancora in un momento di edificazione, di prova e sbaglia.
Il cinema si è liberato dal teatro abbastanza presto, ma un periodo in cui non era cinema bensì teatro riportato esistette. E comunque è ben chiaro oggi che andare al cine significa entrare in un recinto di valori differente da quello dell'andare a teatro. Per cui, esempio personale, si può essere contemporaneamente dei patiti per la pittura, tiepidi verso la scultura, assai indifferenti verso la fotografia, infastiditi dalle installazioni, furibondi avverso l'arte concettuale
. Aggiungo che il cinema mi interessa assai soltanto nelle massime vette e che la musica è pane quotidiano, ma quasi mai attraverso la riproduzione meccanica.
Penso che ognuno abbia di queste "camere stagne". Ciò significa che i recinti esistono. Pierino adora la matematica, va male in inglese, e in scienze naturali non capisce nulla.
Il "recinto", ovvero più precisamente la costruzione mentale di una categoria è una caratteristica dell'intelletto umano fortemente utile. La categoria mentale ci permette di concentrare l'analisi su una particolare caratteristica della realtà lasciando sullo sfondo il resto. La comprensione della comportamento e del senso della realtà passa anche attraverso questo processo di identificazione, di rappresentazione e di costruzione dei limiti. In una visione prospettica questo processo ci permette di migliorare il nostro dominio degli accadimenti, di aumentare di potenza la nostra volontà di dominio e capacità di trasformazione della realtà che ci circonda. E' un atto nobile e potente. Questo riconoscimento dell'essere è l'oggetto fondamentale della filosofia più alta (l'Ontologia) ed è il primo nodo fondamentale anche della scienza la cui comprensione dei rapporti di trasformazione passa proprio dalla definizione di cosa si trasforma. E' anche il primo nodo fondamentale della critica d'arte sebbene si possa godere dell'arte senza porsi le problematiche del recinto.
Nondimeno la costruzione intellettuale delle categorie ha anche degli aspetti negativi che occorre conoscere e considerare. E questo sopprattutto in un discorso sull'arte.
Cerco di esprimere questi aspetti negativi con degli esempi.
Mettiamoci nei panni dei curatori di un nostro "Museo dell'Arte" ed escludiamo dal museo tutto ciò che non è immobile.
Valutiamo ora se includere nel nostro museo le opere di Biasi.
Biasi è esponente del movimento cinetico, quindi lo escludiamo.
No lo includiamo perchè le sue opere sono immobili, non hanno parti in movimento. Il movimento è creato dallo spostamento del punto di osservazione del fruitore.
Diciamo allora che escludiamo dal nostro museo di opere "immobili" anche le opere che pur immobili richiedono all'osservatore un movimento.
Poniamoci ora il problema di come illuminare le opere del nostro museo.
Useremo una luce calda di 3000 o 3500 K o una luce fredda di 4000 K? Perchè le opere cambiano se viste a 3000 gradi K o a 4000 gradi K.
Usiamo una luce solare del mezzogiorno come riferimento di 5400 K o la luce del cielo di 15000 K?
Quale è la luce corretta per la fruizione delle opere del nostro museo del'immobile?
Già prevedo l'obiezione che la Gioconda vista all'alba, vista a mezzogiorno o vista al tramonto trasmette lo stesso messaggio al fruitore.
Ma la stessa cosa non si può dire di Albers, il cui lavoro sui quadrati concentrava proprio l'attenzione sulla relatività della sensazione ottica e che a cambio di temperatura di luce cambia nella fruizione.
Perfetto escludiamo dal nostro museo dell'immobile pure Albers.
Concentriamoci ora sulla fotografia, essa è immobile e quindi non si vede ragione per escluderla dal nostro museo.
E dobbiamo escludere o includere le opere di Rostini che realizza manualmente un'opera su tela, poi fotografa l'opera una volta sola e distrugge l'originale su tela?
In questi casi direi che è semplice, l'inclusione o esclusione sarà basata non sulla tecnica bensì sul messaggio artistico delle opere.
Ma se il messaggio artistico si concentra sugli aspetti della natura del movimento, quale tutti gli autori del futurismo dobbiamo includerli o escluderli?
Includiamo gli autori che trattano del movimento con mezzi immobili ed escludiamo gli autori che lo trattano con mezzi mobili?
Ecco un altro criterio per escludere Biasi: le sue opere per mostrare il movimento sono realizzate non su una supeficie piatta bensì su qualcosa di simile a 'bassorilievi', un'operazione di superamento della superficie e uno sfondamento nel tridimensionale. Escludiamo anche tutte le sculture, che fanno parte di un altro recinto, quindi possiamo escludere anche per questo motivo.
Ma come comportarci per tutti quegli autori di fine ottocento, inizio novecento che al posto del pennello hanno usato la spatola? L'uso della spatola aveva anche la caratteristica di rendere l'opera 'diversamente piatta'. Anche la fruizione piena di queste opere prevede un movimento del fruitore di fronte all'opera. Se non ti muovi non percepisci la 'materialità' e 'diversità' della superficie.
Qui però è semplice, sottolineamo la differenza tra il 'cosa' e il 'come' e valutiamo le inclusioni solo su una valutazione del 'cosa' e non sulla valutazione del 'come'.
Infatti escludiamo tutti quegli autori moderni che confondono il 'cosa' con il 'come' e si concentrano sul mostrare il comportamento dei vari mezzi. Un esempio su tutti Burri. Ma la riflessione sui confini tra 'cosa' e 'come' è presente e vitale anche nel cubismo, dove la dissoluzione della figura in oggetti pseudo geometrici diventa senza senso se togliamo la riflessione sulla libertà del 'come rappresentare' il 'cosa'.
Mi fermo qui ma potrei proseguire. Spero di aver reso almeno in parte i miei dubbi che la nostra costruzione del "recinto" di delimitazione dell'Arte immobile sia più un vincolo problematico che una soluzione nel nostro processo di riconoscimento di ciò che è significativo per il nostro museo da ciò che non lo è.
ps: Non cercate Rostini che non esiste ma se il recinto del quale stiamo parlando fosse importante ci sarebbero decine di autori noti del fotografa e distruggi.